martedì 27 febbraio 2024

“all’ondosa paura di mancare / alla grazia dei fondali”

Cristina Martini, Nella terra delle tasche, FirenzeLibri 2022, Collana Fuori Stagione a cura di Massimiliano Bardotti, Serse Cardellini e Gregorio Iacopini

recensione di AR



La poesia ha visioni che declinano le cose più intime e personali rendendole universali con la massima discrezione e al contempo rivelandole con verità. Nessun poeta è un dissimulatore, anche se con Pessoa finge di esserlo, ed il suo canto anche più privato e nascosto fra le righe del silenzio fa già vibrare l’aria che lo attende (p. 68): “Eravamo io e te stanotte. / Tra le righe, tutto il battito delle parole.”  
Cristina ci narra delle relazioni umane, ci svela il suo mondo intimo che vediamo così simile al nostro, ci indica particolari che tutti possiamo cogliere e non cogliamo, di sferza e blandisce con versi-marosi e versi-pennellate: “guarderemo sotto le gonne delle nuvole / per capire la natura vera  di ogni lacrima.” (p. 73); “Ci sono abbracci che si sfaldano / come elastici nel buio degli armadi.” (p. 71); “Vorrei farmi nuvola. Correre da un cielo all’altro / e fermarmi a piovere / in quello più lontano dal tuo.” (p. 69).

Le immagini sono davvero poetiche e spiazzanti (con venature mistiche?), si veda ad esempio la poesia a p. 46 che citiamo integralmente:

Se del cielo tu fai un’altra solitudine,
oltre la pelle e il costato
ben oltre questa vicenda di nuvole,
non sarebbero vere
le mie carezze alle stelle
e il tuo sangue, di formica.

E consideriamo ancora, in modo sporadico, la pregnanza sinestetica e contraddittoria, gli insoliti ed arguti accostamenti lessicali (latinamente, callidae iuncturaedei versi seguenti (solo alcuni fra i tanti citabili): “Un turgido tuorlo di canto / un crollo d’azzurro” (p. 44); “Vieni qui / che in queste mura di petalo / s’impara a morire.” (p. 42); “L’intestino di un merlo, / ma intanto che si prova a volare, / apre le braccia la zolla.” (p. 39); ”Solo quando mi cadono lontano dal cuore / cadono davvero, le foglie.” (p. 35); “che l’attesa / dà un corpo al tempo, / piccolo tanto / da perdersi in un seme.” (p. 27); “Ora, comprendo il mare / sulla spiaggia, il suo perituro languire. Ritirarsi per restare.” (p. 22).
Una raccolta da assaporare, meditare, far risuonare in noi con un pizzico di timore (“La cima ha mollato la bitta sicura / e la prua / all’ondosa paura di mancare / alla grazia dei fondali.”, p. 10) e con il gusto della condivisione di esperienze, intuizioni e sensazioni che ci erano “sfuggite” (p. 15): “Raggiunge l’orizzonte, il mare. / Il cielo aspetterà.”  

“i piedi sulle palme”

peQuod 2023

recensione di AR




Eleonora ci porta dentro le vicende antiche eppure così attuali dei martiri, dei profeti. Scrive Massimiliano Bardotti nella coinvolgente prefazione (p. 7): “Questo libro ha già nel titolo la sua profezia, perché imprese come quella di chiudere le fauci dei leoni (…) equivalgono all’impresa di essere poeti fino in fondo, (…) capaci di indicare una via di luce, una via della bellezza, in questo mondo dove le tenebre sono ben in vista e alla portata di tutti.”  

In effetti, immergendoci nelle pagine della raccolta, che ha in esergo una citazioni di Eb 11,29.33-34 da cui è tratto il titolo, veniamo colpiti da visioni, racconti, suggestioni in cui troviamo una stretta connessione tra creazione e poesia (parole peraltro semanticamente vicine): “Scrivere è l’impresa di un esercito a ritroso / (…) / cercare al buio la stanza che contiene la candela / (…) / e cercare in questa luce fioca / cos’è che ora si vede.” (p. 19. Gli ultimi due versi appena citati (un endecasillabo e un settenario) potrebbero essere considerati il fondamento della deontologia del poeta, il quale ha una sensibilità visionaria, mistica, capace di indagare fatti, emozioni, corrispondenze amorose e accadimenti anche a una “luce fioca”. Ascoltiamo Eleonora: “quando il giorno ha finito il proprio tempo e si congeda / così il cielo diventa luogo di passaggio, del dono / della luce di sé stessa al buio” (p. 33); “non nella certezza del saputo risiede la salvezza / invece corre forte il fiume in piena nel luogo dell’incerto” (p. 34); “C’è un amore quieto nelle cose che esistono di fianco ad altre cose senza presenza alcuna di spiccare” (p. 41). Come si vede i versi sono spesso molto lunghi ma hanno un loro ritmo recitativo bello e catturante, ad esempio quest’ultimo verso può essere suddiviso in tre perfetti endecasillabi (con iato fra un e amore): C’è un amore quieto nelle cose / che esistono di fianco ad altre cose / senza pretesa alcuna di spiccare.

Evangelicamente la poetessa salentina afferma: “Amo il tronco di traverso sulla strada / (…) / e il volto d’odio che incontro sulla via / poiché se io lo so ascoltare urla d’amore / amo la morte che mi ama da quando sono nata / poiché al suo fianco solo sono in vita” (p. 57). La citazione si conclude con un fulgente endecasillabo che avrebbero potuto scrivere Góngora o Marino come anche anche il verso ribollente di ossimori che troviamo a p. 58: “esiste una festa nella morte ed un dolore in ogni amore vero nella vita”. La fiducia nella vita, in ogni esistenza in cui non manca mai una scintilla divina, nell’amore che salva e trasfigura, è diffusa a piene mani: “niente è perso di quello che c’è stato / ogni passo ha fatto strada ed ogni inciampo ha fatto forti le ginocchia” (p. 61); “sono scalza ed il sentiero è ispido e pietroso / ma io camminerò posando i piedi sulle palme delle tue mani aperte” (p. 95).

domenica 25 febbraio 2024

“feti, nel grembo di una indecifrabile / matriosca.”

Mirella Vercelli, La solitudine del passo, peQuod 2023

Collana Portosepolto
a cura di Luca Pizzolitto
e Massimiliano Bardotti

recensione di AR


La poesia a p. 114 di questa silloge ci offre un modo provocante (scuotendoci dal quotidiano torpore spirituale distratto da impegni, preoccupazioni, responsabilità, frustrazioni) di calarci nella poetica di Mirella:

Vite, passi avanti
della storia quasi impercettibili

inizio e fine mille volte ripetuti
tra un solo inizio ed una sola fine

feti, nel grembo di una idecifrabile
matriosca.

Tutti viviamo momenti in cui “Facciamo ressa, nel collo di bottiglia / che sbocca nei domini del silenzio // il dolore la moneta in tasca” (p. 109), o ci troviamo “Come un cane sull’uscio di casa / [ad] aspettare che il tempo ritorni, / ma il tempo è randagio” (p. 103). Oppure ci sentiamo sperduti, soli a portare il peso della vita: “Nulla, come la buona notte / dell’addetto al casello / dà la misura esatta / del tuo fuori strada” (p. 74) e desideriamo che almeno chi ci ama si volti e “cucia uno sguardo la lacerazione / dei passi divisi, sui versanti opposti / di una porta a vetri” (p. 66). O ancora siamo testimoni di agonie e allora con Mirella ogni persona può gridare: “ma io sono viva, viva / ho fame e sete, ancora, e ogni stella / che cade è una sigaretta spenta / sopra il cuore” (p. 95) e constatare che “il sogno di eternità / che m’era casa crolla” (p. 49). Immagini forti, doloranti eppure cariche di speranza, fiduciose in un ascolto-abbraccio: “Aprimi le braccia / raccoglimi sulle tue ginocchia // come fossero del figlio il corpo livido / queste povere ossa, o Dolorosa.” (p. 82).

Il libro è costellato di splendide pennellate in rilievo, materiche, ricche di ombre, potenti. Il decadimento fisico (“e quanto fa più male / l’aspro / sulle gengive erose!”, p. 23), la perdita delle persone care, instaurano sì un canto lacerato (“Che fatica, dopo di te / trovarsi viva”, p. 38), ma anche una preghiera desiderante, imperativa che vuole (umilmente, perché esperta di vita vissuta che ha accolto “il necessario affondo dell’aratro”, p. 45) risposte (come ad esempio in Lidia 6 a p. 43): 

Si va serrando in fretta il buio
di un’altra sera. Di un altro giorno
ti allontani, mamma,
d’altri sospiri, d’altri nodi
in gola. Superi 
l’ultimo squarcio della luce

Io resto nelle ombre.

Anche se non ne riceviamo (di risposte) ed il dolore ci attanaglia e “Si impigliano nel secco del prato / nella siepe di rovi sillabe / di una preghiera che ha urgenza / di nascere, che non trova sorgente” (p. 73), forse è proprio in quella afonia che si può insinuare il senso di un cammino, un libro di vita che “pesa sul petto / come la montagna che passo dopo / passo si è scalata, o forse / non è stata che una pagina, / sempre la stessa, voltata / e voltata…” (p. 117).

In questa tensione tra fede e incredulità, dicibile e indicibile, ragione e mistero, peso e leggerezza, bellezza e caducità, abbracci ed abbandoni… si gioca il nostro stare al mondo che è parallelamente uno stare già Altrove.

sabato 24 febbraio 2024

“Scegliere è un privilegio”

Ilaria Amodio, Foglia e Radice
peQuod 2024, collana Portosepolto
diretta da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti

recensione di AR




Il titolo di questa nota è tratto dalla seconda strofa (un distico in corsivo) della poesia a p. 53 che inizia con “E mi trafigge il tuo silenzio” e, dopo il verso citato più in alto, continua così: “e una condanna allo stesso tempo // mai sapremo l’esistenza scartata / ma avvertiremo l’onda / del fiume che scorre parallelo / e che attraversa ad ogni foce”. A p. 51 Ilaria ci dice che ”è una meteora ogni incontro”; a p. 45 invoca “ma tu fammi essere ovunque / vivendo nei tuoi occhi”. Risalendo di qualche pagina troviamo una vibrante cartolina di Bologna che termina così (p. 41): ”la città vive dei nostri passi / così appassisce e rinasce / ogni volta che tu l’attraversi”.
I luoghi sono importanti in questa raccolta di esordio della poetessa riminese e non si tratta solo di città, ma anche “di fiumi mai presi / nei volti di passanti sconosciuti / per trovare un po’ di sé / o quel che rimane“ (p. 31), o angoli dove “restano pietre, fiumi prosciugati, sottili insenature / ad abitare muri e volti // (…) // Sono tutti nell’ombra / a vestire il graffio dell’aurora” (p. 29). Lo stesso “scrivere è un richiamarti / da luoghi e tempi sommersi” (p. 21), un esprimere “la solitudine dal campanile / compiersi in un passo senza tempo” (p. 37).
La concretezza con cui Ilaria descrive gli spazi attraversati ci invita a farci suoi compagni di strada, e ogni cammino, lo sappiamo, comporta un viaggio parallelo dentro di noi e dentro chi ci è particolarmente caro e affettivamente prossimo. 
La sua lingua è lessicalmente piana e tersa, ma non priva di scarti sintattici e “fratture” di senso: come la limpida corrente di un corso d’acqua che aggira le rocce più grandi, lambisce più lenta la riva dalla curva più ampia, permettendoci di intravedere nel fondo il colore dei ciottoli a cui magari affidare qualche ricordo, e di riflettere, nei punti in cui le acque sono più calme e il fondo più scuro, qualche instantanea (impermamente) di noi stessi e di chi ci è accanto, di chi (Chi?) portiamo nel cuore a cui poter confidare: “così è questo viaggio / mentre enunci il tuo nome / e l’istante esala un grido / che non puoi afferrare” (p. 17).

venerdì 23 febbraio 2024

Tutto il resto mi sfugge a Cavriana 12 marzo 2024


Nello studio Angelo Brusco di Cavriana (MN)

via SS. Martiri Angelo e Alessandro n. 1

Martedì 12  marzo 2024 ore 20:30


presenta la silloge Tutto il resto mi sfugge

introduce Gaia Guarienti

si prega di confermare la propria presenza




IT'S FRIDAY! : poesie inedite di Dario Talarico

 

 It's friday! è una rubrica a cura di Annalisa Ciampalini


Patrimonium

  

Padre, io non posso credere in un Dio

che mi somiglia. Non posso crederti

la scimmia di altre scimmie. –

È troppo – quando tutto torna.

Questo Dio di cui parlano gli uomini

ha barba e braccia, ma se i cervi

pregassero – avresti le corna.

 

*

 

Padre, l’uomo non può liberarsi dalle sue forme.

E tu sei come quegli alieni fasulli                                

dalle sembianze antropomorfe.

Ma ovunque tu sia, la tua – è la misura

di altre cose. Padre, io non credo in te

solo perché non credo alle persone.

 

*

 

Padre, tu sei una nudità difficile da spogliare.

Sai di parole e silenzi, di millesimi e millenni.

Tu sei la risposta alle domande mancate;

tu sai la voce – che ci condanna a parlare.

Ma padre, siamo onesti: saper vivere

è la capacità di risolvere il problema

di un problema – che non esiste.

   

*

 

Non sei mai stato chiaro. Tu confondi.              

Tu vivi di possibilità e interpretazioni.                  

Ma ti capisco, padre: se tu sei come noi,                

avessi parlato una volta per tutte

saresti morto per sempre con noi.

 

*

 

Al cielo? All’amore? Al futuro?

A quale nulla votare il respiro? –

Sciogliersi, l’hai decretato, è la natura della neve;

ma vedi, padre, è disertare allora se preghiamo,

se viviamo senza una ragione

e ci preoccupiamo di non morire invano.

 

*

 

Quale deserto è più sconfinato

di un parlare chiaro che può non essere capito?

Sì, padre, siamo soli di parole:

nonostante gli sforzi, comunicare –

è l’esercizio di una solitudine feroce.

 

*

 

Penso all’universo.

E penso che per una formica             

un solo ettaro di terra –

non sia poi tanto diverso.

Sembra quasi di vederla affaccendarsi –

alla ricerca del suo orizzonte introvabile,

perché così smisurato

da contenerla per intero.

Forse – tu sei il nostro ettaro.

Forse sei talmente grande – da esserci segreto.

Ecco padre, è questo il limite:

cosa c’è di più invisibile dell’immenso?        


*

 

E se anche questo dolore

non fosse senza eguali?

Se questo cercarti non fosse il primo?

Se tu stesso, ovunque e disperso,

stessi tentando invano

ancora un cenno da noi?

Padre, tu sai quanto sia scivoloso sentirsi speciali

– perché sai quanto assomigli – a sentirsi soli.

Ma non fai eccezione, nessuno è escluso:

niente è unico, perché tutto è uno.

 

*


Padre, è così difficile per l’essere   

– pensare il suo niente? –

Né buio né luce, né principio

né fine: se la morte non fosse,

sarebbe finalmente se stessa.

 

*

 

Un’assenza è un’assenza

soltanto quando qualcosa resta.    

Adesso è più chiaro, padre:

tu sei il tuo stesso mancare.

Lo hai insegnato persino ai poeti:               

a volte – bisogna morire per riuscire a parlare,                        

perché solo chi non ha niente da dire –

avrà sempre qualcosa da aggiungere.


Dario Talarico è nato a Roma nel 1990. Poeta e critico letterario, è  direttore puntoacapo della collana di opere prime Controcorrente e redattore di «Laboratori Poesia». Suoi testi sono apparsi su «la Repubblica», «Studi Cattolici», riviste di settore e antologie. Per la poesia ha recentemente pubblicato Il coraggio di non lasciare il segno (puntoacapo, 2019, European Poetry Prize Adam Mickiewicz, 2021) e Autopsia (reiterata). Poema logico-filosofico (ivi, 2022, finalista Premio Nabokov, Montano, Carver e Michelangelo Buonarroti, 2022), dal quale un estratto è stato tradotto in Russia col titolo Простор для невысказанного / Spazio per il non detto (Free Poetry, 2021). Suoi contributi critici sono inoltre apparsi su «Laboratori Critici», «Il sarto di Ulm», «Metaphorica» e sui lit-blog «La poesia e lo spirito», «L’EstroVerso», «Poetarum Silva», «Almanacco Punto» e «Monolith». 

mercoledì 21 febbraio 2024

Roberto Bettinelli: Segnalazione di Merito al Premio per la Pace e la Giustizia Sociale

Gentile Roberto BETTINELLI

Abbiamo il piacere di informarLa che la Giuria della XXXII Edizione del Premio per la Pace e la Giustizia Sociale, ha terminato i propri lavori, conferendo Segnalazione di Merito per la sezione Poesia all’opera Il tuo grido figlio dell’uomo.

È nostra intenzione realizzare la cerimonia di premiazione sia in presenza che in in Video Conferenza per dare a tutti l’opportunità di partecipare:

 

Domenica 24/03/2024 ore 15,30

Premio per la Pace e la Giustizia Sociale

Salone Imbesi via Moretta 57/A Torino

Ospite musicale della premiazione
in presenza Franco NERVO

 

Martedì 26/03/2024 ore 21,00

Premio per la Pace e la Giustizia Sociale

Videoconferenza da Cultura e Società

meet.google.com/rhf-tkqq-kfr


I concorrenti, nella premiazione prescelta, presentano l’opera premiata (prevista la lettura per la Poesia e una breve presentazione per la Narrativa)
Chi partecipa alla premiazione in presenza, se lo desidera, può assistere alla Video Conferenza, senza necessità di ulteriore prenotazione.

I premi attribuiti consistono in:

Vetrinetta (con testo premiato) a cura del Centro Studi Cultura e Società

Diploma del Centro Studi Cultura e Società

Dignità di Stampa per l’opera premiata, pubblicata gratuitamente nell’Antologia del Premio, La pubblicazione non comporta obbligo di acquisto, e la proprietà artistica resta dell’Autore.

Ai concorrenti premiati che parteciperanno alla Cerimonia di Premiazione in presenza verranno inoltre offerte una storica copia dell’Antologia di una deile prime edizioni del premio ed una pubblicazione gentilmente offerta da una delle Amministrazioni che hanno patrocinato il Premio.



Centro Studi Cultura e Società
culturaesocieta@gsvision.it oppure cultsoc@fastwebnet.it

NOTA BENE – Se partecipi a un nostro concorso o semplicemente ci richiedi un’informazione, se non ricevi risposta entro 24 h, verificare che la mail sia arrivata

Sito culturaesocieta.gsvision.it 
Tel 011/4333348 - 347/8105522

Sede legale: via Cesana 56 10139 Torino – Sala eventi: via Vigone 52 (Torino)

Seguiteci su Facebook iscrivendovi al gruppo Cultura e Società – Troverete le fotografie delle serate e dei principali eventi

Nella sezione Regolamenti possono essere consultati e scaricati i regolamenti dei premi e delle rassegne. Nella sezione Programmi pagina Programmi del Mese, può essere consultata e scaricata la News mensile.

martedì 20 febbraio 2024

Prima stesura | Uno spettacolo di ipotesi di Damiana De Gennaro

                                                                   

 

Fotografia di Nathan Dumlao

PRIMA STESURA

Rubrica di inediti a cura di Silvia Rosa

"Uno spettacolo di ipotesi" di Damiana De Gennaro


I. 

il giorno inizia

con la luce sulle statue –

Piazza Dante

adesso è solamente

uno spettacolo di ipotesi

  

II. 

per prima cosa

devi disattivare l’allarme,

accendere le luci

d’atmosfera e poi il forno,

scongelare i cornetti del giorno

 

III. 

è mercoledì –

bastano sei cornetti vuoti,

tre integrali,

due vegani che, all’evenienza,

saranno farciti di nutkao 

 

IV. 

mentre sistemi fuori

i rosmarini ancora vivi

il bar di fianco

sta marcando il territorio

con canzoni neomelodiche

 

V. 

a quest’ora

non si siede mai nessuno –

tu sei questo

venditore ambulante

del vino e delle rose

 

VI.

provi a chiamarla

per nome, ma lei dice

chi sono, tua sorella?

arriva in motocicletta e si

gira solo se la chiami chef

 

VII. 

il ragazzo in rosso

viene da Secondigliano

per lavare i piatti –

dice solo che sull’autobus

ascolta playlist citypop

  

VIII. 

la proprietaria, tra

un reading e i convenevoli

scorre su WhatsApp

la lista delle comande

con preoccupazione

 

IX. 

il sole tiepido d’aprile

è un incantesimo del marketing –

appena arriva ai tavolini

il turista con pelle di lucertola

chiede un cappuccino

 

X. 

la barista moldava

stamattina molto presto

ha tagliato la frangia –

ora sta facendo due cappuccini

di soia, un test di gravidanza

 

XI.

 comunque,

è uscito negativo – dice

un po’ ridendo

un po’ piangendo, mentre sparge

il cacao sui cappuccini

 

 

Damiana De Gennaro (Vico Equense, 1995) vive a Stoccolma, dove svolge un dottorato di ricerca sulla poesia giapponese contemporanea attraverso una prospettiva di genere.  Ha pubblicato due libri di poesia: Shibuya Crossing (Interno poesia 2019) e Aspettare la rugiada (Raffaelli 2017).

domenica 18 febbraio 2024

Poesie di Alessandro Ghignoli





risposta in forma di poesia a un questionario richiedente una propria poetica personale

 

 

 

scrivi tutte le parole possibili

copiale registrale diffondile

con fotocopie e libri

scrivile tutte e poi

cancellale

e poi scrivile e poi riscrivile

tutte ancora tutte insieme dille

dopo solo dopo solo davvero dopo

cancellale ancora e ancora anche dopo

 

 irato tra i colori del moderno la verità mi imprigiona

 

 

 

[...] ho chiesto a me ho chiesto ho chiesto a me ho chiesto se tutto fosse tutto nella notte tutta se ero me se tutto era vuoto le ore nella notte le misure interrotte se vere le cure ho chiesto le prove della notte il limite a me ho chiesto se fosse ancora tutto se tutto era misura era o fosse o forse non era in questa frontiera ma nella fine dei fatti in questa fiera ho chiesto a me se ancora i confini della lingua se ancora erano o furono da trapassare a me ho chiesto se le paternali parole della gorgia mi dissero il giusto e l’errato il come o l’adesso foriero o ancora il dove la dose di scritto e di parlato ho chiesto a me nell’inferno interno me se adesso e ancora e dietro il vetro di un riflesso è successo spesso che ho chiesto a me se fosse tutto se [...]


Alessandro Ghignoli (Pesaro 1967), è poeta, critico e traduttore, ha pubblicato di poesia: La prossima impronta (1999), Fabulosi parlari (2006), Amarore (2009) Premio Lorenzo Montano 2010, La trasmutanza (2014), Ostrakon (2022); di prosa: Silenzio rosso (2003), Lenta strana cosa (2018). Tra le monografie, ricordiamo: Un diálogo transpoético. Confluencias entre poesía española e italiana (1939-1989) (2009), La comunicazione in poesia. Aspetti comparativi nel Novecento spagnolo (2013), La palabra ilusa. Transcodificaciones de vanguardia en Italia (2014). Ha tradotto numerosi volumi di poeti di lingua spagnola e portoghese, fra cui: José Hierro, Luis García Montero, Hugo Mujica, Juan Gelman, Mário de Sá-Carneiro.

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



sabato 17 febbraio 2024

(Polaroid XVIII): Francesco Filia

 

Polaroid: istantanee di poesia è una rubrica a cura di Luca Pizzolitto
Foto in copertina di Luca Pizzolitto


L'attimo dove / l'orizzonte s'incrina



Da Francesco Filia, L'ora stabilita (Fara Editore, 2019)


Nel tendersi
del giorno
fino al suo spasimo
non c'è che un battito
di ciglia e il muto
sgomento che non conosce
il suo inizio.

*

Un bambino ancora corre
nel buio, nella trappola
di stanze e spigoli
dove l'attesa è
l'orizzonte, l'estate
di tramonti e balconi, l'attimo
senza tempo.

*

Nel bianco dell'ultimo luglio,
contando sillaba
dopo sillaba
l'esatta misura che separa
ogni vita
dal suo urlo,
affondo
la penna nella luce
di questo
spezzarsi.

*

Non è nostro
il calmo
furore
della terra
l'immenso di
lampi e silenzio
la mano
che afferra
la ringhiera e trema,
non è nostro nemmeno
questo finire.

*

Ogni cosa è allo sbaraglio
nell'aperto
di incroci e onde sul lungomare
nella lontananza
di finestre e voci,
in un tacere
che non chiede
il conforto di un inizio.

*

Chi può dire
qual è
il punto di non ritorno
l'attimo dove
l'orizzonte s'incrina
dove ogni cosa
si frantuma
nell'aria di vetro
di quest'inverno.





Francesco Filia vive a Napoli, dov'è nato nel 1973. Insegna filosofia e storia in un liceo cittadino. Si interessa prevalentemente di filosofia, poesia e critica letteraria. Sue poesie e note critiche sono presenti in numerose riviste e antologie. Ha pubblicato i poemi Il margine di una città (Il Laboratorio, 2008); La neve (Fara, 2012); La zona rossa (Il Laboratorio, 2015); la plaquette L’inizio rimasto (Il laboratorio, 2017), le raccolte Parole per la resa (CartaCanta, 2017) e L’ora stabilita (Fara, 2019) e il libro di saggi critici Corpo a corpo (Fara, 2020).

venerdì 16 febbraio 2024

Spazio tempo nei versi di Michele Caliano. Tra cosmo e caos…

Michele Caliano, Canna-bis, Fara 2022


recensione di Michele Luongo
pubblicata su Via Cialdini

Spazio tempo nei versi di Michele Caliano. Tra cosmo e caos il fattore umano ci induce alla complessità della riflessione. “Credo negli esseri umani / più bestie che animali.”  

Spazio tempo nei versi di Michele Caliano con il suo nuovo lavoro Canna-bis. Poesie stupefacenti, edito da Fara, crea un ironico dialogo galattico con la quotidianità del fattore umano.

Michele Caliano, astrofilo, con una poesia baciata ci accompagna nel viaggio dell’universo uno spazio tempo con la forza di gravità dell’uomo: “Dicono che lo Spazio e il Tempo abbiano / un’unica equazione/ … spero tanto non sia un bidone enorme / ovvero di grande dimensione. / Nell’Universo/ ogni limite è perso.”

La lettura delle poesie è scorrevole e di piacevole sarcasmo: “Un limite di qua /
un limite di là/ … siam chiusi in una bolla: / speriamo non scoppi come una palla. / Finalmente ritorna l’Infinito/ciclico, casuale e definito/ … così chi ha avuto, ha avuto /e chi ha dato, ha dato.”

La raccolta poetica è arricchita da note di spiegazioni dell’autore che la rende ulteriormente ironica e interessante: “Viviamo nel mondo dell’incontrario dove il male vince sul bene, dove non c’è morale” così i versi: “Anche oggi il mio gallo ha fatto un uovo. / Solo che gli è uscito dalla bocca e non dal culo”. E quei volti nello specchio: “Credo negli esseri umani / più bestie che animali.”

Spazio tempo nei versi di Michele Caliano per una satira che incide nella follia dell’uomo: “… Paura, ansia e terrore / con un pizzico di orrore. /… Anche chi non è contagiato / viene schedato.”, e “In nome dell’economia / deve continuare la pandemia.”, “… Una vita del non senso / per far vostro ogni compenso.”

Il Poeta con il fascino dell’astronomia ci regala versi stupefacenti, fotogrammi che hanno segnato il nostro tempo che ci inducano alla complessità della riflessione sull’essere umano: “La vita di una farfalla è così breve / il tempo di riprodursi e poi morire / in modo lieve / L’essere umano è più longevo / ma del tempo e dello spazio è prigioniero.”

I versi di Michele Caliano hanno una poetica che ci fa sorridere, ma sono anche pungenti, amari, con un linguaggio senza confini narra dell’amore, della bellezza e soprattutto vibrano di autentica realtà quella di ogni giorno che ci circonda che si vive sulla propria pelle: “… la vita dei grandi / esseri arroganti / che senza guanti / distruggono i tuoi sogni / già affranti.”, “Il tempo che scorre / quello della vita / lo chiamano tempo soggettivo.”

Spazio tempo nei versi, una satira colta quella di Michele Caliano. Tra cosmo e caos il fattore umano, con i suoi continui tentativi d’immaginazione e creatività per l’illusione della vita: “Medito per non pensare”.

martedì 13 febbraio 2024

Lorenzo Spurio su "Sono Di Malta" della poetessa Tania Di Malta

Recensione di Lorenzo Spurio

 La poetessa Tania Di Malta, dopo un volume antologico di cui molto si è parlato nel quale ha raccolto una serie di poeti realista-terminali dal titolo Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale (Puntoacapo, Pasturana, 2022)[1], ha pubblicato la silloge dal titolo tautologico Sono Di Malta per le edizioni Ensemble a luglio del 2023.

L’opera s’iscrive in un denso percorso letterario che segue i precedenti lavori Aquiloni sul mare nella notte (CTL, Livorno, 2017) e Addio ai girasoli (CTL, Livorno, 2018) ed è la naturale prosecuzione di una lunga e convinta adesione al Movimento del Realismo Terminale (il cui Manifesto venne redatto e siglato dal Maestro Guido Oldani nel 2010) al quale ha fatto parte dall’ottobre 2017 al settembre 2023.

La Di Malta collabora attivamente da anni tanto con Oldani (che apre il nuovo volume con una sua breve nota prefattiva) che con il professore Giuseppe Langella, già ordinario di Letteratura Italiana all’Università Cattolica di Milano, considerato uno dei maggiori “teorici” del Movimento.

Oldani osserva che i testi della Di Malta “scorrono negli spigoli dell’armonia, fra l’ossatura della poesia civile e l’umanitarietà del singolo rapporto esistenziale” (7-8). Stile, immagini, concetti prettamente realista-terminali, echi e linguismi particolari (compresi esterofilismi) si coniugano in un dettato lirico prevalentemente asciutto e in alcuni tratti ruvido, tendente più a depistare che a rivelare. Non mancano sguardi critici verso il reale circostante, mai disgiunti dalla compartecipazione robusta e cosciente ai fatti – più o meno piacevoli, anzi spesso drammatici quando non addirittura traumatici – della contemporaneità. “Questo mondo trita divora inghiotte / e alla cassa evade lo scontrino” (23).

La metafora rovesciata, che è cardine fondante della poetica dei realisti terminali, si concettualizza in una oggettivazione anche dell’immateriale, in un transfert (a volte spaventoso, altre volte riflesso di una distopia che s’avvicina) da organico a materia inerte. L’approccio è chiaramente polemico (nel senso autentico del termine, di “battagliero”) e tragicomico: anche l’identità dell’individuo, che dovrebbe essere peculiare e distintiva, può divenire indistinguibile e generico oggetto. Sono Di Malta – recita il titolo dell’opera – che è una sorta di gioco intelligente sull’omonimia e la polisemantica che proviene da un intendimento di questo tipo.  A ragione Langella etichetta l’Autrice (alla quale dedica un’impressiva poesia posizionata in apertura del volume) nei termini di “un bazooka, […] un lanciafiamme” (9) con l’aggiunta, pochi versi dopo, di una dichiarazione potente: “Ha fegato e cuore da guerriera” (9).

Due poesie, in apertura, sono poste “a specchio”, si tratta di “Flash”, in ricordo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki dei tremendi attacchi nucleari del 1945 (“nel cielo s’aprì il sesto sigillo // […] // Lì dove l’erba mutò in cemento”, 11) e “Le colpe dei padri”, coda riflessiva e postuma dell’eccidio ormai storia lontana di cui indirettamente possiamo sentirci responsabili.

L’opera si snoda in cinque micro-sillogi interne, ciascuna dotata di una sua propria titolazione: “La piazza”, “Luna park”, “Il cono d’ombra”, “La Pandemia” e “Un secchio d’azzurro”. Si ritrovano nel volume alcuni testi precedentemente letti (e commentati) facenti parti del volume già citato Il gommone forato (2022) tra cui “Icaro.com” dedicata a Laurent Barthélémy, colui che nel 2020 “vol[le] fare di un carrello le [s]ue ali” (27), divenuto poi “bagaglio in aeroporto” (27), dedicata a colui che “part[ì] bimbo, arriv[ò] surgelato” (27). Nella sezione dedicata alla pandemia sono contenuti versi che tratteggiano quegli attimi dolorosi visti e vissuti direttamente dalla trincea ospedaliera, dove l’Autrice lavorava e lavora, impiegando un linguaggio rarefatto, denso di terminologie farmaceutiche, in una sospensione di respiro a tratti ottundente, ma c’è anche il ricordo dell’estrema solitudine del Pontefice in Piazza San Pietro in quelle ore tragiche dettate dal distanziamento e dalla paranoia collettiva.

Una boccata d’aria pulita e un vento sorgivo che annuncia una lieve rinascita dopo la sconvolgente esperienza sociale che ci ha divisi, impoveriti di cari e amici e forse responsabilizzato un po’ verso l’altro, sono contenuti nei pochi versi finali che appartengono alla sezione “Un secchio d’azzurro”: “Apri le cancellate della mente / infrangila la bolla d’aria e prova / la voluttà di un tuffo rovesciato / per esperimenti di felicità” (79). L’approdo di una nuova età non è semplice risultante consecutiva al procedimento complesso e affastellato dei fatti e degli accadimenti, ma necessita di resilienza, impegno e compromissione, d’intervento attivo e di spirto polemico, di rivendicazione onesta delle proprie idee, che è quella “voluttà di un tuffo rovesciato” di cui la Nostra ci parla.

 

 

Lorenzo Spurio

 

Matera, 23/01/2024



[1] La mia recensione a quest’opera è stata pubblicata sulla rivista «Oblio», anno XII, n° 46, dicembre 2022, pp. 201-203.

domenica 11 febbraio 2024

“come i ricordi che tardano a morire / perché di noi hanno rubato tutto”

Macabor 2023

recensione di AR


Come colonna sonora a queste poesie mi piace consigliare Everything that rises di Sufjan Stevens, canzone sublime ispirata al convergere in alto di Teilhard de Chardin. La vita è un percorso inevitabilmente labirintico, fatto di scelte a volte inconsapevoli, altre non propriamente libere, altre ancora abbarbicate a un ego che vuole primeggiare o fuggire e sparire o viene annichilito da situazioni opprimenti e violente. Sì perché il male esiste e l’unico modo di farci i conti è aprire in noi pianure di obbedienza (chiedendo udienza ai santi e al Crocifisso, v. p. 53) e spazi di umiltà (“e mi chiedevo quando avrei servito l’assoluto”, p. 81), quell’umiltà autentica e ricca di empatia che spinge Marina a cantare, alla fine del libro (p. 82), queste parole: “E quando verrete tristi alla mia tomba / portatemi gli affanni come dono / saprò tagliarne il peggio limando le preghiere”. Si può notare subito la musicalità della raccolta costellata di endecasillabi (anche l’ultimo dei tre versi testé citati è costituito da due settenari giustapposti, ed è preceduto da un endecasillabo). Anche la morte diventa allora “il cratere che bruciando non consuma” (p. 75) e, se la vita è “un lento progredire d’abbandoni” (p. 72), “un’altra luce illumina l’ignoto” (p. 63). Se “Il pensiero è una reliquia talvolta / un tralcio battuto dal vento”, ci resta sempre l‘anima incrostata di grazia (cfr. p. 62) e abbiamo guide come san Francesco “soglia di un altrove senza imbrogli” (p. 60).

“Forse è così che nasce la parola / pregando”, afferma Teresa Anna a p. 48, e infatti un tono mistico aleggia nei suoi versi immaginifici. È un misticismo aperto e curioso, non tenebroso: “I sensi che fuggono al mistero / lo sentono svanendo che sei qui / nel punto in cui mi perdo” (p. 42). Non sono certo  evitabili le grandi domande dell’uomo, prima fra tutte quella del perché del male spesso banale e gratuito e sempre sterile (cfr. Guerre e lampade a p. 36 da cui estraiamo i versi seguenti): 

Guardare il cielo non basta
anche le siepi fioriscono lamenti
e le cortecce sfrangiano piovendo
l’unica pazienza che rimane
di noi in piedi, scialuppe di preghiera
dimenticate al fronte

Marina sa dare voce all’ineffabile, al suono inesprimibile di quanto sta nei cieli, sulla terra e sottoterra. È un sono buono, poetico, ovvero creativo e motore infinito di relazioni, immagini, visioni: “la gola dei gabbiani stila il suo lamento / mentre le ondate si annidano agli scogli / battendovi sopra come un cuore” (p. 24);  “È lì che ti ascoltai la prima volta – / sospesa in un coro di silenzio / – soffiare fra le foglie il tuo martirio” (p. 26). Concludiamo questo breve viaggio nella raccolta citando la prima strofa di Piccolo fuoco (p. 19, poesie scritta o ispirata ad Assisi / Santa Maria degli Angeli) che è un po’ un autoritratto-confessione dell’autrice:

Il piccolo fuoco che ho dentro
dimentica il superfluo
depone le armi, unisce le patrie
chiarisce la sabbia ai fondali
e abbraccia una quiete diversa
come se il sole cucisse ogni nome
spremendo dai cedri la gioia


PS I versi posti a titolo di questa recensione sono tratti da Assisi (p. 28).