sabato 24 febbraio 2024

“Scegliere è un privilegio”

Ilaria Amodio, Foglia e Radice
peQuod 2024, collana Portosepolto
diretta da Luca Pizzolitto e Massimiliano Bardotti

recensione di AR




Il titolo di questa nota è tratto dalla seconda strofa (un distico in corsivo) della poesia a p. 53 che inizia con “E mi trafigge il tuo silenzio” e, dopo il verso citato più in alto, continua così: “e una condanna allo stesso tempo // mai sapremo l’esistenza scartata / ma avvertiremo l’onda / del fiume che scorre parallelo / e che attraversa ad ogni foce”. A p. 51 Ilaria ci dice che ”è una meteora ogni incontro”; a p. 45 invoca “ma tu fammi essere ovunque / vivendo nei tuoi occhi”. Risalendo di qualche pagina troviamo una vibrante cartolina di Bologna che termina così (p. 41): ”la città vive dei nostri passi / così appassisce e rinasce / ogni volta che tu l’attraversi”.
I luoghi sono importanti in questa raccolta di esordio della poetessa riminese e non si tratta solo di città, ma anche “di fiumi mai presi / nei volti di passanti sconosciuti / per trovare un po’ di sé / o quel che rimane“ (p. 31), o angoli dove “restano pietre, fiumi prosciugati, sottili insenature / ad abitare muri e volti // (…) // Sono tutti nell’ombra / a vestire il graffio dell’aurora” (p. 29). Lo stesso “scrivere è un richiamarti / da luoghi e tempi sommersi” (p. 21), un esprimere “la solitudine dal campanile / compiersi in un passo senza tempo” (p. 37).
La concretezza con cui Ilaria descrive gli spazi attraversati ci invita a farci suoi compagni di strada, e ogni cammino, lo sappiamo, comporta un viaggio parallelo dentro di noi e dentro chi ci è particolarmente caro e affettivamente prossimo. 
La sua lingua è lessicalmente piana e tersa, ma non priva di scarti sintattici e “fratture” di senso: come la limpida corrente di un corso d’acqua che aggira le rocce più grandi, lambisce più lenta la riva dalla curva più ampia, permettendoci di intravedere nel fondo il colore dei ciottoli a cui magari affidare qualche ricordo, e di riflettere, nei punti in cui le acque sono più calme e il fondo più scuro, qualche instantanea (impermamente) di noi stessi e di chi ci è accanto, di chi (Chi?) portiamo nel cuore a cui poter confidare: “così è questo viaggio / mentre enunci il tuo nome / e l’istante esala un grido / che non puoi afferrare” (p. 17).

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