Patrimonium
Padre, io non posso credere in un Dio
che mi somiglia. Non posso crederti
la scimmia di altre scimmie. –
È troppo –
quando tutto torna.
Questo Dio di
cui parlano gli uomini
ha barba e
braccia, ma se i cervi
pregassero –
avresti le corna.
*
Padre, l’uomo non può liberarsi dalle
sue forme.
E
tu sei come quegli alieni fasulli
dalle sembianze antropomorfe.
Ma ovunque tu sia, la tua – è la misura
di altre cose. Padre, io non credo in
te
solo perché non credo alle persone.
*
Padre, tu sei una nudità
difficile da spogliare.
Sai di parole e silenzi, di
millesimi e millenni.
Tu sei la risposta alle
domande mancate;
tu sai la voce – che ci condanna a
parlare.
Ma padre, siamo onesti:
saper vivere
è la capacità di risolvere
il problema
di un problema – che non esiste.
*
Non sei mai stato chiaro. Tu
confondi.
Tu vivi di possibilità e
interpretazioni.
Ma ti capisco, padre: se tu sei come noi,
avessi parlato una volta per tutte
saresti morto per sempre con noi.
*
Al cielo? All’amore? Al
futuro?
A quale nulla votare il
respiro? –
Sciogliersi, l’hai
decretato, è la natura della neve;
ma vedi, padre, è disertare
allora se preghiamo,
se viviamo senza una
ragione
e ci preoccupiamo di non
morire invano.
*
Quale deserto è più
sconfinato
di un parlare chiaro che
può non essere capito?
Sì, padre, siamo soli di
parole:
nonostante gli sforzi,
comunicare –
è l’esercizio di una
solitudine feroce.
*
Penso all’universo.
E penso che per una
formica
un solo ettaro di terra –
non sia poi tanto diverso.
Sembra quasi di vederla
affaccendarsi –
alla ricerca del suo
orizzonte introvabile,
perché così smisurato
da contenerla per intero.
Forse – tu sei il nostro ettaro.
Forse sei talmente grande – da esserci segreto.
Ecco padre, è questo il
limite:
cosa c’è di più invisibile
dell’immenso?
*
E se anche questo dolore
non fosse senza eguali?
Se questo cercarti non
fosse il primo?
Se tu stesso, ovunque e
disperso,
stessi tentando invano
ancora un
cenno da noi?
Padre,
tu sai quanto sia scivoloso sentirsi speciali
– perché sai
quanto assomigli – a sentirsi soli.
Ma non fai eccezione,
nessuno è escluso:
niente è unico, perché
tutto è uno.
*
Padre, è così difficile per
l’essere
Né buio né luce, né
principio
né fine: se la morte non
fosse,
sarebbe finalmente se
stessa.
*
Un’assenza è un’assenza
soltanto quando qualcosa
resta.
Adesso è più chiaro, padre:
tu sei il tuo stesso
mancare.
Lo hai insegnato persino ai
poeti:
a volte – bisogna morire per
riuscire a parlare,
perché solo chi non ha
niente da dire –
avrà sempre qualcosa da
aggiungere.
Dario Talarico è nato a Roma nel
1990. Poeta e critico letterario, è direttore
puntoacapo della collana di opere prime Controcorrente e redattore di «Laboratori
Poesia». Suoi testi sono apparsi su «la Repubblica», «Studi Cattolici», riviste
di settore e antologie. Per la poesia ha recentemente pubblicato Il coraggio di non lasciare il segno
(puntoacapo, 2019, European Poetry Prize Adam Mickiewicz, 2021) e Autopsia (reiterata). Poema
logico-filosofico (ivi, 2022, finalista Premio Nabokov, Montano, Carver e
Michelangelo Buonarroti, 2022), dal quale un estratto è stato tradotto in
Russia col titolo Простор для невысказанного / Spazio per il non detto (Free Poetry, 2021). Suoi contributi critici sono inoltre
apparsi su «Laboratori Critici», «Il sarto di Ulm», «Metaphorica» e sui
lit-blog «La poesia e lo spirito», «L’EstroVerso», «Poetarum Silva», «Almanacco
Punto» e «Monolith».
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