domenica 10 maggio 2015

Su Ero altrove di Luca Ariano

Le Voci della Luna Poesia, Volume curato da Ivan Fedeli, presente con una nota critica in quarta di copertina assieme alla nota di Lorenzo Mari
Edizioni Dot.com Press, febbraio 2015
pp. 92, € 10,00

recensione di AR

Forse la poesia di Luca Ariano può essere definita caleidoscopica. Certo non nel senso di illusionistica/fantasmagorica, ma in quello più sobrio di attenta agli scarti (anche minimi), ai cambi di prospettiva, alla messa a fuoco di dettagli che hanno poi una ricaduta importante fino a trasformare il contesto di partenza, producendo una “lettura” nuova e in qualche caso spiazzante, della storia, della realtà. Caratteristica dello stile di Ariano è infatti l’uso accorto di personaggi che – come osserva nella perspicua postfazione Salvatore Ritrovato – sembrano attori di un film neorealista in cui il poeta-regista si riflette e si adombra. Essi vivono i loro piccoli/grandi drammi, esprimono i loro desideri, trovandosi calati in una situazione storica che sembra aver dimenticato valori e ideologie, per cui i deboli vengono emarginati, sfruttati e brutalizzati e la natura violata e consumata senza alcuna remora. Le stesse relazioni umane  – sempre più centrate sull’individuo piuttosto che sulla comunità – paiono improntate al soddisfacimento di bisogni (magari indotti) e alla conquista di mete a breve raggio anche queste poi raggiungibili solo da pochi fortunati o privilegiati. I desideri profondi, i progetti di vita, rischiano così di essere rimossi da diverse “voci” di questa raccolta, che si trovano spaesate, frustrate, precarie, incerte del proprio cammino. C’è quindi una poetica della nostalgia di tempi storici in cui si rischiava (si pensi alla Resistenza), si solidarizzava, si voleva trasformare assieme la società per renderla più giusta e attenta a chi partiva da posizioni svantaggiate, si poteva contare su figure autorevoli, su testimoni autentici.  Ora pare che oltre alla figura del padre, siano spesso latitanti anche queste personalità, e ciascuno rischi di appiattirsi su un conformismo consumistico senza prospettive. Anche la presa di coscienza di chi giustamente si indigna, fa fatica diventare un impegno etico a medio-lungo termine ampiamente condiviso.
Emilio, Teresa, Andrea, Fiulin (proiezione di Ariano stesso e del suo fanciullino, per usare un termine pascoliano), Enrico… sono i personaggi più presenti nelle cinque sezioni di Ero altrove.
La prima – “Città perdute” – si apre con una dostojievskiana citazione di Peppino Impastato: Se si insegnasse la bellezza alla gente si fornirebbe un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. Già il titolo della sezione e le parole di Impastato ci forniscono una chiave importante per immergerci nella lettura dei versi che oltre alla critica e alla implicita spinta a reagire alle brutture che ci circondano, sono costellati di immagini che restano impresse: “balzando tra i castagni ha visto / montagne abbandonate e boschi / dimenticati anche dai funghi.” (p. 7); “a pochi passi si sentivano le rane di sera, / un vento senza alberi sradica grondaie / strade allagate di spiagge spianate da nuove stagioni.” (p. 10).
La seconda sezione si intitola “Scanzoniere”: “L’Emilio forse prenderà un’ora / di permesso per andare al funerale / d’un partigiano: è morto lassù, / (…) / mentre tramonta il sole dietro Appennini / e anche l’autostrada bianca ai lati di capannoni / invenduti ha il sapore di caffè e benzina.” (p. 22); “Teresa si sente come foglie secche / cadute nell’acqua e scarpe / che lasciano passi impantanati” (p. 28); “Il tramonto è una crema al salmone / da spalmare su un cielo d’inverno” (p. 29).  “Morbi”, la terza sezione, si apre con una intensa citazione di Gian Ruggero Manzoni che inizia così: La vita è agire, essere liberi, lottare e soffrire, per poi stringersi nelle spalle e slargarsi in una risata. Anche in questa sezione colpiscono alcune immagini: “La luna è una julienne in un’aria soffritta, / di un cortile da cinema parrocchiale” (p. 37); “fuori la città è un’Alabama / di bus vuoti e strade deserte” (p. 39); “Teresa sente le stagioni franare / come mura romane / che nessuno cura più.” (p. 42). “Corte Marziale”, la quarta sezione, ha in esergo versi del poeta latino: Mi piace quella terra in cui felice / mi rende un esiguo patrimonio… È forse la sezione più esistenzialista: “Il barbone del bar Monza / ciondola tra una chiesa razionalista, / bancomat e banconi da bere. / Dicono sia stato un bancario…” (p. 51); “Fiulin e Teresa tra schiumosi cavalloni / a saltare il futuro come un nasello / che di notte finirà in una rete.” (p. 55); “L’Enrico riscopre il calore di una donna: / tra passi tremanti in fondo sorride come adolescente.” (p. 57); “Quell’uomo guarda i numeri dell’orologio: / conta… riconta… le lancette, / i numeri non quadrano più.” (p. 63, questa immagine mi ricorda una scena de Il posto delle fragole di Ingmar Bergman).
Come si può constatare da questi passaggi, la scrittura di Ariano è parecchio prosastica (Ritrovato la definisce a tratti “sgranata, sporca”), il ritmo della versificazione evita in maniera sistematica adagiamenti musicali, ma offre la sua poesia nella bellezza spiazzante delle immagini che la impreziosiscono e nella icasticità di alcuni versi lapidari. Eccone qualche esempio tratto dall’ultima sezione, “La Renault di Aldo Moro”: “la pianura illimitata ti angoscia lo sguardo: / cerchi il profilo di colline, / il profondo respiro delle onde.” (p. 74); “un tempo sognavi ti portassero via… / ora dondolato sui binari / pensi a un viaggio perduto.” (p. 77); “Ricordi passeggiate sotto i portici / cercando uno sguardo, / fino al suono delle ore / che ti riportava al mesto desinare.” (p. 78).


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