lunedì 17 febbraio 2025

“La spianata del silenzio” di Flavio Vacchetta

recensione di Dario Marelli


Poeta piemontese degli anni ’50 Flavio Vacchetta sorprende per lo stile moderno, conciso, frammentato, visionario ma al contempo umile e concreto.

Sono le sue poesie, sia quelle più brevi sia quelle più lunghe, feritoie che si aprono sul mondo interiore e circostante, con sequenze e ordinamenti non sempre di immediata comprensione ma di fatto coerenti; al lettore il compito ed il piacere di comprendere il quadro unitario composto da tessere da sistemare al giusto posto, con pazienza.

I versi sono fasci di luce (e di buio) che suggeriscono senza disperdersi: se la poesia non deve spiegare tutto ma, come diceva Ungaretti, offrire spunti di riflessione e al contempo nascondere un segreto, Flavio la rappresenta bene. I suoi raggi illuminano ritratti di vita (e di morte) che talvolta vengono da lontano talvolta si parano di fronte inattesi e sorridenti nella loro ineffabilità. 

Il filo conduttore di questa raccolta è la vita in tutte le sue manifestazioni, ne è felice esempio la poesia La mia vita: “Su gente/ correte a vivere/ ci aspetta di diritto/ è nostro dovere/ ecco di cosa si tratta/ di iniziare a vivere / nel Male e nel Bene”. Vacchetta sa che la vita impone le sue leggi, ma esorta ad assumere l’unico atteggiamento possibile: vivere senza indugiare oltre.

Ma cosa sublima la Vita più dell’Amore? Nulla, di conseguenza La spianata del silenzio, edita dai tipi della Puntoacapo è dedicata ai suoi affetti più cari, la moglie Anna e i tre nipotini Edoardo, Federico e Samuele, ponti di speranza verso il futuro.

Ma se da un lato la Vita è Amore, d’altro lato è Morte: non a caso la silloge si apre con una poesia dedicata al fratello Guido, che si intuisce essere partito per un mondo migliore dopo avere lottato contro una grave malattia.

Ricorre spesso la morte in questa raccolta dedicata alla vita, perché ne è parte, non solo fine. Così, alla decadenza dei corpi che invecchiano, subentrano le Anime, poesia simbolo e apice della raccolta. Una semina di versi apparentemente slegati che inducono a pensare e ripensare talvolta con ironia talvolta con rassegnazione (“lei visionaria/ stilla controvento / bimba senza fiori”) in un dialogo apparentemente surreale dove si avverte la laica riflessione in merito alla presenza di Dio e un possibile Aldilà (“m’impiglio in te/ m’aggrappo su nulla” si legge qualche pagina più in là in Marmo freddo). Il rapporto complesso con la Fede e l’esistenza anima anche questi versi: “Se la fede/ non procura nulla / non serve a nulla”. Eppure, permane nitida una religiosità di fondo nei versi del poeta piemontese, tormentato fra il presente e il nulla: “Non credo in Dio?/ Lui crede in me/ non so come”, “Presente il Paradiso/ sarà anche impassibile/ ma non impassibile”.

Vita, Morte, Amore. Una triade indissolubile sintetizzata magistralmente in I morti cercano morti, altra poesia simbolo che evidenzia il taglio ossimorico, quasi beffardo dei versi di Vacchetta, che sembra tentare di sfuggire con la Poesia all’Ineluttabile fingendo (e solo fingendo) di prendersene gioco: “I morti cercano morti/ i vivi cercano vivi/ io non so se sono/ vivo o morto/ so che ti cerco”. 

Le 25 poesie che compongono La spianata del silenzio meritano di essere lette e rilette perché il loro inesauribile segreto va scoperto a poco a poco e ad ogni lettura si rivelano intuizioni nuove, sempre fresche, mai noiose. Per l’appunto, poesia vera.

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