Annalisa Rodeghiero, A oriente di qualsiasi origine, Arcipelagoitaca 2021
recensione di AR
“È un’invenzione il tempo / non esiste. // Ma l’abbiamo perso / né mai lo perderemo.” Questo ci dice Annalisa Rodeghiero nella penultima poesia della raccolta (p. 80). Qualche pagina prima (76) ribalta quanto affermato da Eraclito nel frammento 76 Dell’origine (… l’aria vive della morte del fuoco …): “(…) / (era il fuoco sacro che mi rubava l’aria, / (…) / Forse allora Eraclito mentiva / o, forse, almeno in parte si sbagliava: // in me – è il fuoco sacro, l’aria, / l’aria che vive della vita del fuoco.)”
Risalendo a p. 70 troviamo questo passaggio: “È una sfera opaca il tempo – mutamento e limite / (…) oppure io non vedo dove le cose cambiano / nome o non capisco. Ma così insieme – mai così soli – / andremo. Senza nome né mani di carezze.”
Ho citato dalla Parte quarta. Nel meridiano dell’indugio che non a caso si apre con questo esergo eliotiano (Little Gidding, in Quatto Quartetti): Quello che noi chiamiamo principio spesso è la fine / e finire è di nuovo cominciare. / La fine è da dove veniamo.
Retrocedendo a p. 61 (siamo nella Parte terza – Nel silenzio delle rive, con un esergo di Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, che come al solito dà il la: Penso, molto semplicemente, che l’acqua sia l’immagine del tempo.) mi imbatto in questo splendido distico che chiude la poesia XXXVIII: “Quale che sia la meta / è tutto nella fede dell’andata il compimento.”
A p. 55 poesia XXXII Annalisa ribadisce la responsabilità e la bellezza di vivere ogni momento per la sua unicità: “Se ciò che accade, era accaduto prima / se è nello svelarsi che sta l’accadimento, / se la parola detta era stata già pensata / noi, dentro questo ottobre spento / non saremo che l’ombra che ci precede il passo.”
Siamo arrivati alla Parte seconda - Le promesse della neve, da cui cito quanto segue: “Se albeggia sugli abeti neri / tra le sfibrate frasche / occorre fermarla quella luce / – se possibile – orientarla oltre il silenzio delle mani. / Interrompere il buio della resa / credere ancora al verso atteso e perso.” (XXVII, p. 46)); “E vivere appieno il mistero di certi istanti minimi, / la loro instabile sapienza. / Ignorare ciò che non sarà. Che non potrà essere / per mia, per tua costituzione.” (XXI, p. 40). L’esergo rilkiano (dalla Seconda elegia, in Elegie duinesi) di questa sezione esprime il desiderio di una striscia di fertile terra, tra fiume e roccia.
La Parte prima – Il nome pronunciato si apre con queste parole di Marina Cvetaeva (dalla Lettera del 4 giugno 1034 a Jurij Pavolovič Ivsak, in Deserti luoghi. Lettere 1925-1941): E senza anima, fuori dell’anima – ho forse bisogno di qualcosa io?
Alcuni fugaci lacerti: “… cerco concordanza nelle cose. / Abito – come ognuno – dentro questa lotta” (XIV, p. 29); “Scegliere l’unica direzione possibile / di felicità struggente, invidiando al sole la certezza / del suo moto periodico apparente.” (XIII, p, 28); “L’anima se c’è nasce già pronta, / mia amata Cvetaeva. …” (VI, p. 21); “Ma l’anima – almeno l’anima – / sentivo svincolata dai confini, / l’anima sapeva la sua rivoluzione.” (I, p. 16); “Se è vero che siamo ciò che guardiamo, / in questa trasparenza inimitabile / noi siamo – l’aroma dei rintocchi / che dalla legna scricchia dopo la pioggia / (…)” (Il profilo dorato dei rilievi, p. 15).
La voce della poetessa veneta è scientifica, precisa, ricca di immagini in tensione, abile nell’uso delle inarcature, delle sinestesie, delle onomatopee; è in dialogo provocante (nel senso etimologico della parola) con sé stessa, con le persone e i luoghi amati, con la vita e la sua origine; gioca dialetticamente con il pensiero filosofico e religioso con una autoironia colma di rispetto, di stupore per un oriente che non si lascia incapsulare dalle nostre parole (ma quelle “poetiche” lo possono sfiorare). Come afferma Massimo Morasso nella acuta Prefazione: questo libro ha “ambizioni cosmogoniche”, l’anima “è l’indiscussa protagonista del dettato”, “La quadripartizione del macrotesto ordina i quattro elementi (…) – aria terra acqua fuoco – in una architettura versale atta a dare evidenza sottile della stretta connessione simbolica fra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale…” (p. 5).
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