domenica 25 giugno 2017

“Poesia è un fatto di presenze”

Massimo Morasso, L'opera in rosso, Passigli Poesia 2016, pp. 112, €  14,00
presentazione di Giancarlo Pontiggia

recensione di AR

https://lombradelleparole.wordpress.com/2017/06/08/massimo-morasso-poesie-scelte-da-lopera-in-rosso-passigli-2016-commento-impolitico-di-giorgio-linguaglossa-larte-e-magia-liberata-dalla-menzogna-di-essere-verita/


“Ci sono nove modi di guardare una finestra, / o addirittura dieci se a guardarla sono i morti / con il loro sovrasguardo immateriale / che vede tutto il mondo in forma d'anima.” (p. 30); “E intanto vedo i morti che s'aggrappano alla tenda, / e dietro la finestra, in ghingheri il destino.” (p. 76); “La vita non ci deve nulla. / Noi, invece, le dobbiamo tutto / ciò che siamo / o che possiamo  diventare.” (p. 94, anche il verso scelto come titolo di questa recensione proviene da questa poesia emblematica, ne cito un altro paio: “poiché l'arte di scrivere / è l'arte di pensare anche per gli altri.”). Ecco, immergermi ne L'opera in rosso è stato per me estrarre tante emozioni “lontane” e profonde e sentire di condividere con l'Autore tratti non trascurabili di un cammino che non è tanto intellettuale o ideologico bensì, oso dire, spirituale o quantomeno escatologico: “Io credo / che la risurrezione dei morti / sia vera in uno spazio svrannaturale / in mezzo al cuore dei viventi. / Che accada in un non tempo / che è un eterno / in Dio, come in chiunque.” (p. 68, v. fra i tanti versi in argomento anche quelli ispirati a Caterina Fieschi a p. 28 e altrove).
Ho trovato in queste pagine non solo la nostalgia di Maestri (come il Luzi “Perso / nei suoi pensieri … / (…) / nutrendosi del senso / e del suo oltre …”, p. 71) e quella degli affetti più cari che ci hanno lasciato (“Di voi, senza più corpo, non so nulla, / vi immagino remoti e spaventati / (…) / E com'è strano, sentirvi irraggiungibili e presenti…”, p. 25) o anche la saudade riferita a luoghi, a esperienze che ci hanno formato/segnato, al sublime che ispira l'arte o la natura (“Per mettere i piedi nei due mondi / mi basta, a volte, passeggiare al Righi, / in giorni come questo che è una trottola di foglie, / fra il rosso e il giallo ciò che resta del cammino / nel guizzo dei volatili nell'anima dei pini.”, p. 27), ma pure un costante e pervasivo andare in cerca di una Presenza, il desiderio di trovarla (certo parzialmente eppure preziosamente) riflessa nelle persone che sono state o saranno significative per il nostro viaggio esistenziale: “È una forza di grazia / che non sa nulla di traccianti e puntatori: / lei spalanca. / Nel suo riverbero ritorno a dire di mio padre, / le braccia di uno spettro che danzava / chissà in quale tensione disperata della mente / chiusa alla carne, rivolta all'invisibile.” (p. 31).
Il rosso è il colore del vino, del sangue, della vita, del fuoco… quest'opera è  dichiaratamente vitalistica e anche nel suo modo british – passionale, provocante, ardita, inquieta e mistica: “È l'anima che umilia / la voluttà dell'occhio e dell'orecchio / che a furia di passione illimpidiscono… /(…) / Com'è difficile scavare nel presente. / Qui / dov'è eternità – / ed è tutta d'un colpo.” (p. 95); “io polvere stellare, / esisto e dico amore prima di tornare / chissà in che anfratto del disegno universale / mi aggrappo ai miei sei sensi, / e alla pietà di Dio.” (p. 24).
Il libro è diviso in due sezioni ampie: “Memorie, vive, come polline” (a sua volta scandita in quattro sottosezioni) e “Fra i fili della rete del vivente” che ci fanno oscillare fra l'area della memoria e dei ricordi e l'attualità in cui è necessario fare il punto del nostro “quantistico” stare-andare, fare dunque un esame di coscienza laico alla Renato Serra considerando le tappe raggiunte e quelle disattese e darsi una direzione verso quelle che ci “aspettano”. 
La sezione finale – “Pensare il silenzio” – è costituita da una sola canzone in cui Morasso in terza persona ci parla di “una rotta illineare, un passo a due, un passo / verso il cuore, / e uno del cuore verso lui. / (…) / … sente nel petto / un creaturale rispondere a una legge / fra moto e stasi fra materia e idea / (…) / sente in un refolo una voglia sconfinata, / e poiché ormai sa di non poter conoscere / l'al di là che si rivebera in parole, / non per questo / non crede / di non poter sentire in lei il suo stesso fremito, / quando sfonda il suo perimetro la mente” (pp. 99 e 100).
Una confessione pura, tersa, vibrante, autentica, musicalmente marinara e “infinita” che solo un poeta genovese poteva donarci.    

Nessun commento: