recensioni a cura di Fabio Cecchi
• Socrate Toselli leggo essere un avvocato che ha accolto la missione della poesia, e io m’auguro perseveri con la bella passione condivisa. Al centro della copertina beige caldo vediamo posizionato un interessante disegno a matita di Jules Pequoq che non conoscevo. Non conoscendo nemmeno l’autore dei testi non posso inoltre avere pregiudizio. Trovare un cuore mi risuona un bellissimo titolo. Nella postfazione un errore di stampa mi stava facendo credere al neologismo, mentre si tratta di una simpatica svista del nostro uomo ponte e tuttofare Alessandro Ramberti. Un libro dal respiro non troppo ampio, di un linguaggio adoperato senza fronzoli o sensi nascosti, forse riconducibile al secondo Novecento di casa nostra. Non basta una lettura spicciola, tuttavia, non gliene rende merito. Il neo che incombe sul fare uso della rima, al tempo d’oggi, è di calibrare le scelte per risultare originali. La vocazione non è troppo lontana dalla maniera della compilazione di aforismi. Una poesia che mi piace assai è quella a pagina 50 con oggetto il fiume Tevere. Il contenuto generale è incentrato sul soggetto vivente senziente allacciato alle tre dimensioni. Quella della vita terrena stretta, quella che riveste ma sfugge l’immanenza terrena, quella che costituirà il dopo della nostra permanenza. Un libro che alterna pensieri leggeri a pensieri profondi e complessi, una valida compagnia ad esempio nel viaggiare in treno.
• Ce n’è parecchio da leggere nel volume a nome del giovane e promettente studioso Alessandro Burrone. Noi lo attendiamo calorosamente al prossimo raduno a Fonte Avellana, anche perché mi riuscirebbe abbastanza difficile, andarlo a prelevare in Cina come fosse uno dei tanti pacchi export. La pubblicazione di Le mie mani non sanno segue la vittoria al concorso Narrapoetando, su motivazione firmata da Ruotolo e Fresa e Ciampalini, che sono tutti del mestiere e non da ieri. Alessandro mi piace quando rievoca e descrive, la maggior parte di codesti frammenti. L’opera passa verso la metà a offrire delle note, venendo a una prosa più ampia. I testi più corposi occupano le ultime posizioni. Non avevo idea che l’autore, come me, sapesse leggere in francese. Le note derivano dalle letture affrontate. Alessandro sembra aver raccolto l’invito di una citazione riportata, ovvero leggere senza fare programmi, nonostante la seria abnegazione dello studente fuoriesca tutta. Appoggiando il volume, mi sorride di conseguenza la faccia da schiaffi del suo creatore, nella fotografia del retro. A lui va il mio saluto benevolente, purché non si faccia ancora più magro e slanciato, visto che personalmente riesco soltanto nella direzione opposta.
• Entriamo prego nel vetro della lente, così come recita un suo verso. Vi metto volentieri al corrente che incontrando Gianni Marcantoni ho incontrato una gran brava persona. A me sentirlo leggere è piaciuto e ve lo raccomando. Sedime esce per la collana Spiccioli, i cui titoli sono riportati cioè elencati nelle pagine di fondo. Lupa è un testo interessante, di Reso mi garba particolarmente la seconda parte, di Sosta invece più la prima. Il paesaggio emerge nelle ultime liriche, che sono state tra l’altro pubblicate in riviste, spiegano le note del volume. Questo paesaggio ha tra l’altro riferimenti interessanti, perché la costa fermana è stata un caposaldo dell’urbex dell’Italia centrale, come l’autore già sa, visto che l’ho arringato bene di persona. Entrambi ci si stava rendendo omaggio al buffet Anteas, nella cornice della splendida lettura fariana del gennaio passato, a dimostrare finalmente che non sono l’unico a legare col mangiare. Andiamo avanti. Il lessico di un poeta è scelta personale dove più dove meno condivisibile, ma non possiamo certo fare tutti le stesse cose alle stesse maniere. Sono contento di aver avuto modo di sperimentare la poetica di Gianni Marcantoni, che è vero che molto ha già mandato in stampa, ma mi auguro stia già lavorando a nuovi preparativi poetici.
• Non credete? È buffo che io abbozzi una recensione a un lavoro di Gianpaolo Anderlini, nella consapevolezza che la sua cultura e la sua bravura lasciano di molto indietro la mia. E allora compromesso sia. Scriverò ciò che mi è dato di scrivere, sapendo di volare basso, là dove il materiale spesso si colloca piuttosto in alto. Via in cammino! Salmi, ossia brani numerati, in cui la poesia va a fondersi con la preghiera, quest’ultima forse presa in senso troppo riduttivo. La prima sfida che incontriamo è farci carico dell’assenza totale di punteggiatura. In compenso la poesia gode di un canone stilistico, terzine o quartine di endecasillabi, e un verso singolo posto a chiusura come standard di produzione. Ho già letto materiale impostato da Gianpaolo, per così dire, sulle note messe in quaderno a fine giornata. Era un libro nato negli anni del Covid, sempre della casa Fara, per cui non esitate a recuperarlo. Il brano 150 chiude la lunga e corposa serie.
Una volta tanto mi trovo di fronte a un’opera che richiama il progetto organico in metrica come per esempio nei miei cari Pastonchi e Moretti. Anderlini riflette per la maggiore e commenta per la minore parte. Aspetto incisivo dei brani è infatti il carattere essenzialmente umano che accetta di distinguersi da una parola biblica accentrata al divino e supremo. La voce è fluente e decisa, un po’ più di rado assorta e nebulosa, stante indicare il pensiero sospeso o ipotetico. Nel libro terzo ho sottolineato più che negli altri. Salmo 81 e 84, molto bene. Salmo 96 e 97, altrettanto bene. Non mancate di leggere del Dio verde clorofilla del salmo 116. Questo breviario personale direi che si staglia tra i titoli usciti nell’anno lasciato alle spalle. Viene da amareggiarsi che non ne parlino i giornali nazionali, appartenendo alle belle opere di crescita e di sintonizzazione con l’universo. Inoltre sappiamo d’ora in avanti che l’autore emiliano conserva molte più parole in saccoccia di quante la sua riservatezza gli consente di pronunciare di persona. Ancora una volta, grazie Gianpaolo.
• A quanto apprendo dalla biografia, Guglielmo Aprile non è nuovo al comporre versi. Avverto attesa palpabile, verso i suoi Appunti eoliani, visto che giungono da zone per me pressoché sconosciute. Una citazione doverosa al gentilissimo pensiero dell’autore di premiare i contatti fariani dell’invio del testo digitale dell’opera. Avevo sentitamente ringraziato della bella sorpresa e mi ripeto tuttora. Inizierei sottolineando il tono discorsivo che dona un certo corpo alle liriche. Sono punti a favore, per quanto mi riguarda. La prima sezione intitola Ha un animo la pietra. È chiaro perché. Si tratta di testi dedicati agli scogli, cosa notevole: non da tutti usare un tale potere immaginifico. Si prosegue con titoli evocativi, come Apparizioni, Incantesimo, Pareidolia. Guglielmo illustra, ricorda, racconta. Attinge da Montale senza soffermarsi eccessivamente. Il mare che divora, il mare padre e assassino. Non ci si sofferma sul mare a trecentosessanta gradi, quanto sui giorni che l’autore ha scelto di intrecciarci. Sorge in me il quesito di lato tecnico se le osservazioni degli appunti siano state tracciate a memoria oppure seduta stante sulla battigia. Non un libro banale o che possano banalmente fare tutti. Questione di vocazione, soprattutto. Se sul mare scorrono voci, come lascia detto il poeta, direi sia centrato ricorrere al termine vocazione. Un libro che appagherà coloro che sentono il richiamo e condividono l’ambiente del mare.
• Il turno e il ritorno di Daniele Gigli, il quale in verità non si è mai allontanato, dall’attività di scrittura e dalla famiglia Fara. La biografia mi ricorda essere di casa torinese, quella che è stata per me una seconda casa di luogo poetico, seppure il nome di T.S. Eliot sembra lo abbia sospinto un tantino altrove. Via, entriamo in campo, cioè in campo saggistico. Eliot prima, Quadrelli dopo, i cui ritratti accompagnano la lettura. Abbiamo solo da imparare, mi viene da dire, cosa di meglio? Ora riporto una premessa solo per il gusto di esorcizzare la materia e sdrammatizzare. Io personalmente ho rincorso in tutti questi anni la nonchalance di lasciare Eliot per la senilità, sicché il libretto messo in mano dall’editore mi ha lasciato di ghiaccio per un istante molto prolungato. Non saremmo probabilmente andati d’accordo neanche in villaggio vacanza, se contemporanei, lui e la sua poesia che digerivo a fatica perché cervellotica, trascendentale, non referenziale. Non sta tutto qui, ad ogni modo, nel bene e nel male. Ora di rimediare tramite chi ne sa abbastanza. E anche di più.
Le prime paginette, sul ruolo dell’intelletto e sul peso dell’oggettività, risultano assai preziose. Sarebbe da pazzi lanciarsi a capire la poesia senza capire il pensiero che le ha dato forma. Un paio di cose che tenevo in memoria sono l’importanza delle Upanishad e la stima per l’Ulisse irlandese. Non sapevo dell’avversione per l’Amleto e in generale per l’opera del Bardo di Avon. Interessante davvero il dibattito sulla resa del verso bellissimo e tremendo Why then Ile fit you? presentando entrambe le versioni considerate dal curatore storico Alessandro Serpieri. Uno scherzo del destino ha voluto, al mio tempo, che in letteratura inglese studiassimo Yeats lasciando Eliot da parte. Sì, proprio al liceo Serpieri di Rimini. Non che ci avessi dato enorme peso. Quasi un anno era andato perso dietro a Coleridge e nessuno aveva idea che Thomas Hardy scrivesse libri di poesie. Un richiamo cattolico non me lo attendevo più e invece, con testo originale del Vangelo di Luca, viene ottimamente illustrato nelle ultime battute. Quei versi mi sono piaciuti molto. Quando Eliot mantiene integrità nei paragrafi, evidentemente, sono anch’io in grado di apprezzarlo. La sezione dedicata si chiude poco oltre la metà del libretto. A pagine 41 inaugura il saggio su Rodolfo Quadrelli. Abbinamento che scaturisce, Gigli deve rivelarci, dall’impegno dello stesso nella traduzione della letteratura inglese. E tuttavia il testo tratta di filosofia. Inedia spirituale, antico tempo e moderno, eredità dei sistemi filosofici. Sono sempre lieto di imbattermi in parole desuete, e l’autore se ne avvale senza problemi. A pagina 42 per esempio. Un percorso di lettura niente male, che è davvero bene sia stato recuperato e pubblicato. In fin dei conti il binomio di studi non si riserva a pochi eletti, e senza dubbio se ne apprezza l’amore e il rigore che lo intinge. Mi faccio promessa di rileggere una seconda volta. Almeno una seconda volta. Ben fatto, Daniele, avanti tutta.
Le prime paginette, sul ruolo dell’intelletto e sul peso dell’oggettività, risultano assai preziose. Sarebbe da pazzi lanciarsi a capire la poesia senza capire il pensiero che le ha dato forma. Un paio di cose che tenevo in memoria sono l’importanza delle Upanishad e la stima per l’Ulisse irlandese. Non sapevo dell’avversione per l’Amleto e in generale per l’opera del Bardo di Avon. Interessante davvero il dibattito sulla resa del verso bellissimo e tremendo Why then Ile fit you? presentando entrambe le versioni considerate dal curatore storico Alessandro Serpieri. Uno scherzo del destino ha voluto, al mio tempo, che in letteratura inglese studiassimo Yeats lasciando Eliot da parte. Sì, proprio al liceo Serpieri di Rimini. Non che ci avessi dato enorme peso. Quasi un anno era andato perso dietro a Coleridge e nessuno aveva idea che Thomas Hardy scrivesse libri di poesie. Un richiamo cattolico non me lo attendevo più e invece, con testo originale del Vangelo di Luca, viene ottimamente illustrato nelle ultime battute. Quei versi mi sono piaciuti molto. Quando Eliot mantiene integrità nei paragrafi, evidentemente, sono anch’io in grado di apprezzarlo. La sezione dedicata si chiude poco oltre la metà del libretto. A pagine 41 inaugura il saggio su Rodolfo Quadrelli. Abbinamento che scaturisce, Gigli deve rivelarci, dall’impegno dello stesso nella traduzione della letteratura inglese. E tuttavia il testo tratta di filosofia. Inedia spirituale, antico tempo e moderno, eredità dei sistemi filosofici. Sono sempre lieto di imbattermi in parole desuete, e l’autore se ne avvale senza problemi. A pagina 42 per esempio. Un percorso di lettura niente male, che è davvero bene sia stato recuperato e pubblicato. In fin dei conti il binomio di studi non si riserva a pochi eletti, e senza dubbio se ne apprezza l’amore e il rigore che lo intinge. Mi faccio promessa di rileggere una seconda volta. Almeno una seconda volta. Ben fatto, Daniele, avanti tutta.
• Vi sono persone verso cui serbo una stima forse negli anni non dichiarata. Una di queste è Franca Oberti, donna di lettere e donna del sapere. Dov’era finita questa pubblicazione? Anno 2019. Una di quelle delle uscite dal Faraexcelsior. Franca ha esperienza di poesia nonché di sapere medico ma ha senz’altro offerto tanto di buono nella semplice prosa di racconto. Il libello in questione è Lina la Gocciolina, con tanto di sottotitolo I ritorni dell’acqua. La distribuzione del testo o meglio dei testi scherza un poco con la pazienza del lettore. L’inizio cade dopo una premessa e una introduzione a firma della stessa autrice. Il plus arriva a sipario calato tramite uno degli interventi di Stefano Martello, che colgo occasione per abbracciare a distanza e ringraziare per la sua vena preziosa e inesauribile. È giusto rimarcare il ruolo dell’acqua nella nostra vita e l’attenzione che le dobbiamo. La letteratura che attinge dal passato e si rivolge al futuro mi va altamente a genio. I riferimenti geografici del testo sono benvoluti e si accostano al “fare mappa” che è proprio una delle capacità degli urbexers. Ancora dobbiamo credere nelle possibilità di testi dall’afflato pedagogico. Io che mi prometto di crederci sono stato dunque contento di essermi intriso delle parole della storia corale di Lina la Gocciolina.
• Apro la recensione con la domanda più importante, ossia se siamo di fronte a un libro che merita il nostro prezioso dosaggio di attenzione. Sì, la risposta. Sono in tutto e per tutto felice di aver messo le manone sull’opera in prosa intitolata I GiraSoli e votata al Faraexcelsior. Il mio giudizio non reputo né parziale né circostanziato, perché il libro gode di un impianto di livello accademico e la sintassi non presenta forse forse nemmeno una smagliatura. Sabrina Zanoni trascrive per noi uno stretto numero di conversazioni telefoniche, svolte dietro progetto, dimostrando di conoscere gli stilemi del romanzo. La prima storia esordisce con un’emicrania, che guarda il caso, sarebbe mia materia di competenza. Si snocciola poi una storia al femminile, di leggera tensione drammatica. La seconda storia è capitata a fagiolo, sotto Natale, e spero di non essere l’unico a riconoscere la stessa leggenda della lirica pascoliana La tovaglia. La terza storia contiene il pregio di fare luce, in un incrocio di voci femminili, su cosa consiste il progetto “Storie al Telefono”. La quarta storia stava per farmi capitolare, per via di un ritratto di famiglia con guazzabuglio, ma alla fine niente che venga esagerato. Il quinto episodio, uno schietto discorso maschile sull’amicizia nel tempo dei social, è anche il più sintetico. Il sesto invece riprende spazio nella calorosità di una nuova personalità di donna, sempre in dialogo con Marta, nome assunto per l’occasione dalla bionda autrice lombarda. Un difetto da riscontrare potrebbe individuarsi nella voce principale, che talvolta agisce da cassa di risonanza senza riuscire a essere un secondo soggetto. Ad ogni modo, il responso è più che positivo. Non ho esaurito la lettura delle ventuno storie trascritte, facendo sì che il loro gusto squisito mi accompagnerà nell’attesa. Un’inclusione in catalogo in grado di soddisfare il lettore più esigente e quello più semplice. Applaudo Sabrina Zanoni e mi congratulo con Alessandro Ramberti.
• Ho amato assai scendere nelle pieghe del libro che vi presento. Le dodici storie ideate e riportate da Francesco di Sibio. Ce la accenna lui stesso col titolo, Che cosa vuoi che sia un anno la ripartizione del materiale scritto. A causa della salute inferma, i miei ultimi anni non possono dirsi degni di nota, detto sinceramente. Al contrario, l’autore ha raccolto valide annotazioni da cui comporre altrettanto validi racconti. L’ombra che gravita sopra libri di una certa mole, per ciò che so dire, è di non andare d’accordo con lo stile o con la trama, rendendo la lettura una fatica costante e deplorevole. Francesco invece scrive bene e spaziando su diversi temi vince anche la seconda scommessa. C’è da dire che gioca prevalentemente in casa, ambientando nella sua terra irpina, così da ridurre il margine di errori grossolani. Ho amato il terzo racconto (“La Tela della Vergine”) che ritengo collocarsi una spanna sopra gli altri, grazie alla bravura della fabbricazione in epoca storica. Anche il secondo e il sesto episodio, rispettivamente sulla solitudine nella terza età e sulla musica dal vivo, fanno bella figura. Mi sono promesso di stanare quanto prima anche le storie della seconda metà del libro. Opera che garantisco valida e avvincente, mi congratulo con il suo creatore.
• Un’altra uscita sfuggita alle mie grinfie. Ancora una volta, anno 2020. Ha avuto dopotutto qualcosa di benedetto. Non ho mai incontrato Gualtiero Lelli, anche perché apprendo egli ha casa a Roma. Questo doppio romanzo trova tra i suoi pregi proprio nel calare il lettore nella dimensione della città capitale. Non ricordo nemmeno più che voce abbia è l’evocativo titolo scelto. L’intreccio e la sintassi funzionano benissimo anche lasciando da parte l’ambientazione. Il volume rivestito di un azzurro leggerissimo cela in verità un contenuto grintoso, una narrazione in prima persona molto bene orchestrata. Abbiamo addirittura una paginetta carnale per uno e per l’altro episodio. Non certo il marchio di fabbrica fariano, ma a volte ci vuole, e la volta era buona per azzardare. Non mi sottraggo al rimando a un altro romanzo edito anni or sono da monsieur Ramberti, cioè Pinocchio non abita più qui, sempre ambientato nel romano. L’opera di Gualtiero Lelli mi pare più compatta e scorrevole. Ho tracannato di un fiato il secondo romanzo, mentre mi vedo rallentare con il primo, ma senza dubitare di godermelo a sufficienza. La vera curiosità è forse avere dato al libro il nome di una delle storie, nascondendo di fatto che ce ne siano due distinte. Sono grato ad Alessandro Ramberti per il consiglio della lettura in questione che a mio turno rilancio, senza indugio, a chiunque possa apprezzare la scrittura romanzata. I miei complimenti a Gualtiero Lelli.
• Incontro con l’autrice. Su mia volontà di raggiungere la brava Sonia Gardini nella struttura residenziale di Sant’Angelo di Gatteo (FC) in cui gestisce la sua riabilitazione muscolare. La Casa Fracassi m’appare davvero valida locazione, a parte un prolungato cantieraccio esterno, sicché sono proprio contento per la mia amica. Il Risveglio delle Cose è un libro leggero che non per questo debba essere sfogliato senza concentrazione. Io sono tra coloro che concepiscono la poesia come spazio e occasione di impegno civile, sicché spesso vengo scosso dal mio piedistallo ideale, come la stessa Sonia si è concessa di fare. La prima sezione comprende i tanka. Questa costruzione mi piace assai, come sarebbe piaciuta a Thomas Hardy, e sono lieto di averla appresa. Lo sfondo delle liriche attinge dal verticale all’orizzontale: mare, prato, nubi, cielo. Immagino tra me e me l’autrice, seduta assorta come la conosco, attendere la brezza e l’ispirazione avvicinandosi al bagnasciuga. La costa cesenate cioè cesenaticense l’ho percorsa avanti e indietro nella mia ricerca delle colonie perdute, come ho confessato e illustrato alla mia amica, indicando la fabbrica chiusa e in vendita giusto a lato del suo domicilio. “Che cavolo ci vai a fare nei posti”, le esce schietto di rimando. Eh, il tempo dell’uomo celibe è purtroppo soggetto a interrogativi ben più grandi di lui e forse anche di voialtri. Ogni tanto cerco il percorso di uscita dai confini della civiltà o forse soltanto dal confino della mia persona. Sonia da questo punto di vista è molto più disciplinata di me. Ai grandi tocca il buon esempio, d’altronde.
La seconda sezione comprende gli haiku, che non sono più una rarità sul fronte letterario occidentale. Sonia se la cava in modo egregio e mi collega più d’una volta, penso involontariamente, allo stile di Alessandro Ramberti e di Caterina Camporesi. Anche quest’ultima rammento con malinconia stare trascorrendo un periodo di festività di più sotto il tetto di una residenza protetta. A lei dunque estendo il mio abbraccio virtuale, poiché il bene non si dimentica, e anch’io non ho voluto che un verecondo bene nei confronti della nostra amica. Torniamo a Il Risveglio delle Cose. I passaggi che mi hanno colpito sono Si offre esile la margherita; La roccia erta d’ocra; Stanno le case aggrappate sul colle come presepe. In fondo, una buona poesia scaturisce dal vedere bene. Un monito da tenersi a fianco, lo stabilisco anche e in buona parte per me stesso. Il passaggio Vorrei tuffarmi in un gorgo di mare mi lampeggia una versione più turistica della autrice, come sul pontile della motonave. Non so quanto anelito stagionale alberghi dentro Sonia; chissà se di qui a poco noterete lei a balnearsi in spiaggia e invece me a ritirarmi a vita privata in entroterra. Sonia, sei stata vaccinata per l’ironia? Spero di sì perché con me la vedrai spesa in abbondanza. L’ultima apparizione, prima dell’indice, viene riservata a un testo chiamato Invettiva. Questa volta il richiamo sembra Primo Levi e il tema storico quello di guerra. Nella Casa Fracassi scoccano le ore otto e al televisore, dopo la prevedibile clip di Mattarella a palazzo, è il turno degli aggiornamenti da Gaza e Kiev. Ce n’è veramente di che ricordarsi di cosa siamo capaci in negativo. Signori, è appena passato Natale, non rigiro le parole nella piaga. Ora che ho scritto posso riporre il libriccino in salotto, non troppo nascosto, nel segno delle cose a cui si vuole bene. Se la Casa Fracassi non instaurerà criteri di selezione basati sulla avvenenza, entro primavera riporto la mia robusta persona a incontrare la nostra autrice. Io vi ringrazio per l’attenzione. Buona vita e buona letteratura.
Nessun commento:
Posta un commento