recensione di AR
Eleonora ci porta dentro le vicende antiche eppure così attuali dei martiri, dei profeti. Scrive Massimiliano Bardotti nella coinvolgente prefazione (p. 7): “Questo libro ha già nel titolo la sua profezia, perché imprese come quella di chiudere le fauci dei leoni (…) equivalgono all’impresa di essere poeti fino in fondo, (…) capaci di indicare una via di luce, una via della bellezza, in questo mondo dove le tenebre sono ben in vista e alla portata di tutti.”
In effetti, immergendoci nelle pagine della raccolta, che ha in esergo una citazioni di Eb 11,29.33-34 da cui è tratto il titolo, veniamo colpiti da visioni, racconti, suggestioni in cui troviamo una stretta connessione tra creazione e poesia (parole peraltro semanticamente vicine): “Scrivere è l’impresa di un esercito a ritroso / (…) / cercare al buio la stanza che contiene la candela / (…) / e cercare in questa luce fioca / cos’è che ora si vede.” (p. 19. Gli ultimi due versi appena citati (un endecasillabo e un settenario) potrebbero essere considerati il fondamento della deontologia del poeta, il quale ha una sensibilità visionaria, mistica, capace di indagare fatti, emozioni, corrispondenze amorose e accadimenti anche a una “luce fioca”. Ascoltiamo Eleonora: “quando il giorno ha finito il proprio tempo e si congeda / così il cielo diventa luogo di passaggio, del dono / della luce di sé stessa al buio” (p. 33); “non nella certezza del saputo risiede la salvezza / invece corre forte il fiume in piena nel luogo dell’incerto” (p. 34); “C’è un amore quieto nelle cose che esistono di fianco ad altre cose senza presenza alcuna di spiccare” (p. 41). Come si vede i versi sono spesso molto lunghi ma hanno un loro ritmo recitativo bello e catturante, ad esempio quest’ultimo verso può essere suddiviso in tre perfetti endecasillabi (con iato fra un e amore): C’è un amore quieto nelle cose / che esistono di fianco ad altre cose / senza pretesa alcuna di spiccare.
Evangelicamente la poetessa salentina afferma: “Amo il tronco di traverso sulla strada / (…) / e il volto d’odio che incontro sulla via / poiché se io lo so ascoltare urla d’amore / amo la morte che mi ama da quando sono nata / poiché al suo fianco solo sono in vita” (p. 57). La citazione si conclude con un fulgente endecasillabo che avrebbero potuto scrivere Góngora o Marino come anche anche il verso ribollente di ossimori che troviamo a p. 58: “esiste una festa nella morte ed un dolore in ogni amore vero nella vita”. La fiducia nella vita, in ogni esistenza in cui non manca mai una scintilla divina, nell’amore che salva e trasfigura, è diffusa a piene mani: “niente è perso di quello che c’è stato / ogni passo ha fatto strada ed ogni inciampo ha fatto forti le ginocchia” (p. 61); “sono scalza ed il sentiero è ispido e pietroso / ma io camminerò posando i piedi sulle palme delle tue mani aperte” (p. 95).
Nessun commento:
Posta un commento