di Gabriele Oselini
Prefazione di Fabrizio Azzali
Copertina di Elvira Pagliuca (studio
Kaleidon)
Fara Editore
Poesia silloge
Collana Sia cosa che
Pagg. 64
ISBN 978 8897441 014
Prezzo € 11,00
Inspiratio natura
Nella sua prefazione a questa silloge,
Fabrizio Azzali cita il riferimento ad alcuni dipinti del grande pittore
romantico inglese John Constable, con
quegli orizzonti che sfumano in cieli solo lievemente corrucciati, una
pittura naturalistica che ha i tratti sfumati, tenui e pur così coinvolgenti
propri dell’acquarello. È indubbio che quest’opera poetica di
Gabriele Oselini approdi, attraverso le parole, a descrizioni paesaggistiche
del territorio padano, non fini a se stesse, ma
metafore degli stati d’animo, dei sentimenti, delle emozioni dell’autore (al tramonto / con frivola certezza / dallo
stagno odoroso / molle di luci ondulate / soffuse fra frasche di salice / e
anatre in fila affamate / dietro il ponte verde marcio / vola un rondone.).
Pochi versi e si apre uno squarcio nel grigiore quotidiano per un ritorno alla
serena complessità della natura, una natura realistica, non idealizzata come
un’Arcadia, ma semplicemente portata alla luce perché se ne sappiano cogliere i
positivi influssi, immergendosi in essa, parte e mai controparte del caos
perfetto dell’universo.
Per chi non si lascia travolgere dalla
quotidianità è un ritorno alle origini, un rifugio a cui approdare dopo una
continua fuga da se stessi. C’è una certa atmosfera che si può ritrovare anche
nelle Bucoliche di Virgilio, ma non
stupisce perché l’essere umano, per ritrovare il suo intimo io, deve ritornare nel grembo della
grande madre, appunto della natura.
Le sensazioni indotte, però, non si limitano solo
ai tratti di pennello con cui si delinea il paesaggio, perché come in ogni
opera pittorica assumono valenze i colori, quasi sempre tenui, un’impalpabile
mano di vernice che sembra dissolversi nell’aria se si soffia sulle pagine ( Greve / il giorno della merla / colora
d’opale / la neve.). La fine di gennaio, nel pieno dell’inverno, assume
così i tratti di un freddo interiore, di una stagione morta da cui è possibile
risorgere solo a primavera ( da Rondine – linea
nera / veleggi / nell’azzurro / sinuosa…).
E la natura è sempre protagonista,
anche laddove fa da sfondo a un emergente ricordo (da Compagno Bruno – … Dorme ora la tua anima / capace di assalti
/ un tempo verdi / di alberi amati / lungo la strada
del Po /…) ( da Ennio – un vecchio
salice / monta la guardia / alla barchessa / abbandonata / dietro il bugno…).
C’è una semplicità in queste poesie che
è perfino disarmante, ma esse sanno ricreare un ambiente, un’atmosfera
palpabile e che coinvolge, magari senza la vena mistica propria della
produzione di Tagore, ma quel senso innato di rispetto
e amore per la natura c’è tutto, come quell’inconscio ritorno al passato,
un’isola lontana che riaffiora dentro fra le brume dense del tempo presente, e
che non ci fa dimenticare da dove veniamo, alla ricerca di una rotta sicura e
serena nei marosi di un’epoca che procede come un veliero disalberato.
Sono una quarantina di poesie in tutto,
fra le quali Piove, che dà il titolo
alla silloge e che è paradigmatica di tutta l’ars poetica di Oselini (fra arabeschi / color verde / su nubi
diafane / chiaro un raggio / – o forse un’ombra – /…). Natura che richiama i
ricordi, memorie che si fondono nel paesaggio, colori tenui, un senso di vita
calmo, pacato, appena sfiorato da quell’ombra, quasi sempre nascosta, e che di tanto
in tanto ci ricorda che l’eternità non è per noi, piccoli esseri che per poco
tempo alimentiamo quell’autentico miracolo che è la vita.
Leggete queste poesie, ritroverete una
serenità di cui non serbavate nemmeno il ricordo.
Nato
a Viadana in Provincia di Mantova il 19 settembre 1953 ed ivi residente, Gabriele Oselini si è laureato in Pedagogia presso l’Università
degli Studi di Parma. Negli anni ’70 ha conosciuto Daniele Ponchiroli, viadanese, capo
redattore della casa editrice Einaudi, dal quale ha avuto stimoli importanti e
utili alla propria formazione culturale e umana e col quale ha intessuto un
rapporto di profonda amicizia. È insegnante di Italiano nella Scuola Media
dell’Istituto Comprensivo di Sabbioneta. Sposato con due figlie, impegnato in
politica, ha ricoperto per anni l’incarico di Assessore alla Cultura, Pubblica
Istruzione e Politiche giovanili del suo Comune. È appassionato di letteratura
e di poesia, con particolare attenzione per quella latinoamericana del
Novecento. Ha partecipato a diversi concorsi locali e nazionali: è stato
segnalato alla III edizione del concorso Pubblica con noi di Fara Editore,
con cui ha pubblicato nel 2005 una selezione di poesie all’interno di AntologiaPubblica e, successivamente, le sillogi Specchio (2006), e Finito
(2008).
Renzo Montagnoli
Intervista
di Renzo Montagnoli a Gabriele Oselini, autore della silloge poetica Piove, edita da Fara.
In questa raccolta è sempre presente la
natura, una natura vista poeticamente, una proiezione quasi metafisica che fa
da cornice a stati d’animo, venati, peraltro soffusamente, da una dolce
malinconia. Potrebbe essere definita, ma nel senso più ampio del termine, una
poesia bucolica, una deliziosa serie di acquarelli dai colori tenui e sfumati.
Quale è il suo rapporto con la natura e, nel caso specifico, si avvale della
stessa per portare avanti un suo discorso poetico, oppure rappresenta la fonte
d’ispirazione dei suoi versi?
Definire i versi di PIOVE come poesia “bucolica”, è, per me, oltremodo
impegnativo, in quanto la grandezza della poetica virgiliana supera ampiamente
i confini di una semplice descrizione della natura con una serie di acquarelli
dai colori tenui e sfumati: vi è comunque in Virgilio la concezione dello
spazio come rifugio metafisico da una realtà terribile fatta di violenze,
ingiustizie, orrori quotidiani; l'Arcadia, frutto della sua coltissima
fantasia, è stata definita un “non luogo”, dove vivere metaforicamente quella
bellezza e quella pace che le soldataglie scatenate delle guerre civili e delle
conseguenti successive lotte impedivano di vivere nella realtà.
Amo molto indugiare nella descrizione, con cenni, di aspetti
essenziali. Amo cogliere le sfumature, i colori, soprattutto i colori. Amo
evidenziare i suoni, i profumi, senza nascondermi i rumori dolorosi della
sofferenza. Poesia della natura, ma anche poesia della vita, in cui la memoria
ha un ruolo fondamentale. Oltre i ricordi, oltre la nostalgia, la memoria è, direi, recupero del presente.
Il mio rapporto con la natura è, assai più modestamente che in
Virgilio, reale. Non simbolo di pace ma pace essa stessa, la natura
nei suoi aspetti anche più semplici ed umili disegna in certi momenti un
universo che l'uomo invade e tende a deteriorare, deteriorando se stesso.
La natura è lo spazio che prende il sopravvento sull'esistenza e
quindi sul tempo, donando sicurezza ed equilibrio, anche nei momenti più
difficili.
Da questo punto di vista mi sento vicino all'impressionismo
pascoliano, al suo amore per le cose e gli esseri più umili, al suo seguire lo
scandire dell'esistenza al di sopra delle meschinità umane.
Al di sopra ma non al di fuori: i miei versi tendono ad essere
attivi, impegnati, a volte con funzione, più o meno nascostamente, civile, e
qui si cela l'influenza subita dalla mia passione per la poesia
latinoamericana, specialmente peruviana, del primo Novecento.
Ma anche in Virgilio il rifugio in
un’isola felice è frutto della memoria, dei tempi in cui, nella dimora paterna,
poteva cogliere quell’armonia della natura che così incisivamente si era
impressa nel suo animo. Esiste un silenzio nelle ecloghe virgiliane che è
quello proprio dell’eterno e che nel far sentire all’uomo la sua caducità, la
brevità del suo tempo, infonde uno stupore attonito che lo porta a servirsi del
paesaggio per uscire momentaneamente dalla sua infinetisima esistenza. Certo,
nella sua poesia, e per sua intendo questa raccolta intitolata “Piove”, la
natura, più che protagonista principale, è un catalizzatore di sentimenti, di
emozioni, ma anche qui è, in altro modo, strettamente connessa al ricordo, come
nel caso di Compagno Bruno. C’è sicuramente un riferimento
all’impressionismo pascoliano, anche se là la vena malinconica è più marcata e
rasenta una rassegnata tristezza. Il Pascoli, i cui ricordi solastici tendono
un po’ a svilrne la grandezza, a causa dell’insana mania, almeno ai miei tempi,
degli insegnanti di far apprendere a memoria le sue liriche, è in effetti un poeta della memoria, una memoria fatta anche
di gesti quotidiani, di rimpianto di un tempo più idealizzato che reale.
Premetto che è un poeta che ammiro, uno che nei suoi versi ha fermato il tempo
ed è anche per quello che ancor oggi è grande. Passiamo però ad altro autore, a
lei, e alla sua passione per il colore (dietro al ponte verde marcio, giallo /
dentro la mia vecchia maglia / a righe, righe verdi / terra bruna, rosso prugna, sul fiume azzurro, riflessi gialli e viola /
di platani grigioverdi); indubbiamente è una policromia, ma al di là del senso
estetico, che pure è utile al verso, c’è altro, che penso d’aver intuito, ma
che chiedo a lei di spiegare. In parole povere, qual è il significato dei suoi
colori?
Vorrei citare due brevi versi del poeta messicano Octavio Paz :
“los caballos
color de sol / los burros color de nube”
“i cavalli color sole / gli asini color
nuvola”.
La relazione colore-emozioni è il frutto di esperienze del tutto
personali e risulta alla fine assolutamente individuale. Non so quali
impressioni possano aver avuto gli eventuali lettori dei miei brevi versi,
certamente ognuno avrà vissuto dentro di sé in modo diverso l'approccio
cromatico con paesaggi, persone, immagini evocate o reali.
Definirei espressionismo, come nel caso della pittura o della
musica, segnare sulla carta emozioni che i colori possono esprimere; e questa,
penso, sia stata la mia operazione creativa, il più delle volte senza
volerlo.
Secondo il pittore/poeta russo Kandiskij, il colore è un mezzo per
dare “impulsi all'anima”; ritiene che ogni colore sia dotato di un proprio patrimonio
espressivo e, quindi, attraverso di essi sia possibile rappresentare in modo
diverso la spiritualità che si annida in ognuno di noi. Penso che abbia
ragione. Certo che il rapporto col colore è relativo al tempo e allo spazio considerati e determina gli stati d'animo e la
psicologia degli individui in modo unico e irripetibile.
Per me il colore è determinante per inseguire parole, ricordi,
emozioni e fermarli sulla carta: il colore diventa suono, profumo, sapore in
una continua sinestesia e contaminazione dei sensi.
Il rosso è forza, vita, battaglia, vino, allegria, il giallo è
fiducia, polenta, rifugio, l'azzurro è silenzio, incanto, nero è amore,
passione, occhi, certezza, ma altri numerosi colori sono testimoni di
situazioni che sottintendono relazioni umane, sociali e culturali, o
semplicemente, il cogliere la visione, interiorizzata, di fenomeni naturali,
quasi a consacrare l'immanenza dello spirito con la natura.
Certo il colore influenza gli stati
d’animo e un giorno grigio di novembre muove più facilmente alla malinconia.
Peraltro tendiamo sempre ad associare una tonalità a un nostro stato emotivo e
ci sono tinte generalizzate, cioè di riferimento per tutti, e altre invece che
riflettono una condizione del tutto individuale. Resta però il fatto che i
colori sono una componente essenziale della nostra vita e risultano
determinanti anche come messaggio, sia in pittura che in poesia.
Poiché ognuno, pur cogliendo la natura
soggettivamente, finisce sempre con il partire da una base reale, soprattutto
in un’epoca come la nostra che impone una visione massificata di ciò che ci
circonda, una sorta di Arcadia al contrario, ho rilevato che nelle sue poesie
lo sfondo è quello tipicamente padano (il salice, la barchessa, il bugno, gli
aironi, le anatre, il fiume Po).
Questa natura non è presentata con
distacco, il che sarebbe tipico di un osservatore del tutto materialista, ma
come partecipe della nostra esistenza, in quanto noi parte della stessa.
Il rapporto con il mondo che ci
circonda è volto alla sua comprensione, un sistema indispensabile per conoscere
noi stessi.
Quanto ha influito questo modo di
vedere, da partecipe, la natura sul suo percorso di cognizione interiore?
La natura esprime percezioni sensoriali e, nello stesso tempo,
stati d'animo. Gli aspetti più significativi per me, nel momento in cui sono
colti, hanno una dimensione reale e valgono per quello che sono, non per quello
che rappresentano o rappresenterebbero. Certamente materia e cultura, natura e
sentimenti, spazio e tempo si intersecano e si condizionano, per cui il mio
universo padano, ad esempio, descrive quello che sono e che penso e che sento.
Altri casi letterari particolarmente significativi, di grande valenza
letteraria, hanno avuto una evoluzione creativa assai
simile: penso alla produzione poetica
di Umberto Bellintani o a quella, più limitata, di Cesare Zavattini.
Ho scoperto che la profondità dell'essere si innerva della
percezione fisica di ciò che ci circonda. Nel mio caso la Valle del Po è parte
prevalente della mia esistenza, ma anche altri paesaggi (Mediterraneo,
Atlantico) constato che hanno influito.
C'è qualcosa di antico, o meglio, di primitivo, nell'approccio con la
natura che ti rivela consonanze con l'universo e che, grazie alla poesia, ti fa
rivivere l'esistenza, dalla nascita fino alla percezione della morte.
Immersi nel paesaggio, fra colori, sfumature, assalti di immagini,
ti senti al sicuro, è qualcosa di tuo che hai ritrovato, è un ritorno a casa,
che appaga e da sicurezza, anche nei momenti di sconforto. Nel mio caso,
certamente ogni angolo della “bassa” influisce , così
come gli oggetti o gli animali, alla pari dei ricordi o delle relazioni umane.
Non ritrovare spazi cari alla memoria, come un albero o un fossato o una vecchia casa, provoca un senso di
smarrimento, così come scoprirne ancora una volta di apparentemente eterni ti
rassicura. A volte sei colpito da particolari che sembrano insignificanti che
comunque ti danno la sensazione di essere ad un tempo soggetto ed oggetto di
un'esistenza che è tutta in te e fuori di te: percepisci di essere parte di un
tutto.
Se l’uomo si rendesse conto che la
natura è la sua naturale abitazione, con ogni probabilità la rispetterebbe
maggiormente. E giusta è la puntualizzazione dello smarrimento che si prova a
non ritrovare un vecchio albero, o un fossato, o una vecchia casa, tutti
elementi che concorrono a quel grande patrimonio individuale che è la memoria.
Al riguardo, in questa raccolta entra uno dei grandi temi della poesia, il
ricordo, a volte velatamente, altre più in evidenza, come per esempio in Compagno Bruno. Che cosa rappresenta per
lei in effetti la
memoria? Quale significato darle
nell’ambito di quell’ampia esperienza che è la
vita?
Per me il ricordo è parte fondamentale dell'esistenza, e quindi
della poesia, in senso forse proustiano, o forse semplicemente, come presenza
perenne di sensazioni che sopravvivono alla loro occasionalità.
Proust distingue memoria volontaria da memoria involontaria,
riservando alla prima una funzione razionale di reminiscenza di persone, episodi, cose, che
rimane limitata e senza grande respiro;
la memoria involontaria invece è quella istintiva delle sensazioni, che fa
rivivere il passato, trattenendolo, proprio perché vissuto continuamente, quasi
abolendo la nozione di tempo. Forse è proprio questo recupero casuale di ciò
che è accaduto che fa rivivere un passato altrimenti
perduto per sempre.
La memoria avvicina un vissuto fatto di sensazioni a momenti
presenti, in cui sopravvivono le stesse sensazioni. Il recupero del passato è
carico di felicità o di malinconia ma l'angoscia che ne può nascere viene
rimossa proprio esternandolo.
Per questo c'è bisogno di rivivere il passato: è un'esigenza di
infinito, che è presente e fortemente condizionante.
La frequente meschinità della vita quotidiana trova la via
d'uscita in questo continuo gioco di rivivere le sensazioni più forti
attraverso percorsi apparentemente banali o insignificanti.
La semplicità della consolazione in cui prevale il senso della pietas, è per me sempre presente,
specialmente in casi di morte di personaggi amati o conosciuti. Una pietas che la memoria lascia in
eredità a chi è vivente.
Il recupero continuo delle sensazioni riporta allo scoperto dalla
profondità dell'oblio, momenti e, soprattutto, persone che rendono vivo il
passato.
La sensazione di paura, sempre uguale nel vivere il presente, di
attraversare una strada sterrata ove, in fondo, offuscata dalla nebbia del
mattino, si intravvedeva una sagoma informe che evocava streghe, orchi,
fantasmi dell'infanzia,
veniva annullata
dall'abbraccio rassicurante di mia madre che, ancora odorosa di erbe e
prezzemolo della cucina, mi stringeva forte al petto, e quel ricordo rimuove,
incredibilmente, l'insicurezza di oggi, superando il tempo. Questa la definirei
memoria involontaria.
In Alsazia, ho incontrato un vecchio contadino che mostrava con i
suoi strumenti di vetro e fornelli e altro, come si fa la grappa, e udendo di lontano il
mio accento nord-italiano ha subito avuto la sensazione di trovarsi di fronte a
un suo compaesano. In dialetto, non conosceva quasi più la lingua italiana, mi
ha confidato che era originario di Parma, stabilitosi a Colmar da bambino con i
genitori, e mai più tornato nella sua città natale. Avrebbe
voluto tornare in Piazza Duomo
nel becco di una cicogna, una di quelle numerose cicogne che nidificano
in quella terra sui tetti delle case ad angolo acuto, e ho dovuto fermare quel
momento sulla carta, come memoria, che definirei volontaria.
Il nostro pensiero è alla continua ricerca di ciò che non muore,
come l'istinto delle specie viventi tende alla continuità perenne, e vincere il
tempo è comunque foriero di felicità.
Concordo. Del resto la memoria, cioè il
ricordo di ciò che è stato è l’unica misura valida per avere la certezza di
aver vissuto; il dramma è che la generazione attuale sembra avere ricordi del
tutto disallineati da quelli dei genitori, come se fosse intervenuta una cesura
netta a separare marcatamente un’epoca dall’altra e come se la precedente non
fosse mai esistita. Se non sappiamo da dove veniamo, abbiamo un’incapacità non
solo di vivere il presente, ma di fare anche qualche timido progetto per il
futuro.
Restano degli individui che trascinano
la giornata in preda a questa o quella chimera, facilmente influenzabili
da chi detiene le leve del potere.
Al riguardo, qual’è la sua opinione?
Le nuove generazioni, sin da adolescenti, si chiedono subito cosa
esigere dalla vita e cosa fare per raggiungere la loro meta, o perlomeno, una
meta, che molte volte è un sogno, o solamente un desiderio di avere un sogno.
I giovani sono sempre liberi nell'anima, soprattutto dai genitori
e, in genere, dagli adulti, i quali non possono seguirli, anche volendo,
rincorrendo il futuro.
La vita evolve, diviene continuamente e non può attardarsi sul
passato. Certamente la memoria del passato è vitale per evitare disastri e
fallimenti, per non commettere gli stessi errori, ammesso che si abbia lo
stesso concetto di errore.
Il poeta Gibran Kahil Gibran, poeta arabo libanese, vissuto negli
USA e punto di riferimento della cultura “ribelle” del “68, rivolgendosi ai
genitori in una
sua poesia afferma: “Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce
vive,/ sono scoccati lontano”. Sia i genitori che i figli hanno un ruolo
complementare nella vita, diverso ma intrinsecamente legato, per cui da una
parte i genitori debbono amare i loro figli ma non costringerli alla loro
volontà, al loro pensiero.
Ciò non toglie che si debba scrupolosamente agire come seminatori
di valori; poi, una volta fatta la semina, la pianta non potrà che crescere da
sola, e sarà più sana e robusta, più avrà modo di proiettare i propri rami
verso spazi aperti, inesplorati.
Il problema è se le generazioni più anziane hanno realmente
seminato valori, o se si sono attardate nel proprio particolare, coprendo,
almeno nella nostra civiltà occidentale, i figli di benessere, di oggetti, a
scapito di autentiche relazioni.
Una generosità degli oggetti e non degli affetti. Così ogni vero
scambio di idee e di esperienze tende a finire in un vuoto rituale di baratto e
si perde l'occasione di comprendersi.
Ovviamente si deve pretendere corrispondenza dai giovani, ma
l'artefice vero della trasmissione di valori e dell'insegnamento non può che
essere l'adulto, dando, dando e ancora dando, senza stancarsi e senza
pretendere di ricevere, perché non c'è nulla da ricevere se non la gioia di
vedere la luce di un nuovo mondo, ancora migliore.
Chi detiene le leve del potere per interessi propri o di una parte
rispetto al tutto, alimenta chimere e disvalori per poter meglio raggiungere i
propri scopi, ma la democrazia implica un potere che incrementa la libertà
nell'ambito di confini
valoriali ben identificabili, che io ritengo riassumibili in due
concetti fondamentali del pensiero moderno: giustizia e libertà.
Ognuno, a suo modo, dovrebbe seminare il proprio campo, e i frutti
non potranno non nascere copiosi. I giovani sono lo strumento di crescita di
questi frutti e sono frutti essi stessi; dipende dalla semina.
Certamente l’educazione è basilare e se
i genitori, che sono preposti a quella dei figli, non la mettono in atto, non
ci si deve meravigliare se ci troviamo in un mondo simile, travolto da una
crisi più etica che economica. Nelle generazioni dovrebbe essere presente un
filo conduttore, che unisce l’una all’altra; ora, purtroppo, questo filo si è
spezzato.
Ma veniamo alle domande e fra queste
una classica, se rivolta a un poeta: secondo lei, che cos’è la poesia?
Non saprei dare una definizione di poesia, se non quella che si
legge sulle antologie scolastiche o sui manuali, ma so che per me è come un
ritorno a casa, mi rassicura e mi rende felice, proprio come entrare dalla
porta che chiude dietro di sé ansie e contrasti. La poesia è uno scrigno che si apre e
permette di conoscere e apprezzare i valori in esso contenuto.
La poesia unisce solitudine e socialità, descrizione e creazione,
coglie i particolari e gli insiemi.
La poesia vince il silenzio, l'oblio, il
tempo.
La poesia
è un'espressione dell'animo che comunica all'esterno ciò che
siamo veramente dentro, e nello stesso tempo, permette a ciò che è all'esterno
di comunicare la sua realtà.
A volte mi chiedo se ciò che scrivo, o che ho scritto, anche poche
righe o poche parole, sia veramente vissuto o solo pensato, ma non ha
importanza, perché il confine della realtà sfuma fino a scomparire, nel senso
che tutto è reale in quanto suscita sensazioni che vincono il tempo e lo
spazio.
Le persone o le cose che ho incontrato a sedici anni, o a venti o
a cinquanta, dentro il mio cortile della mia casa o oltre oceano, mi hanno
indotto a prendere nota di quanto mi comunicavano, permettendomi di cogliere
qualche sprazzo di quell'immensa sinfonia di vita in cui siamo, spesso inconsapevolmente,
immersi.
Ecco, se vogliamo dare un senso alla poesia è quello di saper
cogliere l'attimo fuggente, che altrimenti si perderebbe come una meteora nello
spazio infinito.
La poesia è anche ricerca, rifinitura, perfezionismo della forma,
è ritmo, immagine, ma questi non produrrebbero nulla, se non ci fosse la
volontà di comunicare la tenerezza dei sogni o la durezza del pianto, la gioia
dell'affetto, la ferita dell'odio, lo stupore della bellezza, la verità degli
uomini e il loro approccio con la vita in ogni sua espressione, compresa la
morte, la loro lotta e la loro speranza.
Il valore della poesia è nella parola del poeta ma anche nel
lettore che trova in essa uno strumento di comprensione e di miglior uso
dell'esistenza.
La poesia serve ad ogni individuo che vuole vincere la sua
subalternità.
Parafrasando Neruda mi sento di affermare che “ così la poesia non
avrà cantato invano”.
Posso essere d’accordo, in quanto una
definizione univoca di “poesia” non esiste, ma varia secondo il sentimento di
ognuno e può cambiare nel tempo anche per lo stesso individuo. Ma passiamo
all’ultima domanda ed è attinente la poesia che dà il titolo all’intera
raccolta. “Piove”, si chiama, e mi
sembra paradigmatica riassumendo in sé i temi caratteristici delle altre. Come
acquarello i toni sono ancora più soffusi e nell’insieme l’ombra dell’inciso
sfoca in una nota malinconica, quasi una remora, un dubbio, un oscuro presagio.
E nel gioco dei colori questo tratto scuro mi ricorda che la vita è bella, ma
non infinita.
È una bella poesia che, a mio parere,
necessiterebbe di un’interpretazione autentica dell’autore. Che significato vi
è ricompreso, cos’è quell’ombra?
La delicatezza dello sguardo di mia madre, la sua pensosa
innocenza, la musicalità generosa di mio padre, il suo canto, rivivono in me ogni istante: la loro
poesia di vita pervade ogni attimo della mia esistenza e si sublima in tutto
ciò che amo, dalla mia famiglia, alle mie amicizie, alle mie conoscenze.
L'ombra di PIOVE è la nostra precarietà, nella bellezza
dell'immenso universo, che ci sfiora e ci rende consapevoli: la via d'uscita ? Il superamento della solitudine: la solidarietà, senza
illusioni trascendenti, ma con ragionevole serenità; il godere nel sentirsi
soggetti fra gli oggetti, in una pulsazione di vita che tutto pervade.
Leopardi. Ecco Leopardi è entrato in me, sin dalle prime letture,
disperate, della giovinezza. Poi è subentrato il segreto della “Ginestra”, che,
lavorando come una corrente di un fiume sul suo letto, ha aperto in me
orizzonti inesplorati, fino ad incontrare la poesia ispano
americana, che mi ha colorato l'anima.
Indugiare nello sconforto della fine, che non è fine, mi libera
dall'angoscia; assaporare fino in fondo il gusto della vita, nel senso del dare
e del ricevere, mi rende felice; amare ciò che è amabile e ciò che
difficilmente può sembrarlo, mi appaga e mi profuma ogni attimo dell'esistenza,
nonostante tutto.
È un peccato che questa piacevole
conversazione sia giunta al termine, ma spero che ci siano altre occasioni per
riprendere il discorso. E nel mio saluto di commiato ricomprendo anche il
sincero augurio che questa Piove trovi il consenso dei lettori,
almeno di quelli che pensano che un mondo senza poesia non possa essere a
misura d’uomo, ma solo una landa deserta e senza speranza.
di Gabriele Oselini
Prefazione di Fabrizio Azzali
Copertina di Elvira Pagliuca (studio
Kaleidon)
Fara Editore
Poesia silloge
Collana Sia cosa che
Pagg. 64
ISBN 978 8897441 014
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