mercoledì 2 agosto 2023

“non si può amare ciò che non ha nome”

Massimo Morasso, La leggenda della primavera, Algra Editore 2023, Prefazione di Antonio Di Mauro 

recensione di AR




«In questo La leggenda della primavera al centro del mio discorso sta (…) la “memoria”, l’insistenza sui contenuti della quale può dar profitto, secondo me, soltanto se siamo in grado di affidarci a un pensiero emancipativo, ri-creativo di senso.” Così l’autore nella Postilla personale (p. 100).

L’opera è divisa in tre sezioni: “Nel ritmo del ritorno”, “Distacco” e “Le storie dell’aria”. Partiamo da quest’ultima. A p. 96 troviamo questi splendidi versi in corsivo (un endecasillabo, un martelliano, un endecasillabo e un settenario): “il tempo qui non passa, il tempo accade, / il tempo inizia e poi continua a ritornare / nel punto in cui il tuo sguardo cede al sogno / e incontra l’Impossibile.

Spesso ricorrono in Morasso spacchi, ferite e crepe, incrinature, frammenti, separazioni e immagini simili; ad esempio: “ci sono gli immigrati sulle gru / e spacchi nel cemento fra i capannoni messi a nuovo” (p. 90); “Qui su in Alfama sono basse anche le porte / delle case tagliate in due da lunghe crepe, / (…) / … se uno tirasse il addio il pallone / finirebbe giù chissà in quale spacco tra i muri…” (p. 91); “Frammenti, ti dico, Lampi di mezze / memorie che invece di penetrarmi / mi spezzano. / Andrea non basta averli, / i ricordi. / Occorre avere la forza di perderli / per non tradirli.” (p. 67, XI della seconda sezione del libro).

La memoria del poeta tiene traccia di queste cesure, di questi accadimenti epocali (nel senso etimologico, sospensivo-critico, della parola) e forse, riportandole al cuore, le cura o almeno ne connette i labbri (senza eliminare ovviamente la cicatrice) col fino tenace della corrente vitale che tiene insieme vecchio e nuovo (cfr. la poesia a p. 87). Abbiamo dunque una tensione “impegnativa” ma generativa (come le doglie paoline, v. Rm 8,22-23) fra attaccamento e distacco, fra il ritrovarsi e l’uscire da sé, fra al di qua e al di là, fra l’accettarsi e l’affidarsi, fra il comprendersi e il donarsi, fra fede e ragione: “Il distacco non è un progetto / della mente che desidera. / Semplicemente accade. Si dà. Scioglie / e ricompone il mondo nel suo centro.” (p. 72, XVI); “il punto di raduno / dei ricordi è l’anima / lo spazio di purissima coscienza / protetta tra le palpebre / chiuse per pensarla.” (p. 70); “l’abbandono come la casa più nostra” (p. 64, VIII); “Distacco è gettar via l’abito / per non soccombere davanti al demonio: / è una disposizione del pensiero che s’indentra / nella fortezza della sua umiltà.” (p. 60, IV); “La via del distacco non ha luogo, / (…) / si aggira per sentieri imprevedibili” (p. 59, III); “Il distacco a guardar bene è la ragione / e la ragione è la fede / nella ragioni dell’invisibile.” (p. 58, II).

Morasso confessa nella I poesia del “Distacco” (p. 57): “affidarmi alle parole, / a un gesto estremo di pietà”. Ma nella poesia IX (p. 65) afferma: “Scrivere sembra sempre più difficile”. Si avverte un nostalgico desiderio di redenzione, di salvezza, di distacco dalla stessa forma poetica, dai suoi ritmi più o meno canonici, dalle sue immagini sintetiche e multireferenziali se disancorate dalla verità, ovvero dalla vita. Non a caso diverse composizioni, specie nella sezione iniziale a cui siamo giunti in questo cammino a ritoso, hanno un tono prosastico, adottano un linguaggio da reporter, non disdegnano la precisazione scientifica, lo sguardo da entomologo (cfr. ad esempio la poesia dedicata all’ape a p. 49). Una sobrietà ligure e cristallina aleggia ovunque in questa Leggenda, rendendoci vicino il suo dettato non privo di intense vibrazioni che animano il silenzio necessario alla parola con cui Morasso pudicamente e coraggiosamente si espone quasi fosse sul tavolo del medico legale che si accinge a farne l’autopsia. Ma chi è morto? Il poeta oppure noi lettori spesso inerti e atarassici, concentrati per lo più sul mantenimento di un nostro precario equilibrio? O è la stessa parola poetica a non arrivare più? 

Chiudiamo questo nostro piccolo viaggio citando integralmente la poesia a p. 46: “Ci sono certe notti che il paesaggio / sembra muoversi con circospezione, / disporsi al nuovo cautamente / in un chiarore pieno di presagi / si attende a lungo / fuori di metafora / la svolta decisiva del linguaggio.”    

PS Il verso che intitola questa recensione è tratto dalla poesia a p. 89. Molto utile la lettura della bella Prefazione di Antonio Di Mauro.   

Nessun commento: