Edizioni Farepoesia, Pavia, 2010
di AR
Del grandioso romanzo in versi a cui sta lavorando da anni, Luca Ariano ci offre con Contratto a termine un exemplum particolarmente riuscito e sfolgorante (cfr. anche l'intensa e acuta prefazione di Francesco Marotta), pur essendo immerso in una realtà padana spesso grigia (e non solo in senso atmosferico) e “nebbiosa”: gli ideali e le ideologia del passato sono morti o moribondi e si rischia di perderne definitavmente memora con la scomparsa degli ultimi interpreti di una stagione politica che pare lontana secoli, le aspettative delle nuove generazioni sono appunto “a termine”, disilluse e prive di entusiasmo. In questa “storia” liquida e cedevole si muove la scrittura, direi cinematografica, del poeta vigevanese ma ormai parmense di adozione. Si tratta in fondo di una poesia epica, nonostante il tono dimesso e la presenza di antieroi, di personaggi “normali” che interpretano una quotidianità talvolta persino sciatta eppure con esiti anche drammatici: solitudini, suicidi, malattie “contratte” sul lavoro (e qui il “termine” acquista una tragicità non solo economica ma esitenziale), fughe nella droga e nell'alcolismo, sesso come sfogo o come mezzo di scalta sociale, “eroi” del recente passato dimenticati e abbondonati… Lo sguardo di Ariano, come quello di un regista del primo dopoguerra, non edulcora la realtà, la registra facendo “parlare”, con i loro tic anche linguistici (abbastanza frequenti i corsivi nel dialetto della Lomellina, quello ascoltato da fiulìn, il personaggio che è l'alter ego dell'autore) l'Enrico, l'Anna, l'Emilio, l'Elio, l'Ada… insomma tutti i personaggi di quella fetta di Padania, prossima al Ticino o alla via Emilia, ben nota al Nostro.
Passaggi di assoluta poesia costellano questa grandiosa opera in progress di Ariano che potrebbe altrimenti rischiare di risultare prosastica o cronachistica e invece, e lo ribadiamo, è un vero poema epico contemporaneo. Passaggi, dicevamo, che ci pare di poter identificare in particolare in quei versi in cui natura, storia, emozioni, sguardo d'insieme e analisi degli eventi si fondono in parole pregne di simboli e in metafore dalla forza visiva spiazzante.
Solo alcuni esempi fra i tanti.
Dalla prima sezione “Transazione»: «e ti porti sulla via Emilia una lunga / discussione da filrm, / col nome uscito da un cartone, / in un'aria di neve che domani / impasterà le strade» (Sulla Via Emilia, p. 13); «Si rasano i prati spulciati da merli / e i tuoi capelli cadono sulle zampe / d'un cane che assalta il tremore / delle ginocchia» (Bambini, p. 15); «In un panorama che gela le tonsille / distribuisci versi in quella quiete ambrata» (Panorama, p. 16); «negli istanti fracassati del corsaro / all'Idroscalo di Ostia: / le parole non erano ancora profezie» (Trent'anni dopo, p. 18).
Dalla seconda sezione “Calendario giuliano”: «Un vecchio osserva le cosce d'una ragazza / e ritorna ai frettolosi amplessi / tra macerie e sirene quando un bacio / poteva essere l'ultimo prima del calar del polvere» (Atto II, p. 22); «rapido lo sguardo dei passanti / e troppo secca la tua retina / appanna i mattini» (Lo hanno ucciso sul divano, p. 26); «Il vento ti seguirà con passo di cane» (Appena ti incontrò, dopo mesi, forse anni, p. 27); «Nell'inaspettato tepore settembrino / il gelato è un affresco di fine stagione» (La caccia al cinghiale, p. 28); «La nebbia di quelle stagioni lascia / sempre un cattivo gusto / ma il primo tepore del mattino risveglia le ciglia» (È già il secondo matrimonio, p. 29); «Il transito nella galleria ha lasciato / solo un vento ad accapigliare i giornali / del giorno prima e il pietrisco del fogliame» (Lei con semplice candore, p. 31); «Le strade s'abbrustoliscono di castagne» (È un'altra di quelle mattine albine, p. 32); «e nascere in Lomellina è un sospiro crepuscolare» (Tornare è un po' come morire, p. 35); «ti racconterai a uno sconosciuto / che già s'è scordato la tua storia: / tanto domani s'ammazza» (Ti sei preso un biglietto, p. 37).
Dalla sezione eponima: «ma poi i nodi vengono al petto e ogni sabato / sotto quelle lenzuola un altro respiro» (L'hai fatto in quel parcheggio vuoto, p. 46).
Dalla quarta sezione “Nuovi contratti”: «Si alza il gomito della cura e per te, / uomo di pianura, un po' di ansia dietro ogni / accelerata, lontano dalle tue orme infinite» (Un arcobaleno – come quello, p. 56); «Pietro se le ricordava bene le torture / della banda Koch – in viale Romagna; / vent'anni dopo in una sera di dolce vita romana, / s'è gettato dalle scale di un casermone» (Dal mare sono arrivati guidati da Hasting, p. 62); «il professore adnrà a quella festa / portato per inerzia di una barba tagliata male / e sonnecchiando distillerà / gioie di galaverna prima del solito nuovo anno” (Gh'è una nebia del Cristo, p. 68).
Dall'ultima sezione “Genti dolorose” (chidue poi il libro un omaggio al partigiano e poeta Gorgio Piovano): «Teresa coi suoi occhi di febbre danza di tosse / ma dal lucernaio della mansarda la nebbia / mescola le case come un brano d'opera» (Ogni benedetta mattina all'Emilio, p. 74).
Un poeta che “risveglia” il reale: con la sua scrittura tersa e obiettiva, Ariano è un po' il periscopio che indaga con sguardo sinestetico un trancio di storia che ci riguarda e ci dice che nonostante la “nebbia” non possiamo far finta di niente. Un libro davvero bello che anche i più giovani possono gustare nel suo saporoso understatement, se hanno il piccolo coraggio di prendere un mano un libro di poesia.
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