martedì 31 maggio 2022

Summer Poetry Festival 2022 a Cremona 5 giugno

Il Summer Poetry Festival 2022, I Linguaggi della Poesia, 8a edizione, prevede un appuntamento Pre-Festival Domenica 5 Giugno alle ore 17 presso ALAC Associazione Latino Americana Cremona in Via Gioconda 3 intitolato:

Parola della Traduzione - Traduzione della Parola

Le autrici e le performer invitate, attraverso testi ed azioni , permettono al pubblico una

percezione live della realtà bilingue della parola e del gesto. I passaggi delle loro esposizioni si

traducono mentre accadono nell’oralità della poesia e sarà possibile cogliere i diversi versanti

della lingua Latino Americana e di quella italiana, nelle loro risonanze ed intrecci ,dove ogni

poetessa ,seguendo un percorso personale nella proprio opera, offre all’ascolto il proprio

cammino espressivo nella poesia.

Partecipano:

Eva Laura Testa e Maru Riva

Parole Dis-Armate Des-Arme De Palabras

MirnaOrtiz Lopez

I sogni diventano Poesia Los sueños que se hacen poesía

Rosana Crispim Da Costa

I Dialetti Nelle valli del mondo Os Dialetos Nas Vales Do Mundo

Tania Pleitez Vela e Rocio Bolaños

L’altra casa La otra casa

"cavi polvere verde" “parola vulcanica”

Il Summer Poetry Festival 2022, I Linguaggi della Poesia, 8a edizione, gode del patrocinio e

della collaborazione del Comune di Cremona.

Direzione artistica: Alberto Mori, Siria Bertorelli, Giovanni Uggeri, Vincenzo Montuori

In collaborazione con ALAC Associazione Latino Americana Cremona

Nell’ambito dello spazio di Lettura La Magnolia: Comitato di Studi Mara Soldi Maretti,

Circolo Poetico Correnti,C.S.C. Centro Scrittura Cremonese.

Info: TICONZERO LAB ticonzerolab@gmail.com - 333.6580492




Ad Antonia Pozzi

di Valentina Cuppini

Quel giorno
scelse
il passato
perché scegliendo il passato
abbracciava il futuro.

Quel giorno
scelse
la profondità
perché solo nel profondo
appare chiara
la vita.

Quel giorno
scelse
di esser poeta.

Quel giorno
scelse
di esser sé stessa.

E vide
una piuma
sul suo cammino.

Quel giorno
per la prima volta
spiccò il volo
verso il suo destino.






Valentina Cuppini, nata nel 1986 a Cattolica (RN), è cresciuta a Pesaro. Ora vive fra Pesaro e Bologna, dove lavora come impiegata. Laureata in Lettere moderne, sta conseguendo una laurea magistrale in Italianistica. Da sempre sogna di scrivere un romanzo e pubblicare una raccolta con le poesie che scrive da quando era ragazzina. Per il momento scrive di viaggi e cultura sul suo blog personale cultuvale.it alcune poesie in instagram.com/pozzanghere_poetiche
 

venerdì 27 maggio 2022

Straordinari eventi a Ravenna 29 maggio e Camminabile Coriano-Montetauro 11 giugno

Domenica 29 maggio dalle 17.00 alle 18.30 a CASA ITALIA-CINA (Piazza Duomo, 4 c/o ex-seminario) in occasione del termine dell’anno scolastico 2021/2022 e della conclusione della prima parte di attività di Casa Italia-Cina (che riprenderanno nel mese di Luglio con il Centro Estivo) desideriamo incontrare e far incontrare i protagonisti dell’amicizia Italia Cina appena iniziata. Saranno presenti e vogliamo ringraziare: 

- le famiglie dei nostri ragazzi cinesi,
-
 una rappresentanza della comunità cinese del territorio,
- i formidabili volontari e i preziosissimi benefattori,
- gli amici e le autorità comunali ed ecclesiastiche che ci ospitano e sostengono 

Il programma dell’appuntamento sarà: 

Ore 17.00: Accoglienza
Ore 17.15: Saluti dei preg.mi ospiti del Comune di Ravenna
Ore 17.30: Intervento: Casa Italia-Cina
Ore 17.45: Saluti delle autorità ecclesiastiche
Ore 18.00: Brevissimo omaggio dei bambini di Casa Italia-Cina ai genitori, comunicazioni di servizio e rinfresco nel chiostro interno del Palazzo. 

Nella speranza di incontrarci in questa felice occasione e di poter continuare insieme un altro tratto di cammino con le prossime iniziative di Casa Italia-Cina (Montetauro Coop. Sociale), I più cordiali saluti e vi aspettiamo a CASA ITALIA-CINA! Paolo C. Marasco Direttore di Casa Italia-Cina (Ravenna) cell./WhApp: 320.350.8723 paolo.montetauro@gmail.com www.casaitaliacina.it
www.montetauro.eu 




Finalisti del “Dieter Schlesak e Vivetta Valacca” 2022. Premio speciale a Gabriele Galloni

Abbiamo il piacere di comunicare che la giuria del PREMIO DI POESIA EDITA Dieter Schlesak e Vivetta Valacca (2022) ha concluso la fase di lettura e valutazione delle numerose opere pervenute in formato pdf ed è giunta alla definizione della lista dei finalisti.
Desideriamo innanzitutto ringraziare sin d’ora tutti i concorrenti per aver partecipato al Premio e per aver proposto opere poetiche di alta e indiscussa qualità.
Qui di seguito, elencati in ordine alfabetico, i nomi dei finalisti per ciascuna sezione:

A. Libro di Poesia in lingua italiana (Sezione generale)


B. Libro di Poesia in lingua italiana (Opera prima)


C. Libro di Poesia tradotto in lingua italiana


I nomi dei vincitori e degli autori menzionati saranno comunicati entro il 15 luglio 2022.



PS: In occasione della cerimonia di premiazione, che avverrà in data 24 settembre 2022, la giuria, in maniera unanime, ha deciso di assegnare una menzione “extra”, rispetto a quanto indicato nel bando, al poeta Gabriele Galloni: Premio speciale “I luoghi dell’anima” per l’opera La luna sulle case popolari (ChiPiùNeArt Edizioni).

IT'S FRIDAY | "In quel minimo che cade"

 

Alba Gnazi, "In quel minimo che cade" (Il Convivio Editore, 2021)


Delle tue mani


Qui inizia il bosco: Manziana è posata più in là,

fitta dei suoi diversi umori, noi camminiamo

e io è a te

che mi affido, alle tue mani ancora intatte

che diventano il varco

per ogni realtà capita, minima

e dolorosa appena, come un taglio di carta,

o la tua gioia crespa

quando dietro un albero mi scovi,

e frughi echi di foglie coi piedi e le risa,

o ti scoppia intrepida la voce

quando corri e mi stringi le dita

ed è a quelle tue mani, vedi,

che io stretta mi affido,

delle tue mani

io mi fido.


**


C’è un bel punto di vento



C'è un bel punto di vento

dietro la casa

e nei tuoi occhi, nel fresco

che dal basso rischiara il selciato

la tua voce mentre mi parli e

la tua voce

che sa di vento,

il nudo vento fermo negli occhi

quando è con me

che parli e dagli alberi

si innalza il canto bianco

dei mondi,

tu parli,

e nel vento ogni luce

si crea, ogni mondo,

in folate brevi, benedette.


**


Il nome delle cose


Da dove arriva, chiedi,

e come, il nome delle cose

di cui sfioriamo il suono;

corpo sonoro di cose

che qui si dilatano, lì

sbiadiscono,

altrove arretrano, cadono,

non bastano;

ci dicono

vivi al mondo e poi cancellano

la forma che occupiamo

nel tempo, nell'incudine

nel margine di un'idea,

ma tu in quel tempo cercale,

ad altro tempo rendile,

fanne mallo, gheriglio, noce.

Muta il tuo silenzio

per farne luce.

Metti dentro a un fiore

la tua voce.


**


Cosa resta adesso


Cosa resta adesso

da fare, mi dico

e ascolto come sgrondano

gli ombrelli giù al portone,

come trascinano su in alto

i loro echi

e come si sfanno all’attenzione

queste vite

quando mi volto: ancora piove,

non ci avevo fatto caso;

cosa resta, dico

se non sopirci sotto ai vetri

squamati dai bagliori

nell’alto precipizio

del giorno alla rovescia;

la curva nuda del sogno

sfoca l’occhio nel risveglio;

percepisco il paradosso

che più avanti sposta il possibile,

più in là,

e mozza il sangue nel respiro,

senza difesa respiro,

poi precipito in me

ancora una volta.





Alba Gnazi è nata nel 1974. Da sempre risiede nella provincia di Roma, tranne i quattro anni in cui ha vissuto nei pressi di Pisa.

È laureata in Filologia e Letterature moderne e insegna nella scuola primaria.

Sue poesie e racconti sono presenti in diverse pubblicazioni cartacee e online, tra cui La rosa in più, Atelier, Poetarum Silva, L’Estroverso, Formicaleone et al.

Le raccolte finora pubblicate sono: Luccicanze (Cicorivolta Editore 2015, con prefazione di Antonino Caponnetto); Verdemare. Cronologia inversa di un andare (La Vita Felice 2018) e In quel minimo che cade (Il Convivio 2021, con postfazione di Franca Alaimo), quest’ultima a seguito del concorso per poesia, prosa e arti figurative “Il Convivio 2021”, in cui si è classificata terza.


giovedì 26 maggio 2022

“… cosa rimasto…”

Prefazione di Alberto Bertoni
Intervista a cura di Luigi Cannillo

recensione di AR


“Droni sorvoleranno città, / il tempo di un click e un algoritmo / sceglierà il tuo robot gemello.” (p. 46)

Il titolo di questa recensione è una locuzione ricorrente, una cifra importante di questa raccolta che chiude la trilogia iniziata con Ero altrove (2015) e proseguita con Contratto a termine (2018). Caratterisitca della poetica di Luca Ariano è l’immersione in un paesaggio umano e ambientale in in certo senso sfasato, pessoanamente molteplice. Se i luoghi, per lo più lombardi e padani, sono riconoscibili, una certa vaghezza temporale (si parla a volte di eventi relativi alla seconda guerra mondiale e ai decenni successivi, a volte di fatti a noi contemporanei) e la presenza di vari personaggi (Fiulin, Teresa, l’Enrico, Giggino, Rosa, Valeria, ecc.) contribuisce a creare un certo spaesamento nel lettore. Una sorta di nebbia comunque affratellante: si percepisce la vicinanza a persone dimenticate, emarginate o dalla vita spesso in ombra e anonima (come del resto suggerisce il titolo della raccolta). Una pietas virgiliana e un’etica ispirata a favorire una società più equa, più giusta e più rispettosa dell’ambiente e della dignità di ogni persona percorre le pagine:  “Non pensavi di rivedere mura ai confini, / rovine archeologiche polverizzate / e profughi in fuga da sabbia / e polvere da sparo.” (p. 22); “La mia mano sarà sempre lì a scaldare / le tue dita, a stringere i polsi tremanti / quando sentirai scendere la sera / e penserai che domani la brina / possa avvolgere tutto.” (p. 38)   

Lo sguardo di Luca non fa sconti né sul piano sociale né su quello della responsabilità personale e in maniera apparentemente asettica ci pone in medias res utilizzando immagini potenti: “Ti spaventa il vento / che porta fumi di rifiuti bruciati, / piazze arse come  rivoluzioni / fuori limite massimo… / l’illusione di cambiare il corso / della Storia: cosa rimasto di monasteri? / Ruderi di eremi dove nessuno / pregherà nei chiostri, coltiverà orti / o bonificherà paludi. / Tu attendi sempre la scusa / per scambiare baci in borghetti / protetti dalla discesa della sera.” (p. 85).

L’uso della seconda persona singolare è pervasivo, ma è un tu-specchio che risulta  quindi soggettivamente interrogante e in qualche occasione inquietante. Esso “ti” costringe infatti a non eludere le questioni ma a fartene carico (o anche a decidere di “sorvolarle” ma ingenerando in tal caso un vago senso di colpa, perché le cose possono iniziare a cambiare solo se ciascuno si adopera in primis a cambiare sé stesso, a sentirsi parte di un corpo sociale che nel bene e nel male lo ha formato e nel quale può/deve spendere i propri talenti).  Ariano è come se si/ci chiedesse di andare oltre il particulare che finisce poi per darla a vinta al particulare dei pochissimi che sanno bene come orientare, se non opprimere o eliminare, quello dei tanti Senza nome.

“Ragazzo ti immaginavi / in un romanzo di Fenoglio: / cosa rimasto di quei volti?” (p. 78)

Cosa rimane in noi dalla lettura di questa opera in versi dal sapore al tempo stesso mitico e attualissimo? Resta un invito a leggere i “giorni” con rinnovata  attenzione ed empatia, a sentire gli altri come soggetti meritevoli di rispetto, latori, ciascuno a suo modo, di ricchezze magari nascoste ma sempre uniche e sorprendenti. Il mosaico è fatto di tessere diverse che singolarmente non significano nulla e hanno un valore infinitesimale (eppure insostituibile) rispetto a quello del mosaico completo. Mettiamoci dunque in gioco: gli altri siamo davvero noi e solo in una società dialogante e accogliente possiamo dare il meglio di noi stessi e magari un senso alla Storia. 

Resta anche che dobbiamo ricordare (cioè riportare al cuore) il fatto che siamo corresponsabili di quanto sta accadendo su questo pianeta così piccolo, fragile e prezioso.

Il ramo

di Sandro Serreri


Provo piacere per il ramo, sempreverde

che si spezza, cade e poi muore. Eccolo là

ormai, a poco serve, se non a fare 

un po’ di brace per del pane o del pesce.

Aveva, ricordo, tanta superbia e forza

tanta, a dire il vero, tanto che invitava:

Venite uccelli del cielo, riposate

sotto la mia ombra!

Diceva che non si sarebbe mai seccato

ne le sue foglie sempre allegre, agitate

dal vento e dal volo di passeri

giramondo per le campagne.

Odo il: crac! e il tonfo e il silenzio. 

Odo il: cip, cip! del piccolo pennuto

volato giù.

Ho lasciato che il ramo venisse divorato

prima di dare un calcio

a cento foglie secche.

mercoledì 25 maggio 2022

Concerto – monolgo per ricordare Vincenzo D’Alessio a Montefusco (AV) 28 maggio 2022

chissà cosa pensa il buio
mentre dormiamo avvolti
nello scialle della notte …



Il potere dell’amore – la chiave della beatitudine

Gladys Basagoitia Dazza, Las alas del ocaso / Le ali dell'occaso, 

Fara 2021

recensione di Ludovica Zavatta


Las alas del ocaso / Le ali dell'occaso di Gladys Basagoitia Dazza è una raccolta poetica pubblicata nel mese di Giugno 2021, dalla casa editrice Fara.
I componimenti che la costituiscono possiedono tutti un titolo, e spaziano su numerosissime tematiche di cui si parlerà poi.
Gladys è nata a Lima, in Perù, ma vive a Perugia.
È stata premiata sia nel suo paese natale, sia in Brasile, che in Italia e ha scritto molte opere, alcune monolingui, altre bilingui (italiano / spagnolo) e altre ancora trilingui.
Tra le bilingui pubblicate con Fara, La carne / El sueño (Fara 2007) e L’eternità dell'amaranto / La eternidad del amaranto (Fara 2019).
Lo stile della poetessa è lineare, semplice, molto scorrevole, è presente poca ricercatezza linguistica o preziosismi/tecnicismi, il lessico è di facile comprensione, le frasi brevi, il periodare per nulla complesso o tortuoso, anzi.
Allo stesso tempo però, le immagini sono molto forti e pregnanti, molto vivide e realistiche, intense, potenti e trasmettono un modo di sentire davvero profondo.
Il centro propulsore della poesia di Gladys è l’amore, l’amore che deve essere nutrito verso sé stessi, verso il mondo esteriore a noi, e quindi verso la natura, verso il prossimo, verso la famiglia, verso Dio, nostro Padre, verso la propria vita che ha valore, a dispetto dell'inesorabilità e dell’inevitabilità della morte, che presto o tardi arriva dovunque da chiunque.
L’amore viene presentato come la forza capace di salvare gli esseri umani dal buio, dalla miseria; la forza capace di aiutarli a vivere serenamente la fine dell’esistenza e a superarla senza timore, la forza in grado di unirli gli uni con gli altri per creare un posto migliore dove trascorrere gli anni e morire, la forza, appunto, più forte di tutto e tutti.
L’unica soluzione è amare, sempre. Perché solo amando l’uomo può dirsi beato.
Consiglio moltissimo questa raccolta perché diffonde un messaggio molto importante, visto come oramai si è diffuso l’odio e il rancore tra gli uomini, che non riescono più a nutrire alcun amore verso neppure il proprio io interiore, e non hanno pietà per il loro corpo o per la loro anima, che brutalmente giudicano e nei cui confronti provano, fra le altre cose, disgusto ma soprattutto rabbia.

martedì 24 maggio 2022

“Lo sguardo è destino.”

Sergio Fabbri, Zemlja, Raffaelli 2004

recensione di AR

Il verso che intitola questo nostro interramento (zemlja, o varianti affini, significa “terra” nelle lingue slave come sloveno e serbo-croato) nella poesia di Sergio Fabbri è il primo della raccolta ed è seguito da altri due posti fra parentesi (che non riveliamo): una sorta di esergo. La composizione 1. si apre con una domanda – “Quali sono i luoghi che ci appartengono…?” (p. 13) – a cui seguono alcune risposte fra le quali questa: “Forse sono i volti a inchiodarci”. Proseguendo nella lettura, la poesia 6. (p. 23) ci offre – crediamo – una splendida e intensa sintesi delle questioni che, come braci seminascoste dalla cenere ma capaci di ravvivarsi con forza a una corrente d’aria, intessono il libro: 

La casa è una città, la città è una terra,
la terra è un mondo inesistente.

Talvolta a mancare è la voce
del padre, talvolta a brillare è il fuoco
dietro l’ombra del mondo.

Cosa diventa lo sguardo, se a guardare
non ci sono più luoghi intorno,
se con voce potente nessuno
pronuncia il libro dei nomi?

Sfogliando l’anima come un libro,
come un esercito chiamandola
a raccolta, scivola via sotto i piedi
la terra, il suo mistico abbaglio.

Potrebbe la terra chiamarsi
zemlja, mesto la città oppure hiša
la casa…

Sono così le idee l’unico luogo
a cui è possibile tornare.

Tutto si trasforma e, con Eraclito, non possiamo immergere due volte il piede nella stessa acqua. Ecco allora il valore della memoria (“un olocausto di memorie / è ciò che resta dell’anima.”, p. 56), dei fotogrammi di vita che si sono incisi nel cuore, delle emozioni e sensazioni che hanno lasciato traccia nelle nostre membra e nella nostra anima che in fondo non è mai del tutto nostra perché anch’essa cresce e si trasforma grazie agli incontri (“Con eccesso di zelo / talvolta ci riflette // fedele autoritratto / lo spazio vuoto d’un incrocio.”, p. 48), agli scontri, alle relazioni, agli eventi felici o dolorosi di cui diventa un catalizzatore con caratteristiche uniche ma sempre necessitante delle alterità, delle polarità che, mettendolo in tensione, lo “attivano”. Nella poesia 7. (p. 25), Sergio ci dice con bellissima immagine “del corpo / che porta l’anima / come un’ingombrante mongolfiera…”. Nella 9. (p. 28) troviamo un desiderio di essere abbracciati (non solo spiritualmente) dal divino che solo può eternarci, dare un senso a ogni nostro respiro, altrimenti destinati a svanire come hevel qoheletiano: “Ognuno coltiva una somma / d’angoli battuta dal vento / e dagli odori del tempo, il racconto / compresso in un respiro.”

Nella seconda sezione di Zemlja, intitolata “A ogni Dio – Versi dell’ultima ora –” e dedicata a Mara / il luogo dell’amore, troviamo un esergo assai interessante (p. 40): La verità non scaturisce dalle parole, ma dai gesti. Ciò che raccontiamo è la perenne contraddizione del mondo, la morte irrisolta. La scrittura più alta può essere terapia, non coscienza. L’anima è molto di più.

C’è quindi una fortissima tensione spirituale, sia pure da parte di un poeta di formazione scientifica e, al tempo, con un approccio quantomeno “sospeso”, se non del tutto pirronista, in merito alle questioni “imponderabili” che pure ci segnano così profondamente (a p. 54 si parla di “un languore spirituale / a ridosso di Dio”) e di cui percepiamo la preziosità tanto che a p. 47 troviamo questi versi di un lirismo assoluto che ci ricorda il Cantico dei cantici: “Se fossi stato voce / avrei di respiro / riempito la tua bocca / la lingua ai baci perdendo.” 
Più avanti (p. 50): “Consolami così, / donandomi il tuo nulla // nascosto tra le gambe / o dove l’anima si ferisce.”     

Zemlja è dunque terra feconda, ferita, amata, interrogante… chiede allo sguardo di andare oltre, di accogliere sì le vibrazioni telluriche e quelle dei sensi ma di aprirsi al tempo stesso (inevitabilmente) a quelle celesti che squarciano il tempo e ci mettono a nudo (cfr. p. 63): “E siamo già in troppi // nell’angolo angusto del grembo / a respirare in due / (l’anima che abbaia ed io). / Lascia che mi scortichi / la bora  invernale, lo stupore // sdegnato del bambino, / «Io morirò? Io… morirò?»”

Come scrive Giovanni Rimondini nella postfazione intitolata “Cornice” (p. 68): “La parola indicibile fonda, come il significante di Lacan, il dire: sé stesso, cioè la poesia, e il significato, cioè il racconto”.

In fondo solo la poesia può cogliere il suono della brezza sottile (cfr. 1Re 19,12) in cui si manifesta il Divino.

Il tempo, la bellezza, l’amore e la natura - il dolce sentire di una donna

 Bruna Cicala, Tintinnio di Lapislazzuli,

Fara 2020

recensione di Ludovica Zavatta


Tintinnio di Lapislazzuli di Bruna Cicala è una raccolta di poesie pubblicata nel Luglio 2020, dalla casa editrice Fara.
Parliamo di un numero elevato di componimenti, rigorosamente titolati (eccetto uno), in cui ricorrono molte tematiche differenti delle quali brevemente tratterò in seguito.
Bruna Cicala è genovese.
Ha pubblicato in poesia con le Edizioni I Rumori dell’Anima: Tra dune di lava antica (2015) e Tra rovi e pietre preziose (2017).
Il suo modo di poetare è delicato, lineare, in genere di facile comprensione, anche se certi componimenti richiedono più pazienza e capacità di immedesimazione degli altri, ma lo scopo è provare a comunicare una modalità di sentire, una sensibilità molto acuta, dolce, tenera, spiccatamente femminile.
Cicala ci fa riflettere su svariate tematiche, e tra quelle che più ho avvertito io da questa raccolta c’è, innanzitutto, il tema dello scorrere (ineluttabile) del tempo, che non si ferma mai e continua a procedere in avanti, sempre in avanti (cfr. componimento "Risposte" ecc.): esso prosegue imperterrito perché invidioso, soprattutto delle bellezze che ritroviamo sulla terra e nell'universo intero, e anche questo (ovvero il valore della bellezza ed il suo potere) è un tema importantissimo che ritorna, per esempio nel componimento "Filosofia" ecc.
La bellezza ci viene presentata, di fatto, come quella forza capace di salvare il mondo, l'unica in grado di sopravvivere al tempo e al suo scorrere infinito, per cui è vista come l'avversaria assoluta di quest'ultimo, il quale riesce a vincere.
Ancora oggi, per esempio, ricordiamo la bellezza di grandi personaggi antichi, la bellezza di incredibili opere d'arte ed opere letterarie e così via (importante però riconoscere come questa sia sopravvissuta ai secoli).
Ma la poesia di Cicala è anche una poesia naturale (cfr. componimento "Selene" dove viene presentato un paesaggio serale, ecc.), ed infine è una poesia erotica, amorosa, ma diffonde la concezione di un amore nostalgico, sofferente (cfr. componimenti "Nel giallo e nel rosso", "Tat/to", "Pazza follia" ecc.).
Questo, tuttavia, è quanto ho percepito io: di certo altre persone potrebbero individuare degli spunti ulteriori per ulteriori riflessioni, che si distacchino o meno dalle mie.
In ogni caso, la consiglio davvero.

lunedì 23 maggio 2022

Nell’incavo della mano

di Sandro Serreri


Osserva, il bambino, come da lontano, vicini

come sconosciuti e con l’occhio incolore, scava

in silenzio, il suo muto dolore.

Oh, vederlo così, che gran pena! e di lui che si sa

se non che non sa dove andare

e dove sedersi per disegnare il niente.

Se più in là c’è un giardino, piccolino

è perché qualche rosa tinga il bianco e nero.

Andrà, forse, di nascosto, a strappar petali

che, pigiati nell’incavo della mano

annuserà uno ad uno.

Non pone domane, né a sé stesso

né a chi, passando per il viottolo

non lo vede, ma calpesta la rosa amata

e le matite colorate.

Non sorride, resta immobile, pensoso

in attesa dello scatto, dell’istante.

Andrà portando il suo giocattolo di latta

in una casa, grande e vuota, dove

nella prima notte, vedova di stelle

dirà, sottovoce: Mamma!

Morta, chi sa dove, forse in un ospedale

o per strada, non risponde.

Sotto il cuscino, un fogliettino

dove ha scritto: Mi ami ancora?

Il mistero di Dio - una poesia preziosa

 Matteo Bonvecchi, In crepa di melograne

Fara 2020

recensione di Ludovica Zavatta


In crepa di melograne di Matteo Bonvecchi è una raccolta di poesie pubblicata per la prima volta nel mese di Marzo 2020, dalla casa editrice Fara.
Essa comprende numerosi componimenti titolati, distribuiti fra cinque mini raccolte sempre titolate (rispettivamente, in ordine, “Kairòs”, “Ho erchomenos”, “Ghynai”, “Martyrion” e “Koinonìa”).
Matteo Bonvecchi è docente al Liceo Classico Giacomo Leopardi di Macerata e vive a Montecassiano.
Laureato con una tesi sulla teologia e spiritualità delle Croci dipinte francescane nelle Marche, cura una passione per l'arte e la storia dell'arte locale.
L'esperienza che ha fatto in età giovanile leggendo Turoldo lo ha folgorato, e con la raccolta Le odorose impronte ha vinto il Faraexcelsior 2018.
È giurato in concorsi letterari nazionali.
Lo stile del poeta, come si appura da questa raccolta, è particolarmente complesso, il lessico è prezioso e ricercato, frequenti sono le espressioni che provengono dal mondo antico greco-latino, ma altrettanto spesso ritroviamo termini e parole derivanti dall’ebraico (e ciò, a maggior ragione, evidenzia il livello di conoscenza e cultura che Bonvecchi possiede).
Il fulcro attorno a cui ruota il tutto è rappresentato da Dio, dal creatore: Egli non è che la forza suprema, illuminante presso gli uomini, dei quali è guida e che mai abbandona, è appunto poi creatrice, Colei che insomma ha dato vita al mondo che conosciamo così come lo conosciamo e che continua a mantenerlo in vita grazie alla sua immensa potenza, di cui l’uomo non può avere che una minima percezione e consapevolezza.
Bonvecchi loda Dio celebrando, attraverso la sua rievocazione nelle proprie poesie, la creazione di quest’ultimo, ovvero l’universo stesso, compresa la terra, gli altri pianeti, le stelle, ma anche coloro che abitano i luoghi sopracitati, e di questo universo Lui è l’assoluto capo e governatore.
Per cui, come conseguenza, essendo possibile riconoscerLo nella natura, possiamo dedurre che per Bonvecchi Dio sia nella natura, viva dentro di essa, ne rappresenti lo spirito, l’anima, l’interiorità, il cuore (e di fatto, quasi tutti i componimenti di questa raccolta iniziano con l’ammirazione, che viene accuratamente espressa, per un tramonto, per il mare, per la luce del sole ecc., e il fine ultimo è celebrarne il creatore, ovvero Dio).
Non mancano poi alcune riflessioni sulla condizione umana che, in rapporto a quella divina, è molto inferiore, essendo gli uomini mortali e transitori, ma questi possono essere guidati verso la giusta via da Dio stesso, che appunto è una guida per loro.
Personalmente ho fatto molta fatica a leggere questa raccolta, e ci ho impiegato più tempo del previsto, dato che in ogni momento dovevo andare a cercare qualche termine, poiché non ne conoscevo il significato, ma comunque la consiglio, a chi sa essere paziente, in quanto offre degli spunti di riflessione molto interessanti.

domenica 22 maggio 2022

Tratto dalla silloge inedita "Monologhi dopo la mezzanotte" di Izabella Teresa Kostka

 


A CRISTO ( ore 03.00)

 

 

Ascoltami, Cristo,

anche se hai dei timpani storditi

dal lamento di questa Terra.

 

Abbiamo ancora qualche speranza?

 

Sai, non capisco come mai

hai permesso di inchiodarti alla croce,

di trattarti come un rifiuto

gettato nella discarica.

 

Ne è valsa la pena?

 

Mi soffermo al tramonto dipinto di ira

perché questa landa non conosce la quiete,

si sgretola come una finta casetta di carta

che brucia quando accendo una sigaretta.

 

Non sappiamo camminare sull'acqua

né trasformarla in un fiume di vino,

ironizziamo come pagliacci su ogni gesto d'affetto

temendo di scoprire il tallone di Achille.

 

Dimmi, hai mai desiderato la Maddalena?

 

Lei

gemeva inginocchiata sul tuo Calvario,

noi

calpestiamo gli antichi templi.

 

Che senso aveva versare il sangue

per quelli che "non sono alla somiglianza del Padre",

ma gioiscono venerando il ritratto di Dorian?

 

Abbiamo le anime rifatte,

di silicone traboccante i limiti,

le bocche cucite con fili spinati

di slogan mediatici,

di acide bugie.

 

Non accendiamo più i ceri alla memoria

inventando le scuse e l'effetto serra,

a breve non avremo neanche gli alberi

per rinnovare la tua croce.

 

Rispondimi, Cristo,

che senso ha la pioggia

che lava il sangue dai marciapiedi?

 

Somiglia a un bagno di candeggina

che pur "sbianchando" non toglie i peccati,

corrode soltanto i nostri corpi

che svanendo in un tombino si uniscono alle fogne.

 

Sei morto per donarci la vita eterna?

 

Noi,

sprechiamo pure quei pochi giorni

portati in un cartoccio fin dalla nascita,

ci distruggiamo, per gioco, come insetti

esposti in vetrina come una preda,

 

sono manomessi i nostri cervelli

lobotomizzati dai punteruoli digitali.

 

E Tu vorresti renderci immortali?

 

Viviamo come ergastolani nelle "carnivore" prigioni

chiamate "metropoli",

circondate dalle sbarre.

 

Oh Cristo,

perché sempre taci?

 

Sappi che invocherò il Tuo nome

quando il gallo canterà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ALLO  SPERMATOZOO (ore 04.45)

 

Dimmi, Piccolo,

dove corri così in fretta,

davvero non vedi l'ora

di procreare un altro sfigato?

 

Capisco, ti senti prezioso,

hai da svolgere un'importante missione.

 

Sappi che siamo troppi su questa Terra:

tanti malati e interiormente poveri,

innaccettabilmente neri 

ed estremamente bianchi,

diversamente amati di qualsiasi genere,

sfruttati per pochi spiccioli

e, in maggioranza, disoccupati.

 

Forse ti divertirai per qualche minuto

giungendo alla fine della vagina,

ti sentirai Onnipotente come Iddio

riuscendo a fecondare "al naturale".

 

No, non mi sento una femminista

anche se odio essere sculacciata,

non vedo alcun senso nella tua corsa

che porterà una breve gioia

e un interminabile pianto.

 

Vorresti dire: "Ai posteri il giudizio"...

 

Non hai mai visto il Mondo

fuori dal tuo umido, accogliente corridoio,

è una Valle di disperati

anche se, a volte, sorge ancora il sole.

 

I tuoi discepoli si sbranano come iene

e non risparmiamo neanche i cuccioli,

prendono a calci anche gli uteri

cancellando quel che Sacro era tempo prima.

 

Dimmi, Piccolo,

cosa vuoi trasmettere al tuo Creato

che nascerà su un Pianeta senza valori?

 

Sei ingenuo come una pecora

condannata ad un sacrificio,

corri insieme a migliaia di pretendenti

anche se il Vincitore sarà soltanto uno.

 

Credi ancora nel miracolo della Vita?

 

Non illuderti invano,

pure essa è diventata artificiale e assistita.


Izabella Teresa Kostka è nata a Poznań (Polonia), dall'anno 2001 risiede a Milano. Ha conseguito una laurea magistrale in pianoforte, è scrittrice e poetessa, giornalista freelance, traduttrice e organizzatrice di eventi culturali. Caporedattrice del blog culturale “VERSO – spazio letterario indipendente”, redattrice e collaboratrice del portale giornalistico "Alessandria Today" e del mensile polacco di cultura e letteratura "Bezkres / Infinito". Ambasciatrice ufficiale del Realismo Terminale per la Polonia. Ha ottenuto numerosi premi nazionali e internazionali per l’attività artistica e letteraria svolta (tra cui il Primo Premio per la Migliore Pubblicazione Poetica Internazionale su Spillwords.com negli Stati Uniti d'America, il 3° Premio Casinò Sanremo per la silloge "Pillole" appartenente al Realismo Terminale), ha pubblicato dieci raccolte di poesie in lingua italiana, le sue opere sono presenti su molte antologie tra cui “Novecento non più. Verso il Realismo Terminale” con lettera di Guido Oldani (La Vita Felice), "L'occhio di vetro" (Mursia), "Nascondere Nagasaki" (Mursia), "Il segreto delle fragole" (Lietocolle). Curatrice di antologie  collettive nazionali e internazionali (da ricordare l'antologia bilingue Italo - polacca "Ponte poetico / Most poetycki", con le prefazioni di Guido Oldani e Giuseppe Langella, Kimerik Edizioni). I suoi testi sono presenti nelle riviste del settore in Italia, Polonia, Francia, Stati Uniti d'America e Argentina. Ospite di molte trasmissioni radiofoniche e televisive, da anni partecipa alle fiere editoriali e alla rassegna "Bookcity" di Milano.