venerdì 29 gennaio 2010

Lorenzo Calogero: convegno internazionale 4-6 feb


LORENZO CALOGERO E' UN GRANDE  POETA ITALIANO DEL SECONDO NOVECENTO




Convegno internazionale

LORENZO CALOGERO
1910-2010
L’ ‘ombra assidua’ della poesia

Arcavacata di Rende
4-6 febbraio 2010
Sala University Club

GIOVEDÌ 4 FEBBRAIO

09.00 Saluto del Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia
Raffaele PERRELLI
Saluto del Vicepresidente della Giunta Regionale
Domenico CERSOSIMO
Presentazione dell’iniziativa del Direttore del  Dipartimento di Filologia
Vito TETI

Apertura dei lavori
Seduta  antimeridiana

Presiede Luigi LOMBARDI SATRIANI (Università di Roma)

09.30 Luigi FONTANELLA (Università di New York)
L’arabesco  visionario e “inconcluso” di Lorenzo Calogero
Giorgio PATRIZI (Università  del Molise)
Poesia dai margini: Calogero, “l’immagine e l’intento assiduo”
Lucia CALOGERO (Liceo Ginna sio “Galileo” - Firenze)
Intorno ad alcuni  quaderni del 1957

11.00 Coffee break

11.15 Santino SALERNO  (Giornalista - Palmi)
Lorenzo Calogero: una vita per la poesia che non  salva la vita
Giuseppe TEDESCHI (Giornalista e critico letterario - Roma)
I miei incontri con Calogero
Giuseppe Antonio MARTINO (Istituto  Superiore “Via Sarandi” - Roma)
“È morto o ha voluto morire?”

Discussione

Pausa Pranzo

Seduta pomeridiana

Presiede Raffaele PERRELLI (Università della Calabria)

15.00  Luigi LOMBARDI SATRIANI (Università di Roma)
Poesia e marginalità: il caso  Calogero
Angela GERACE (Università della Calabria)
Vibrazioni gotiche  nella lirica del primo Calogero
Stefano GIOVANNUZZI (Università di Torino)
Calogero, Betocchi e “Il Frontespizio”

16.15 Cof fee break

16.30 Mario CALOGERO (Università di Messina)
I manoscritti di  Lorenzo Calogero
Carmen REALE (Università della Calabria)
Lorenzo  Calogero e i suoi editori nelle carte dell’Archivio
Franco IUSI  (Università della Calabria)
La banca dati dell’Archivio Calogero

Discussione



VENERDÌ 5 FEBBRAIO

Seduta  antimeridiana

Presiede Franco BUFFONI (Università di Cassino)

09.00 Caterina VERBARO (Seconda Università di Napoli)
La poetica  panteistica di Lorenzo Calogero
Fulvio LIBRANDI (Università della  Calabria)
“Non sono riuscito a vivere”. La presenza ferita
Arianna  LAMANNA ( Associazione Villanuccia- Firenze)
La visione estatica della  “Città Fantastica” nella poetica calogeriana
Massimo SANNELLI (Giornalista  e critico letterario - Genova)
“A modo di corolla al verso dilagante”. Sui  “simboli-segno” (Dickinson, Calogero, Rosselli)

11.00 Coffee break

11.15 Mario SECHI (Università di Bari)
Una poesia al limite.  Fattori costruttivi del discorso calogeriano
Andrea AMOROSO (Università  della Calabria)
Un versificare ininterrotto. Ricognizione intorno alla  poesia di Lorenzo Calogero
Florinda FUSCO (Università di Bari)
Lorenzo  Calogero: la zona mistica del linguaggio

Discussione

Pausa  pranzo
Seduta pomeridiana

Presiede Caterina VERBARO (Seconda  Università di Napoli)

15.00 Vito TETI (Università della Calabria)
Il “verde passaggio”: luoghi visibili e paesi d’incanto
Luigi TASSONI  (Università di Pécs - Ungheria)
Una poetica della presenza
Sonia  ROVITO (Università della Calabria)
“La lugubre vocazione ad esistere” di  Lorenzo Calogero
Annarosa MACRÌ (RAI - Cosenza)
Quarant’anni con  Lorenzo Calogero

16.40 Coffee break

17.00 TAVOLA ROTONDA
L’eredità di Calogero nella poesia contemporanea

Presiede Nicola  MEROLA (Università della Calabria)

Cecilia BELLO MINCIACCHI (Liceo  Ginnasio “Galileo” - Firenze)
Franco BUFFONI (Università di Cassino)
Claudio DAMIANI (Liceo Scientifico “G. Piazzi” Morlupo - Roma)
Rosaria  LO RUSSO (Poeta e performer- Firenze)
Elio PECORA (Poeta e critico - Roma)


SABATO 6 FEBBRAIO

Seduta antimeridiana

Presiede  Vito TETI (Università della Calabria)

09.00 Gianni CARTERI ( Saggista  – Bovalino)
Lorenzo Calogero nella solitudine dell’Immenso
Enzo REGA  (Università Napoli “L’Orientale”)
Luogo e memoria nella poesia di Lorenzo  Calogero
Mariagrazia PALUMBO (Università della Calabria)
Il sogno e il  ricordo nell’universo poetico di Lorenzo Calogero

10.15 Coffee break

10.30 Claudio DAMIANI (Liceo Scientifico “G. Piazzi” Morlupo - Roma)
“Se guardo e mi volgo attorno”
Franco DIONESALVI (Giornalista e  scrittore - Cosenza)
Gli ultimi giorni di Lorenzo Calogero
Paolo  MARTINO (Università LUMSA - Roma)
Calogero e il linguaggio

Discussione

Conclusioni


COMITATO SCIENTIFICO:  Lucia Calogero, Mario Calogero, Margherita Ganeri, Nicola Merola, Raffaele  Perrelli, Carmen Reale, Santino Salerno, Caterina Verbaro, Vito Teti


Segreteria organizzativa: Sonia Rovito
e-mail:  convegnocalogero@fil.unical.it; liliac73@libero.it

giovedì 28 gennaio 2010

Franca Fabbri a S. Mauro Pascoli 31 gen

Domenica 31 gennaio 2010 alle ore 17,00 presso l'Enoteca "Uva Nera" di S. Mauro Pascoli (FC) in via Matteotti 4, tel. 0541-944975, Franca Fabbri presenta la sua ultima intensa raccolta di poesia: Sto consumando l'ultima casa. Vi aspettiamo!

consumando casa

incontri poetici e non solo by Assiri, Garbin e Barcellandi




Giovedì 4 febbaio saremo alla Trattoria N° 1
in via Pellegrini 2, 37022 Fumane di Valpolicella (VR)
incontro organizzato da Alessandro Assiri
che a partire alle ore 20:00 conduce "Il gusto del parlare"
con Fabio Barcellandi, Eros Olivotto e Monica Ferretti
(sarà con noi Beppe Costa).

Venerdì 5 febbraio saremo allo Spazio Tadini
in via Jomelli 24, 20131 Milano
incontro organizzato da Fabio Barcellandi
a partire dalle ore 18:30
spettacolo di BEPPE COSTA
"Anche ora che la luna"
con Tamer Abdalla al pianoforte
musiche di Giovanni Renzo.

Sabato 6 febbraio saremo al Caffè Galeter
in via Guerzoni 92h, 25018 Montichiari (BS)
incontro organizzato da Andrea Garbin
a partire dalle ore 21:00
spettacolo di BEPPE COSTA
"Anche ora che la luna"
con Tamer Abdalla al pianoforte
musiche di Giovanni Renzo.

Domenica  7 febbraio saremo al Caffè Modì
in via San Giorgio , 46100 Mantova
incontro organizzato da Andrea Garbin
a partire dalle ore 19:00
spettacolo di BEPPE COSTA
"Anche ora che la luna"
con Tamer Abdalla al pianoforte
musiche di Giovanni Renzo.

sperando nella vostra partecipazione,
un abbraccio,
Andrea Garbin
- poesiadalsottosuolo - http://poesiadalsottosuolo.wordpress.com/

 

Su Senza saperlo nemmeno di Enrica Musio

recensione di Vincenzo D’Alessio
scheda del libro qui

senza saperlo nemmenoQuanto tempo è trascorso dalla lettura dei versi dell’ultima raccolta della Musio? Quattro anni?! A me sembrano molti di più. Rammento la sua prima raccolta pubblicata dalla stessa casa editrice in Antologia Pubblica, del 2005: sembrava che la farfalla potesse distendere le ali in tutta la sua ampiezza. Ma il tempo è intervenuto a stancare quelle ali prima del volo. Così la farfalla, senza saperlo nemmeno, ha preso a librarsi nell’aria solitaria della casa dov’è nata, dove ha lasciato il bozzolo del suo sonno, dove rimangono i riflessi delle molte persone che l’hanno abitata.
“Un destino di parole / (…) / mi metto a riscriverle / queste assidue memorie / senza saperlo nemmeno”(pag. 23). Ma una poetessa (la farfalla) può saziarsi di così poco? Non le bastano le ali della realtà, occorrono le ali della fantasia, dei ricordi, degli affetti mancati da poco. Tutto questo concorre a scrivere le sofferte poesie che compongono la raccolta: versi che si spezzano sulle chiuse, parole che da sole implicano una fatica e la ricerca del portamento poetico, la fragilità della fanciulla che poco a poco entra in contatto con il disagio del deserto solitudine. La fedeltà alle lettera, se non sbaglio era Montale che lo diceva, così resta la poesia della Nostra:  “(…) / un muto / alfabeto / fatto di affetto / amore” (pag. 27); “(…) fedele / al tavolo / scrivo”(pag. 26).
La poetica vera della Musio però è altrove: nella felicità dei contatti umani, nelle figure femminili che hanno denominato la sua esistenza, nelle cose chiamate per nome, nella campagna e nei lavori contadini, in quel tempo scomparso troppo in fretta, anche la voce del mare. La nonna, la madre, i compagni di scuola, gli amici meridionali. Sì, la scuola, merito delle prime armi della poetessa, antica officina polverosa, mondo colorato. Il cammino della poetessa è inverso, innocente, quasi a ritroso: “(…) / strano specchio / ci guarda / diventare piccoli / senza un’anima” (pag. 39).
Il dolore è una macchia sulle ali. Un peso sul cuore. L’amico Stefano scomparso. La grande pazienza di affrontare il dolore e la morte. Ossimori, assonanze, “inesistente punteggiatura” (pag. 60). Ancora un volo per questa mite farfalla . Ancora un sollevarsi dalle stanze del silenzio e della solitudine. Speranze cercate nel lettore: “(…) / ora amico mio / è anche un po’ la tua” (pag. 60). E l’invito sincero che sgorga alla fine della fatica intrapresa: “(…) aiutami a non farmi soffrire” (pag. 61). Noi leggiamo i suoi versi che dureranno, speriamo, come l’ora dell’infinito.

Gennaio, 2010

mercoledì 27 gennaio 2010

Francesco Gaggi finalista al Ceppo 2010



articolo pubblicato su «La Voce di Romagna - Cesena» il 27-1-10
scheda del libro qui

Pro/testo a Barcellona 5-6 feb




scheda del libro qui v. anche qui

News Arteinsieme del 27 gennaio 2010

Buona giornata.
Oggi è la ricorrenza del Giorno della memoria, una celebrazione tanto più necessaria nel nostro mondo che sembra animato solo da impulsi razzisti. In questo aggiornamento troverete due poesie (una mia e l’altra di Cristina Bove), un racconto di Fiorella Borin e un editoriale di Lorenzo Russo che parlano dell’olocausto.
Considerati i gravosi impegni di questo periodo, con conseguente mio affaticamento, ho deciso di staccare la spina del computer per almeno una settimana e quindi ci rileggeremo all’incirca verso il 14 febbraio. Intanto, mi raccomando, mandatemi i vostri articoli.


                                            
                                              P O E S I A

1) Nell’epica un personaggio storico e anche l’uomo odierno in Alexandros http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6432 di Franca Canapini;
2)  Il pericolo di un nuovo olocausto è sempre incombente in Almeno chiedersi http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6431 di Cristina Bove;
3) Affinché tali non siano più chiamati e considerati in Clandestini http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6430 di Giuseppe Gambini;
4) Una figura, un’istantanea, un’impressione in Dignità <http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6429 di Gianni Langmann;
5) Reale, o meglio ancora metaforico, il Fumo http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6428 di Sara Cristofori;
6) Ispirata dall’omonimo romanzo di Mauro Corona, Il canto delle manère http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6427 di Tiziana Monari;
7) Di solito è triste e silenzioso, ma qui invece è tutt’altro, è Il chiassoso cipresso http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6426  del Gabbiano;
8) La libertà delle vittime dell’olocausto in La stella sul braccio http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=3&c=9&det=6433 di Renzo Montagnoli;
9) Giuste domande quelle di Maria Attanasio in Ma dove stiamo andando http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6425
10) La fonte di ogni ispirazione in Mia musa http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6424 di Tinti Baldini;
11) Tratta dalla sua silloge Tracce d’infinito (Edizioni Il Foglio Letterario, 2009) una delle più belle poesie della nostra indimenticabile Beatrice Zanini: Per una notte almeno http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6423
12) Un canto alla natura di chi si sente parte inscindibile di essa con Ritorno alla terra http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6422 di Maria Teresa Santalucia Scibona;
13) Non c’è dono più grande della Serenità http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=20&det=6421 di Franco Seculin.


                                   
N A R R A T I V A

1)       Un lager nazista, un uomo che cerca ogni giorno di sfuggire alla morte in Ernesto, vent’anni http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=21&det=6420 di Fiorella Borin;
2)       Non è sempre più verde L’erba del vicino http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=21&det=6419 di Cesarina Bo;
3)       Una parabola sulla vita con L’ultimo percorso http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=45&c=21&det=6418 di Pietro Zerella.


                                 
E D I T O R I A L I

Riflessioni sulla Shoa, o meglio sul destino dell’uomo dotato di requisiti particolari http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=42&det=6417 di Lorenzo Russo.


                               
R E C E N S I O N I  

1)      Gli scorridori infernali http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=6416 di Luca Rocchi, edito da Tabula Fati;
2)      Le città invisibili http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=6415 di Italo Calvino, edito da Mondadori.                
                                                              

                                
L E T T E R A T U R A

1)           Giuseppe Iannozzi ha recensito Disertori http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=6414 di Michele Pellegrini, edito da Barbera;
2)           L’altro sole http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=6413 di Turi Volanti, edito da Emanuele Romeo e recensito da Salvo Zappulla;
3)           Carmen Lama ha recensito L’altra storia http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=6412 di Aldo Giorgio Gargani, edito da Il Saggiatore;
4)           Pilone http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=81&det=6411 di William Faulkner, edito da Adelphi, e recensito da Grazia Giordani.
                  

Novità nei Freschi di stampa e nelle News.


Buona lettura e arrivederci alla prossima.                  


ARTEINSIEME ©2006 di Renzo Montagnoli    http://www.arteinsieme.net/ 


renzo.montagnoli@gmail.com 

martedì 26 gennaio 2010

Su Il pudore dei gelsomini di Adele Desideri

Raffaelli Editore, 2010

Questa nuova raccolta di Adele Desideri è caratterizzata da un tono lirico a tratti passionale e sensuale, con una scrittura elegante e oscillante fra un'immanenza desiderosa e una trascendenza desiderata, tra intersezioni di corpi e condivisione di anime in profonda empatia con gli elementi naturali :  «Nel mare delle tempeste ci siamo sfiorati / con le dita salmastre. Nella sabbia resta / l'ombra delle mani, un petalo di rosa appassito. / Non sono il giardino del tuo cantico. / Tra le mele mature, nel mio fiore di zucca, sei germogliato come il gelsomino / quando profuma, pizzica l'aria / e si nasconde tra il pudore delle foglie. / (…) La nota di piacere si espande / fino alle colline brunite di sole. / Soffoco un singulto e mi addormento / nelle acque odorose dei tuoi ruscelli» (Soverato, p. 16). In effetti le parti che più ci hanno colpito sono quelle in cui emerge una sapienzialità derivata dal vissuto meditato spesso attraverso il Grande Codice (con particolare riferimento al Pentateuco, a Isaia, al Cantico, ai Salmi, al Qohèlet, ai Vangeli, e ad altri libri della Bibbia): «Si affoga in un bicchiere d'acqua, / si muore per uno sgambetto, si perde per un nonnulla» (Di quello che, amato, si perde per incuria, p. 20); «Il mio pennino intinto nell'inchiostro / dipinge la frattura tra il tutto e il certo» (Fiat, p. 21); «È come Pietro la mia ira / una tempesta di fughe e di viltà» (Del dolore e dell'amore, p. 23); «Torna, / stringi e strappa col tuono il mio cielo» (Torna, p. 27); «… Siamo mortali, Amore / ci visita, alza le spalle e ci dimentica» (La sottile differenza, p. 30). Tutte le precedenti citazioni appartengono alla prima sezione del libro: “Manca sempre qualche secondo al tocco”, titolo che rimanda a quella inattingibilità o incomunicabilità richiamata da Tomaso Kemeny nella bella Prefazione.
La seconda sezione, “Elegia”, è forse la più intensa e compatta. Si apre con questa intensa terzina: «Padre, io amo. / Esisti / e sei un altrove» (p. 37); e vi troviamo una sorta di vibrante dichiarazione/rivendicazione poetica ed esistenziale a un tempo: «I morti non sanno / le lacrime, i sogni / dei vivi. / I vivi dei morti / non sanno che il gelo» (p. 40); «È madre la figlia / e, figlia, è nemica, / perché amata da troppi. / (…) / Non posso, non posso / violare il ricordo, / calcare dolente / le strade di Dio. // Non posso, non posso / restare quaggiù / senza madre né padre. // Senza te, / Giuda Iscariota / o Isacco indifeso / o Abramo solerte» (pp. 42-3).
Seguono le sezioni “Un calice atteso”, in cui segnaliamo le poesie Caro babbo e Figli miei, e “Sono fuggiti anche gli dèi” con le bellissime Cementi surreali (Is 53,2) e Le cose da assaporare nella loro integrità (quindi procuratevi il libro :), sezione pure molto ben tessuta e da cui citiamo solo questi versi della prima poesia Musica nera: «Lucifero inventa / la musica / e Cristo ne muore» (p. 55). (AR)

Francesco Gaggi con Publiners finalista al Ceppo 2010!



Pistoia, 25 gennaio 2010






54° Premio Letterario Nazionale Ceppo Pistoia
Montepremi del valore di 10 000 euro

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica
e il patrocinio di
Regione Toscana, Provincia di Pistoia, Comune di Pistoia

Con il sostegno di
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A.
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia


Comunicato stampa

Metropolitano e internazionale
Il 54° Premio Ceppo sceglie i finalisti

La giuria dello storico premio ha individuato la rosa dei 10 scrittori finalisti
Tra le novità, un premio internazionale dedicato a Bigongiari


Uno sguardo sulla sfera della narrazione che abbraccia e interseca i mondi confinanti del cinema, del teatro, dei nuovi media. Hanno finalmente un nome i dieci finalisti del Premio letterario nazionale “Ceppo Pistoia”, quest'anno dedicato al racconto, scelti da una base di oltre 100 volumi pubblicati negli ultimi due anni da circa cinquanta case editrici italiane: si tratta di Franco Arminio, Roberto Barbolini, Roberto Cotroneo, Francesco Gaggi, Rossella Milone, Giulio Mozzi, Letizia Muratori, Gabriele Pedullà, Flavio Soriga e Vitaliano Trevisan.

Non è stato insomma un compito facile per la giuria di un premio da sempre libero da schemi, preconcetti e barriere (a partire da quelle che nel senso comune separano la letteratura per adulti da quella per ragazzi), che può contare per il 2010 sulla presenza delle maggiori case editrici italiane: ben tre le opere finaliste pubblicate da Einaudi, ma anche Mondadori, Bompiani, Adelphi, Laterza. Non mancano anche case editrici coraggiose come Aragno, Aliberti e Fara.

Per la prima volta il “Ceppo” si svolgerà con il patrocinio del Consiglio e della Giunta Regionale Toscana, che da quest'anno sosterrà il premio affiancandosi alla Provincia e al Comune di Pistoia. Determinante, anche per il 2010, il contributo della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A. e della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia.

Molte le novità introdotte quest'anno, a partire dall'istituzione di un premio internazionale intitolato a Piero Bigongiari, sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, che verrà assegnato a una delle più importanti personalità poetiche della letteratura contemporanea, e che si affiancherà così agli altri premi speciali già previsti dal regolamento: il premio “Cultura del verde” (sostenuto dall'azienda Piante Mati di Pistoia) e il premio speciale per l'infanzia e l'adolescenza. La cerimonia di premiazione, evento clou di un fine settimana “lungo” accompagnato dagli incontri e dai laboratori del “Tempo del Ceppo”, è fissata per il prossimo 20 marzo nella Sala maggiore del Palazzo comunale di Pistoia.

Un premio dunque «insieme internazionale e metropolitano – ha spiegato il direttore artistico Paolo Fabrizio Iacuzzi –, che da quest'anno ha trovato delle forti sinergie con altre realtà culturali dell'area Firenze-Prato-Pistoia, a partire dalla collaborazione con la rivista fiorentina di poesia comparata “Semicerchio” e l'associazione “Jorge Eielson”. Il “Ceppo” è, innanzitutto, dialogo con la cittadinanza, e la grande memoria del premio ne è assoluta garanzia».

«Un ringraziamento speciale – ha aggiunto Claudio Rosati, consigliere della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia – va al direttore artistico Iacuzzi per aver cominciato la valorizzazione della figura di Piero Bigongiari, e al fondatore del premio Vittorio Brachi, che ancora oggi ne tiene viva la fiamma mostrando così la serietà, la correttezza, l'eccellenza della provincia italiana».

«È solo con la logica dell'alleanza – ha rimarcato Maria Stella Rasetti, direttrice della biblioteca Sangiorgio di Pistoia – che possiamo sperare nel futuro; è proprio la “unitas” evocata dal motto dell'Accademia (“Ex unitate florescit”) la chiave di lettura per concepire le strategie dell'azione culturale. Anche la sistemazione e la valorizzazione del Fondo Bigongiari rientrano a pieno titolo in questo processo».

Il presidente dell'Accademia Giuliano Livi ha quindi voluto spendere una parola per «ricordare l'impegno del premio per la dignità del mondo dell'infanzia, anche attraverso l'attenzione alla letteratura per l'infanzia e ai valori etici e civili che grazie a essa passano alle nuove generazioni. Sarà nostro interesse far sì che il “Ceppo” sia una struttura viva, che guardi e interpelli innanzitutto i giovani e i giovanissimi».


I finalisti
Queste le dieci opere finaliste del 54° Premio Ceppo:

Franco Arminio, "Vento forte tra Lacedonia e Candela" (Laterza)
Roberto Barbolini, "Più bestie si vedono" (Aragno)
Roberto Cotroneo, "Adagio infinito e altri racconti sospesi" (Aliberti)
Francesco Gaggi, "Publiners" (Fara)
Rossella Milone, "La memoria dei vivi" (Einaudi)
Giulio Mozzi, "Sono l'ultimo a scendere e altre storie credibili" (Mondadori)
Letizia Muratori, "La casa madre" (Adelphi)
Gabriele Pedullà, "Lo spagnolo senza sforzo" (Einaudi)
Flavio Soriga, "L'amore a Londra e in altri luoghi" (Bompiani)
Vitaliano Trevisan, "Grotteschi e arabeschi" (Einaudi)

Dai 10 autori così individuati, la giuria sceglierà 3 finalisti con una nuova consultazione, in programma il prossimo 13 febbraio.

Giovani e/o affermati:
un profilo degli autori finalisti
La molteplicità delle voci che si ascoltano nelle 10 raccolte finaliste raccontano di un microcosmo di giovani autori (e meno giovani, comunque quasi sempre sotto i 50 anni) che raccolgono la tradizione del racconto classico e la contaminano con forme di scrittura lirica e di sperimentazione. Tra i temi ricorrenti, quello dell'incontro/scontro tra generazioni diverse, del confronto con l'infanzia e con la propria memoria, e quello del paesaggio e della natura immaginata come grande risorsa e come specchio di un'Italia da consegnare al futuro.

Franco Arminio (Bisaccia, 1960)
È nato e vive a Bisaccia, nell'Irpinia d'Oriente. In quattro libri, dall'ottantacinque al novantasette, è racchiusa parte della sua vocazione di poeta; recentemente apparsa per le edizioni D'If, la raccolta di versi “Poeta con famiglia”. Alla poesia e alla scrittura - “Diario civile” (Sellino), “Viaggio nel cratere” (Sironi), “Circo dell'ipocondria” (Le Lettere) - affianca l'attività di documentarista. Ha creato insieme a molti amici "Comunità Provvisoria", un movimento che si occupa della tutela dei paesi e dei paesaggi.

Roberto Barbolini (Modena, 1951)
Nato in provincia di Modena nel 1951, è narratore, saggista e critico teatrale. È autore dei romanzi “Il punteggio di Vienna” (1995) e “Piccola città bastardo posto” (1998), oltre che di numerose raccolte di racconti, fra cui “La strada fantasma” (1991) e “Buffalo Bill sceglie Chico” (1997). Con il volume di saggi “Stephen King contro il Gruppo 63” è stato finalista al premio Viareggio 1999.

Roberto Cotroneo (Alessandria, 1961)
Ha diretto per un decennio le pagine culturali del settimanale «L'Espresso». Dirige la Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss di Roma. Ha scritto romanzi e saggi pubblicati in molti paesi del mondo. Tra gli altri: “Il vento dell'odio” (Mondadori, 2008), “Manuale di scrittura creativa” (Castelvecchi, 2008), “Questo amore” (Mondadori, 2006), “Chiedimi chi erano i Beatles” (Mondadori, 2003), “Per un attimo immenso ho dimenticato il mio nome” (Mondadori, 2002), “L'età perfetta” (Rizzoli, 1999), “Otranto” (Mondadori, 1997), “Presto con fuoco” (Premio selezione Campiello, Mondadori 1995) e “Se una mattina d'estate un bambino” (Frassinelli, 1994, aggiornato e ristampato nel 2008).

Francesco Gaggi (Cesena, 1971)
Ha pubblicato presso Fara nel 1997 il saggio di antropologia del racconto “L'epilogo Rituale: ritualità e narrazione nel tempo della fine”. “Publiners” è la sua prima raccolta di racconti pubblicata.

Rossella Milone (Napoli, 1979)
Vive e lavora a Napoli. Ha pubblicato “Prendetevi cura delle bambine” (Avagliano 2006, menzione al Premio Calvino) e numerosi racconti su quotidiani, settimanali, riviste letterarie e antologie. Conduce laboratori di lettura e scrittura presso scuole pubbliche, e collabora con la scuola di scrittura creativa Lalineascritta di Napoli. Presso Einaudi ha pubblicato “La memoria dei vivi” (2008).

Giulio Mozzi (Camisano Vicentino, 1960)
Docente di scrittura creativa e cercatore di talenti letterari. Alla fine degli anni Novanta ha lavorato per la casa editrice Theoria. Dal 2002 al 2009 ha curato la narrativa italiana per la casa editrice Sironi, dal marzo 2008 è consulente di Einaudi Stile Libero. In rete cura il blog Vibrisse Bollettino e ha promosso la casa editrice Vibrisselibri. Vive a Padova. Insieme all'artista Bruno Lorini ha creato un artista immaginario, Carlo Dalcielo, le cui opere, esposte in mostre e pubblicate in forma di libro, sono spesso di natura collettiva.

Letizia Muratori (Roma)
Si divide tra la passione per la narrativa e la sua professione di giornalista. Collabora con quotidiani, mensili, riviste di cinema («Il Riformista», «Capital», «Primissima», «Close-up»). Ha scritto e scrive poesie rigorosamente in rima, e scrive di cinema. Il suo libro d'esordio è stato “Luce Intermedia” (Fermenti, 1999), seguito dal racconto “Saro e Sara” uscito nell'antologia femminile “Ragazze che dovresti conoscere”, 2005, il breve romanzo “Tu non c'entri” (Einaudi, 2006) e “La vita in comune” (Einaudi, 2007).

Gabriele Pedullà (Roma, 1972)
Ha pubblicato saggi di cinema e sulla letteratura rinascimentale e del Novecento, curando edizioni delle opere di Carlo Dossi (1999) e dei “Saggi critici” di De Sanctis (2001). Collabora a «FilmCritica», «Riga» e «Alias». Ha pubblicato un'antologia di “Racconti della Resistenza” (Einaudi, 2005) e curato le edizioni italiane degli scritti cinematografici di Paul Schrader e Frederic Jameson. Ultimi lavori pubblicati sono “In piena luce. I nuovi spettatori e il sistema delle arti” (Bompiani, 2008) e “Lo spagnolo senza sforzo” (Einaudi, 2009). E' redattore di «Il Caffè illustrato», insegna Letteratura italiana presso l'Università di Teramo e scrive sulle pagine di «Alias». Ha ricevuto il "Premio Nazionale Bergamo Giovani Critici".

Flavio Soriga (Uta, 1975)
Vive a Roma. Ha pubblicato “Diavoli di Nuraiò” (Il Maestrale, Premio Italo Calvino), “Neropioggia” (Garzanti, Premio Grazia Deledda giovani), “L'amore a Londra e in altri luoghi” (Bompiani) e “Sardinia Blues” (Bompiani)

Vitaliano Trevisan (Sandrigo, 1960)
Scrittore, sceneggiatore, attore, drammaturgo e regista teatrale. Raggiunge il successo nazionale nel 2002 con il romanzo “I quindicimila passi”. Nel 2003 è il protagonista, nonché attore e co-sceneggiatore, del film “Primo amore” di Matteo Garrone, girato a Vicenza, in concorso al 54mo Festival di Berlino. È attore nel film “Il riparo” di Marco Simon Puccioni (miglior film al festival di Annecy nel 2007), oltre che nel film “Dall'altra parte del mare” di Veronica Perugini. I suoi testi teatrali sono stati messi in scena da Valter Malosti e Toni Servillo; di recente pubblicazione per Einaudi i “Due monologhi”, portato in scena nel Festival delle Mura 2007 da Roberto Herlitzka.

La giuria
del Premio
L’attuale giuria del Premio è composta da 10 membri: Martino Baldi, Alberto Bertoni, Vittorio Brachi, Martha Canfield, Milo De Angelis, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Giuliano Livi, Benedetta Livi, Andrea Mati e Giusi Quarenghi.

L’Accademia Pistoiese
del Ceppo
L’Accademia Pistoiese del Ceppo, fondata nel 1954 tra gli altri da Vittorio Brachi (presidente onorario dell’Accademia del Ceppo e della Giuria del Premio), ha compiuto nel 2009 i suoi 55 anni, festeggiati con il Premio internazionale Ceppo a Mario Vargas Llosa. Ha dato vita a numerose iniziative, istituendo premi letterari e giornalistici, convegni, spettacoli, conferenze, mostre d’arte, pubblicazioni.

L’iniziativa più longeva e che ha caratterizzato l’attività dell’Accademia fino ad oggi è senza dubbio il Premio letterario nazionale Ceppo Pistoia, istituito nel 1955 su proposta di Vittorio Brachi, Silvano Gestri, Fabrizio Rafanelli e Nardino Nardini. L’attuale presidente dell’Accademia è Giuliano Livi.
Giurati illustri del premio sono stati negli anni Carlo Bo, Geno Pampaloni, Luigi Baldacci, Margherita Guidacci, Mario Luzi, Piero Bigongiari, Carlo Betocchi, Nicola Lisi, Leone Piccioni.

Gli sponsor
Il Ceppo, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, è sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, dalla Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A., dal Comune e dalla Provincia di Pistoia, dalla Regione Toscana e da numerosi sponsor rappresentativi delle forze economiche del territorio: Azienda Agricola Piante Mati di Pistoia, Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Pistoia; Centro Congressi “Villa Rospigliosi” di Lamporecchio (Pistoia); Coldiretti Pistoia; Confesercenti Pistoia; Confartigianato Pistoia; Associazione Industriali Pistoia; Lions Club Pistoia; Aci.

Info e contatti
Per maggiori informazioni sul Premio Ceppo Pistoia e gli eventi de Il tempo del Ceppo, contattare Paolo Fabrizio Iacuzzi, direttore artistico del Premio Ceppo Pistoia: iltempodelceppo@gmail.com; tel. 339.65.28.633.

Per maggiori informazioni sull’Accademia del Ceppo, si può telefonare al numero 366.37.29.858 (lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9.30 alle 11.30), oppure scrivere a info@accademiadelceppo.it .


lunedì 25 gennaio 2010

Su Sequenza di dolore di Rosa Elisa Giangoia

recensione di Nicoletta Verzicco

Vita e amore


Ho respirato tutto d’un fiato questa Sequenza di dolore di Rosa Elisa Giangoia percependo in ogni pagina vita e amore.
Nonostante io non abbia combattuto con le lacrime che velavano le parole scritte, queste ultime erano limpide e sono entrate in me trovando spazio in fondo al mio cuore per restare.
In un sommesso scambio di sguardi, di pensieri unilaterali, di parole dette e parole che possono sembrare essere state offerte troppo tardi, si legge di due esseri umani legati per la vita, uniti nell’amore oltre la vita: «E intanto t’amavo anche per i giorni / in cui non ci saresti più stato.»
La sofferenza transitoria di lui che, costretto, ha «abbandonato il bozzolo» si trasforma in afflizione incessante per lei che rimane «… sono perseguitata / dai giorni che verranno… mentre una moltitudine / di pensieri variabili / si precipita nella mia notte / che volevo rimanesse con la tua».
Si è avvolti delicatamente dai colori che appaiono all’improvviso tingendo il nero «… arderci di sale sul mare / bruciarci le ali verso il sole… persi nell’azzurro e nella brezza / incontro all’antico…” che nero poi ritorna per assorbire tutti i raggi del medesimo sole «Ma la Gorgone / da albe ormai remote… scrutava le nostre vite / e… ci avvolgeva / nelle sue trecce di serpente».
C’è commistione fra morte e vita, gioia e dolore e da essi si è avvinti; è impossibile non immedesimarsi e non provare le emozioni della poetessa; è incredibile non vedere ciò che di lui rimane attorno a lei e, leggendo, diventa colmo nei miei occhi quel vuoto «… sul divano dello studio… sullo sfondo azzurro / del mare e del cielo / oltre la finestra…» perché non esiste spazio completamente privo di materia se attraverso esso qualcosa di prezioso è passato. I versi sgorgano come acqua pura da falde sotterranee attraversando «quel muro di pietre a secco» e tengono unito ciò che la caducità umana vorrebbe dividere, così vita e amore ci sono donati non rendendo vana la sequenza del dolore.

Giuntini a PIANETA POESIA 2010


A cura di Franco Manescalchi
Direzione artistica: Giuseppe Baldassarre, Giuseppe Panella (responsabile culturale)

PALAZZO VIVARELLI COLONNA
Sala degli Specchi -Via Ghibellina 30, Firenze
giovedì 28 gennaio ore 16.30

Presentazione del libro di poesie di

FRANCESCO GIUNTINI
I colori dell’ombra
EDIZIONE POLISTAMPA

Una lettura di ANDREA GIUNTINI in dialogo con GIOVANNA FOZZER

Introduce MARIAGRAZIA CARRAROLI



Il libro raccoglie settanta sonetti di Francesco Giuntini. In questi lavori, che il poeta ha deciso di tradurre personalmente in inglese, egli dà voce a tutti gli aspetti scottanti e toccanti del reale: da Gaza a Guantanamo, dal testamento biologico agli OGM, da Al Qaeda all’uranio impoverito. Ogni cosa, cui è ceduta la parola, diventa protagonista, parlando del proprio mondo interiore, di solito inascoltato, come accade per la materia inanimata e silente. I neutrini, gli organismi geneticamente modificati, i microchips, i malati terminali in stato vegetativo, You Tube, ogni elemento del micro o del macro cosmo, ogni fenomeno sociale o astratto trova qui un luogo d’accoglienza. Il libro, organizzato in sei sezioni (Carnevale a Venezia, Groenlandia, Dal Palazzo di Vetro, Sul delta del Niger, Il cambio dello Yen, Terra del fuoco), è stato pensato come una sequenza di immagini provenienti da tutto il mondo, quasi come un telegiornale muto in cui sono le cose stesse a raccontare, senza l’intrusione o il giudizio di una voce esterna. Rinunciando a sé, il poeta diventa onnipresente, ma invisibile. La sua parola lenisce, nella compartecipazione al medesimo destino di colpa e di espiazione, le ferite prodotte dall’arroganza e dal cieco punto di vista di chi è portato a infrangere continuamente il senso del limite, anche quello che separa la vita dalla morte.


I colori dell’ombra / The colours of the shadow

Mogadiscio
La memoria dei piccoli ha un confine
incerto, non sappiamo se ricordano
i luoghi, e fino a quando, e se qualcosa
del cuore hanno lasciato vivo, altrove.
La memoria dei piccoli trattiene
di certo qualche immagine, tuo padre
ora è lontano e certo ti ricorda
e sa che tu non l’hai dimenticato.
La tenda e il campo, tutto è provvisorio,
la vicenda di molti si è fermata
in questo spazio aperto, in questa terra
presa da tanti, amata da nessuno.
Ricordi la città? Piazza e mercato,
poco più avanti c’era la mia casa.
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Mogadishu
Children’s memory has a borderline
unsettled, we don’t know whether they can
recall the places, and for how long,
or if there’s something they left dear to their heart
elsewhere alive. Children’s memory retains
for certain some images, now your father
is far away, he sure remembers you
and he knows that you didn’t forget him.
This camp and our tent, all is provisional,
and the story of a crowd made a stop here
inside this open space, this foreign land
taken by many people, loved by none.
Do you remember your town? The square, the market,
a little further on there was my home.

Here is a collection of seventy sonnets by Francesco Giuntini. This work, purposefully translated into English by the poet himself, gives a voice to all the burning and touching aspects of reality: from Gaza to Guantanamo, from biological testimonies to the OGM, from Al Qaeda to poor-qualty uranium. Every thing which yields to the word becomes a protagonist, describing its own internal world, often ignored as happens with silent, inanimate objects. Neutrons, genetically modified organisms, microchips, the terminally ill who have fallen into a vegetative state, You Tube, every element of the micro- and macrocosm, every social or abstract phenomenon - all these things find their own place here. The book, organized in six sections (Carnival in Venice, Greenland, From the Glass House, On the Niger Delta, The Yen Exchange, and Tierra del Fuego), was conceived as a sequence of images from all over the world, almost like a televised news show on mute in which the images themselves tell the story without the intrusion or judgement of an external voice. Renouncing himself, the poet becomes omnipresent and invisible. His words, with an intermingling of both blame and atonement, soothe the wounds created by the arrogance and blind attitudes of those who continually come to surpass the wisdom of limits - even those that separate life from death.

Testi in italiano e inglese / Italian and English text

Francesco Giuntini (Firenze 1952) è autore finissimo e segreto di alcune raccolte: dopo Istanbul  (1990) e Del paggio e della pietra (1991) è diventato autore privilegiato e ammirato delle Edizioni Polistampa, in cui sono in precedenza usciti La fabbrica del tempo (2001) e Il senso della misura (2006). La presente raccolta mostra se possibile ancora perfezionata la forma dell'endecasillabo, musicalissima e intensa, entro componimenti che si possono chiamare sonetti (ma escludono la presenza della rima classica). In questo suo recentissimo volume il poeta ha tradotto a fronte, in inglese, i testi, giungendo ad una doppia vicenda espressiva in cui è interessante e illuminante anche la reciprocità, e la diversità degli strumenti e dei risultati.
Il poeta vi ha intrecciato la propria vicenda interiore con gli spunti trascelti questa volta dal presente politico, storico, scientifico, stante anche la sua formazione in primo luogo scientifica. Alcuni titoli, che possono dare solo una minima indicazione sullo sguardo di purezza dolorosa, e forza di conoscenza, che il poeta posa sulle cose: Dietro Google, La striscia di Gaza 2005, Testamento biologico, Neutrini, Grameen Bank, Kabul, Impatto zero, I bambini del mondo.


Andrea Giuntini è attore e lettore di nobilissima sensibilità ed efficacia, già noto anche nell'ambito di Pianeta Poesia.

INVITO/UN INCONTRO A CUI NON MANCARE


NOVECENTO POESIA
C/o Franco Manescalchi
Via Edimburgo, 10 50126 Firenze
Casella postale 122 firenze centro intestata a NOVECENTO POESIA
Tel. e fax: 055687594   / cell.335.6726621
E-mail: novecentopoesia@interfree.it
www.novecentopoesia.it

C'era una volta nella poesia on line 24 apr


domenica 24 gennaio 2010

Su Objects di Alberto Mori

di Oronzo Liuzzi

L'attuale sistema sociale inibisce la nostra mente e la spacca e la consuma e la stritola, mentre la nostra coscienza cade in un sonno profondo. È in decomposizione. Alberto Mori. Objects. Cambia lo statuto del soggetto. Modifica la simbologia della scrittura. Imprevedibile passeggia per rintracciare particolari oggetti della quotidianeità. «La panca di legno della pensilina»... leggo «Il morfema plasma ogni affioro visivo»... e leggo «La multa imprevista»... leggo «Piccolo condizionatore Esprit in funzione»... leggo «Strette nel pack dei succhi pompelmo»... e leggo ancora «Riccioli di Yogurt», «Stella e brodo», «Al bianco ciotola tace».
Il linguaggio diventa allo stesso modo rumore e silenzio. Riflessione. Sfasatura. Dinamicità. Le accumulazioni di immagini ci conducono a scoprire nuove frontiere della parola. Alberto Mori. Objects. Dentro e fuori l'oggetto. Dentro e fuori il dialogo. Con l'esterno. Con l'interno. Riannoda i fili della scrittura per riproporci un mondo fatto anche di piccoli gesti animati e inanimati. La forza del pensiero o del pensare si dispone verso aperture di idee originali o nuove idee pronte per essere catapultate al di fuori del proprio io. Alberto Mori. Objects si fanno ascoltare.

Su Vociverse di Andrea Lanfranchi


Ibiskos, 2009, Primo Premio Silloge inedita al 6° Concorso Internazionale autorei per l'Europa.

Quest'opera si apre con un esergo di Eugenio De Signoribus che si conclude con questo verso: «l'affannata mente non ha tana…» e credo che Lanfranchi voglia da subito offrirci una chiave di lettura dei suoi versi. La prima parte della raccolta dà il nome al libro e si apre con la sezione “Ariette e vociverse” dedicata al padre Arnaldo: «Torna, quando puoi, tra queste stanze / Se ti sarà concesso: trova spazio dentro la notte / Tra le mie carte in-sorte / Trova il tuo varco – fammi contento…» (p. 15). Come si vede la versificazione ha un tono prosastico, ed è frequento l'uso di evidenziare con il trattino i morfemi delle parole per indicare percorsi di senso. La poetica ha un tono meditativo/riflessivo, linkato alle odierno modalità comunicative (o meglio “isolative», se ci si concede il neologismo) : «Nel flutuante vizio del pensare dicono si svolga / Il fatto umano (…)» (p. 25, nella seconda sezione “transizioni”); «Lui sta solo, chiuso nel uo iPod bianco – sembra attento / A un volo alto che non vedo, lì sulla panchina di cemento / Come quel tizio nel quadro di Friedrich – Alto / Sullo scoglio: perso nel vento» (p. 30, nella terza sezione “di-stanze”), «La notte – un luogo / di cicale inferocite: / l'unico coito / della mia generazione» (p. 34 ivi).
La seconda parte si intitola “la Strada – l'Attesa” e si apre con due versi di Clemente Rebora: «L'egual vita diversa urge intorno; / Cerco e non trovo e m'avvio…» che pure di fornisce nuovi indizi sulla poetica di Lanfranchi: «l'ombra avanza, / (…) / su ciò che pure siamo: / povera-mente» (p. 44); «siamo / (…) / dove lo stupore / soffoca l'angoscia / inestinguibile del Nulla… / dove il Nulla si estingue» (p. 45); «chiedendo di noi / dimentichiamo quasi tutto / eppure quasi tutto chiede di noi…» (p. 49); «Abbracciati al nostro scandalo / si sospetta di appartenere / ad Altro» (p. 53).
L'ultima parte “dalle città profonde” si apre con una citazione di North di Seamus Heaney e si conlcude con una bellissa lettera al padre di cui ripropongo l'incipit: «Trova il tuo spazio-dico / Trova il tuo elemento di fuoco, / E aleggia in queste stanze / Come l'assenza del tuo nome / Tra le porte dischiuse» (p. 67).
È questa una raccolta che per il tipo di scrittura e di tematiche esistenziali proposte ci ricorda quella di Benny Assael. Entrambe si offrono con onestà al lettore, chiedendogli di condividere un cammino certo non semplice, eppure costellato di bellezza e capace di stupirci, sempre.

sabato 23 gennaio 2010

Su Immagini di Benny Assael

inproprio, Comex srl, via del Caravaggio 15, Milano, 2008

Questa raccolta di Baroukh (Benny) Maurice Assael è caratterizzata da uno stile discorsivo e raffinato, a tratti chirurgico: le immagini sono nitide, le domande argute e salaci e i tratti lirici sono giocati sul filo dell'ironia. Il libro può essere considerato una sorta di diario poetico ed è diviso in due sezioni principali: “A Nyranne” e “Immagini”. La prima si apre con questi versi: che sono anche una dichiarazione di poetica: «Chissà quanti ebrei dormono nel mio sangue / vittime-sintesi di tutte le vittime del mondo / Vissero con la rapidità delle tenebre improvvise / che si buttano a corpo morto sulle montagne, / e interrogarono la terra con l'aratro di una scrittura / enigmatica / (…) / Risuonano ancora i canti diasporici, / (…) / acquattati ragazzo, premi il grilletto, / rompi il silenzio afasico con l'invasione della memoria» (p, 7). Come si può notare il poeta interroga le sue origini ma coinvolge empaticamente il lettore offrendogli immagini penetranti. Ovviamente gli echi biblici sono molteplici: «… delle cose che oggi ti do farai segni / per ricordarmi e nominarmi / quando ti alzerai e quando ti coricherai» (p. 8); «alzarono canti di lutti / sentirono dolore / come la donna che partorisce / abitarono le tende della dispersione» (p. 10); «… se dimentico, che la lingua secca / si attacchi al palato» (p. 11) ecc. Evidenti nel Nostro l'interesse per il mondo femminile, per i sensi, per il “senso” della Storia, per il viaggio (della vita), per la musica… «Se si potesse introdurre nella scrittura / una musica / o un odore / sarebbe più facile / (…) / come descrivere / il sapore di un frutto, / come descrivere un colore mai visto, / il suono di un oboe / (…) / come dire di un pube peloso / invaso di sperma, che sa di lisca di pesce» (Risuonavi come una cantata, p. 16); «A volte sì
hai ragione tu gli amori vanno dismessi, / come abiti lisi. / (…) / Ti illudevi. L'amore liso / se continua a contenere il tuo orizzonte, / ti sazia ancora quando non ti nutre più» (L'amore dismesso, p. 21).
Dalla sezione “Immagini” riportiamo questi intensi, splendidi lacerti di “visioni” (che sono una efficace, emozionante espressione della stessa Weltanschauung di Assael): «Dal tuo viso spuntava un naso fiero / e la fila bianca dei denti / come volessero mordere il vento» (Impromptu au Louxembourg, p, 35); «Ma può un'immagine trattenere / qualcosa di più della memoria?» ( Davanti a una fotografia, p. 39); «Perché certe terre / avvicinandosi il tempo della loro fine / risucchiano la linfa degli arbusti / si corrugano / s'increpano / si lacerano / e si fendono in profonde fenditure / poi lanciano al cielo / sardonici sorrisi / fissi e crudeli?» (Vecchio al giardino, p. 47).
C'è un ultima sezione “Visioni” che contiene solo una poesia che fa il punto sul cammino esistenziale del poeta e non a caso si intitola Biografia. Ne cito due versi: «Non voleva correggere la realtà / Ma mostrarne la contraddizione» (p. 63).

Un'opera, questa di Assael, davvero godibile, intelligente, arguta, ricca di suggestioni, forse limabile in alcune parti liriche un po' diaristiche, ma coinvolgente e vera per quel sotteso tragico umorismo che sa mettere a nudo le cose, i sentimenti, i fatti e le persone (a cominciare dall'autore stesso), il qui e l'oltre… (AR)

Su Objects di Alberto Mori

di Alessandro Assiri scheda  del libro qui: Objects

Sugli spaesamenti della quotidianità, nel tentativo di dissoluzione dell’ovvio, procede la ricerca di Alberto Mori che dissimulando negli oggetti la propria versatilità da vita a un opera quasi sonora, dove una vitalità rumorosa si pone come controaltare di un osservazione metodica e attenta al “gesto delle cose”. Mori ci rende partecipi dell’accadere delle proprie connessioni anch’esse utensili, strumenti del servire. Un servire che confeziona una realtà dove l’uso diventa necessità e scopo dell’oggetto stesso. Alberto stabilisce una relazione per l’agire, una consequenzialità che delimita tempi e logoramenti, una relazione che colloca nella funzione l’indispensabilità degli oggetti che tramite il loro nome sembrano svelarsi all’utilizzo. “il cavatoppe deriva direttamente dai calzoni bucati”: Objects è tutto qui nell’agilità dell’impiego.

giovedì 21 gennaio 2010

Su “Parlino di noi le cose scomparse…” di Stelvio di Spigno

di Vincenzo D'Alessio

Riprendo dal sito di FaraPoesia il tanatologico ottavino di Stelvio Di Spigno per seguire le note alte e forti che si sciolgono nel fiume della Poesia. Una poetica amica della classicità, del verso endecasillabo che richiama maestri dei secoli scorsi: “Ma la festa ora sperde nei canali / i flussi d’allegria del giorno andato” (Congedo vitale), sembra di ascoltare i versi di Leopardi del Sabato del Villaggio, come pure più avanti quando nella poesia Scirocco scrive: “Così la vedevo da bambino, / la campagna di sempre, / rosa come le bambole di mia madre/” – qui vengono alla mente i versi delle Rimembranze. Ma si possono leggere molti altri accenti armonici di Autori del Novecento, come la dedica a Giovanni Raboni nella poesia Ombra. Tutti i versi sono scritti, ché la chiave scelta è “l’ottavino”, sopra il rigo del pentagramma dei sensi; difficili da seguire perché è un discendere continuo “nelle segrete di un cuore moribondo”.
La polvere e il tempo, due elementi onnipresenti nelle poesie prese in considerazione nella raccolta. Due alleati che, aiutati dal modo congiuntivo dei verbi usati, rasenta la familiarità delle vicende portando il lettore in un vortice e ad essere travolto, spostato, dal vento che si leva nella lettura dei versi: “Dolcezza mia di essere interrotto / nei pensieri ossessivi della polvere bianca / (…) È come se il Sahara mi aspettasse sotto casa” (Scirocco). L’analogia è forte, l’inquietudine rasenta quella pazzia dal “battito alterno”.
Cosa cerca il poeta, cosa comunicano i suoi versi? Una risposta immediata non c’è. Sono le cose che parlano dell’uomo. Ma di quale uomo? Di un uomo che vede in una visione onnipresente le parti e il nulla; lo svela e lo disegna; si nutre e se ne duole. Metafisica delle parole che svelano la strada del tempo: “Come di polvere pensosa o di altri / sommovimenti sembra parlare il tempo” (La polvere). Ma il tempo a chi parla? Di chi parla? Di indefinite circostante: “Ma i tuoi occhi cosa vedono senza vedere / e i miei anni come sono / come sono passati senza passare…” (Con questo verso). L’indefinito è la ragione di essere in questi versi del poeta.
Scrive bene del Nostro l’editore Alessandro Ramberti: “c’è un moderno tono elegiaco in questi versi di Stelvio Di Spigno in cui spesso il ritmo dell’endecasillabo sostiene le parti più liriche di una poetica comunque sempre attenta all’intelligenza delle cose”. Le poesie fin qui prodotte vivono di luce propria, indagano il vivere/vissuto contemporaneo che ironicamente spinge in avanti le richieste dei tempi futuri: “Non la vita di tutti che mi chiama / per l’idea di uno squallido lavoro” (Scirocco); “Mentre non valgono più fede o aiuto / tra le fiere saettanti della sera”(Deserto); “Ma se tutto restasse solo un sogno / (un sogno di capanna e di montagna), / di un essere malato in una città infernale” (In montagna). Il poeta è lo scalatore che per primo raggiunge il passo sopra il freddo deserto del ghiacciaio: avverte dei pericoli percorsi, delle asperità e della mèta. L’autore di questa ottava poetica ha conosciuto anche L’Irpinia e la canta nella poesia Il gatto rosso. La svela nei contorni più veri, quelli che solo un poeta sa avvertire: “Così è la memoria, / più visione che ricordo; /(…) / un sonno chissà quanto lontano, forse”.
Ho camminato con Di Spigno in questa raccolta raccogliendo la ricchezza grande: “di un mondo senza nome o con più volti / che non mi ha mai chiamato veramente.” (In montagna)

Gennaio, 2010

Quando le parole provengono dal cuore: su Senza saperlo nemmeno di Enrica Musio

recensione di Nicoletta Verzicco
scheda del libro qui

Tre bambine che saltano alla corda
arancio limone mandarino
e il cielo ai vetri rotti d’un finestrino
arancio limone mandarino. (Vittorio Bodini)

Ho nelle mani questo piccolo libro con la copertina color fucsia e di esso sfoglio le pagine con delicatezza, quasi che un mio gesto distratto possa rompere il contenuto.
Lo tengo con cura fra le dita, mentre assorbo le parole, per paura che esse cadano e si infrangano in mille pezzi come se fossero di cristallo. Enrica scrive con il cuore e quei segni, neri sulla carta, appaiono, invece, di mille colori; la lettura delle sue poesie diventa un viaggio fantastico all’interno di un caleidoscopio.
La spontaneità della composizione poetica di Enrica è la sua forza e questa è il dono per il lettore.
‘Fedele a questo mio tavolo / scrivo… una solitaria penna /assidua e ferma… usata dalle mie mani fragili…’ la poetessa non abbandona il suo tavolo, i suoi fogli, la sua penna, essi sono là e l’attendono perché proprio quegli oggetti la chiamano fortemente nel momento dell’ispirazione, nell’attimo stesso in cui il suo cuore necessita di protezione, la esige ‘… senza saperlo nemmeno’.
Chiudere a chiave per qualche attimo il raziocinio in un cassetto è la vis del poetare; lasciarsi trascinare dal fiume in piena delle emozioni ingrossato dai ricordi, da una visione, da un turbamento, da un sentimento è viaggiare nel mondo magico dei versi accompagnando per mano il lettore, perché ‘strano il poeta / sopravvive / sfilando il telaio/delle sue parole…’

mercoledì 20 gennaio 2010

Su Objects di Alberto Mori

recensione di  Maria Grazia Martina


Leggo i versi  di Objects del poeta Alberto Mori  e penso immediatamente ad opere che hanno trovato nell’oggetto la poetica dell’ALTER, ovvero una sostituzione nel tempo della dialettica uomo/natura-uomo/storia, divenuta, nel presente, una relazione imprescindibile uomo/oggetto.
Nel 900,  sia nelle arti figurative (astrattismo - informale) sia nella letteratura che nella poesia,  si è assistito al progressivo affioro dell’io, dell’individuo rispetto al mondo. Nella seconda metà dello stesso secolo i nuovi miti (R. Barthes), l’industria culturale (E. Morin) connessa ad essi contribuirono a creare un “paesaggio oggettivato” affollato e invasivo dell’essere, ineluttabilmente naufrago nel mare dell’oggettività (I. Calvino).
È sullo scadere degli Anni ’70 che l’oggetto estetico contemporaneo (P. Rasulo) è passato da segnalatore di crisi dell’aura dell’opera d’arte, persa nella sua riproducibilità (W. Benjamin), a fattore relazionale, anche quando appare irrelato.

Ora, oggettivare l’esistenza, corrispettivo della consumazione capillare del bello attraverso un’estetica che non correla l’oggettivo, ma si fa essa stessa soggetto astratto di un oggetto che evoca poesia: è ciò che avviene nei versi di Alberto Mori.

Il questa raccolta, dall’emblematico titolo Objects,  il poeta, veterano nella ricerca e sperimentazione verbo-visuale, attento al linguaggio della società del postconsumo, al mondo distribuito, dispensato, confezionato, digitato, espulso dal cassetto self, indaga la presenza dell’oggetto, centripeto e centrifugo dell’esperienza, documentato nella pagina in spazi, pause, segnalato dal carattere tipografico, “disperso” nel significante.

Nei suoi versi vi è una riflessione che va oltre la parafrasi, per essere intuizione subitanea giustapposta ed estrapolata, un frame.
Percettivamente interiorizzata, ma detta in modo da preservarne la natura mistica e mitologica dell’immagine evocata.

Il poeta sceglie la descrittività, ma è una semplificazione apparente, poiché  la trascende immediatamente proprio a partire dall’oggetto da Egli scelto, intorno al quale si sviluppa l’ “effetto” della parola poetica: l’oggetto scompare nell’effervescenza degli stimoli che al lettore arrivano dalla parola attenta, sinergica, sincopata del dire.

Avviene così un’azione di recupero di un io che si relaziona e interagisce col fare.

Il verso risulta visivamente un tratteggio “evocale” (parola nella quale ho voluto sintetizzare evoca e vocale) che unisce simultaneamente la parola scritta al pensiero che ne nasce e, di conseguenza, porta con sé la necessità della poesia, al fonema.
Tratti estratti ritratti gli Objects si caricano di un plusvalore che riempie la loro natura di vuoto a perdere.

Se la poetica dell’oggetto viene da lontano (dal Dada a J. Baudrillard), quello che è pregnante nella poesia di Alberto Mori è il tempo dato dalla parola, ossia l’oggetto fuori dalla catena, fuori dall’abuso, diviene tempo, parola poetica. Come tale resta esperienza poetica, concreta e paradossalmente astratta. Come direbbe Magritte: questi non sono oggetti!

 gennaio 2010



martedì 19 gennaio 2010

Parlino di noi le cose scomparse... (8 poesie di Stelvio Di Spigno)

«abbandonami, mia ombra di frontiera, / come in un giorno senza sole, lasciami»; «e immergermi nella nebbia dei pensieri, / più nebbia che pensieri, finalmente, / senza pensare al passato che sovrasta»; «Così è la memoria, / più visione che ricordo»; «Come tutto crolla in braccio al minuto»… c'è un moderno tono elegiaco in questi versi di Stelvio Di Spigno in cui spesso il ritmo dell'endecasillabo sostiene le parti più liriche di una poetica comunque sempre attenta all'intelligenza delle cose, alla preziosa precarietà dei gesti, al valore assoluto di rapporti autentici così desiderati e certo non facili da realizzare (se non morendo, evangelicamente, a sé stessi): «abbandonami tu stessa alla morte / che ci bacia oltre ogni prospettiva, / mentre penso alla ricchezza più grande/ di un mondo senza nome o con più volti /
che non mi ha mai chiamato veramente». Questo spleen mi sembra infatti non privo di speranza, sia pure nascosta nelle implicite domande che queste poesie ci propongono con stile. (AR)


Si veda la nota critica di Vincenzo D'Alessio


Congedo vitale

Aspettavo che il sole mi ghermisse
coi suoi raggi nell’umano splendore,
e che il dono del cuore disfacesse
le catene che legano al tormento
di non sapere amare.
Tra le creature al mondo,
una legge d’amore,
che sciogliesse come l’arnia il suo miele,
la roccia d’uomo che credette eterno
e santo ogni suo gesto.

E discendere un giorno alle segrete
del cuore moribondo,
e trovarvi la mano che innamora,
la silice che ridiventa sangue,
la mite virtù d’ore custodite
nell’ebbrezza dei fiati,
nelle mani che scambiano il morire
reciproco, con l’identica gioia.

Ma la festa ora sperde nei canali
i flussi d’allegria del giorno andato:
è svanito l’amore e me con esso.
Ed ora luminarie, cavi, scorie,
ricoprono il sentiero che portava
all’erta navicella del tuo cuore,
che sempre traghettando
verso me ogni tuo cenno,
ritrovava me stesso ad ogni approdo.



Ombra

Ombra ferita...
G. Raboni.

Radente mia ombra, che mi sollevi
al pianto e al disgelo, alla pietà
dei giochi e al profumo dei piaceri
indefiniti, alla fantasia e alla menzogna;
abbandonami, mia ombra di frontiera,
come in un giorno senza sole, lasciami
visitare dal tuo prestante colore
muto della morte.



La polvere
a B. R.

Come di polvere pensosa o di altri
commovimenti sembra parlare il tempo
posato dalla pigrizia delle stasi e dai voli
delle tue ginocchia – anche tu (bastava badarci)
portasti la tua parte di sollievo
a tormenti inespressi e prezzolati
e con essi se ne andò una parte della mia morte
insieme a questa polvere di primavera.

Parlino di noi le cose scomparse...




Deserto

Come il tempo è una lama –
Come tutto crolla in braccio al minuto –

che ora vai cercando perché piace
o perché sei perduto -
e l’auto in folle corsa è un boccaporto
troppo angusto da farti attraversare...

Mentre non valgono più fede o aiuto
tra le fiere saettanti della sera,
e s’invola alla scorta dei demoni
anche l’ultimo braccio di trincea –

Ora il tempo si sparge nei lignaggi
si schianta nella duna –

Bella lingua di spiaggia –
Bella duna –


Con questo verso

Cammino lontanamente affezionato
alla tua immagine che non entra più in me:
i capelli di un nero altisonante
con pochi filamenti di grigio
come una cornice braccata da una crepa
per i tuoi trentasette anni –

Ma i tuoi occhi cosa vedono senza vedere
e i miei anni come sono
come sono passati senza passare...

Sapessi quanto enorme è stato il darti amore,
e che perturbamento è stato amarti,
farti uscire, entrare, uscire,
poi rientrare e poi di nuovo
allontanare gli occhi dal tuo sguardo a vuoto,
io che in una vicinanza avrei voluto
essere il tuo stesso corpo
essere in te, per te, con te,
qualcosa che il tempo non disperde, non umilia.

Non capirò mai la tua essenza
cosa sei veramente non lo saprò mai.
Quello che so è che cammini nei miei passi
e nel mio respiro tu continui a respirare
e dentro me c’è una stanza semiaperta
dove continui a vivere e a morire,
a vedere come trascino il poco che mi resta,
a ridere forte di me e di te stessa,
a orchestrare i tuoi sorrisi compassati
secondo il battito alterno della tua pazzia
e poi, quando torni calma,
è lì che torni a sperare.


Scirocco

Dolcezza mia di essere interrotto
nei pensieri ossessivi dalla polvere bianca
che si posa dappertutto quando a mare è scirocco.
È come se il Sahara mi aspettasse sotto casa,
e le navi che invertono la rotta
non sanno che solo una coppia
appoggiata sul muro di cinta
può lasciare una pausa in quel velame.
Niente lotte intestine nell’amore.
Oltre il muro mai cambiato il belvedere,
e mi accorgo che la campagna è rosa.

Così la vedevo da bambino,
la campagna di sempre,
rosa come le bambole di mia madre,
e rosa ancora la vedo
ma nessuno oggi mi può più contraddire.
Non la vita di tutti che mi chiama
per l’idea di uno squallido lavoro,
non un corpo di donna o novas coisas.
Su quel rosa mi sono ricentrato.
E nessuno mi deve contraddire.
La mente sceglie la sua immagine vitale
dove sente che il tempo passa meno.



In montagna

Un giorno uscendo
da un pub di montagna,
dopo amici punch e crauti,
vorrei sentire la vita alle spalle,
l’amore di una donna che mi ascolti,
e immergermi nella nebbia dei pensieri,
più nebbia che pensieri, finalmente,
senza pensare al passato che sovrasta
e fa male a questo corpo ormai morto;
poi nella nostra casa nelle malghe,
non riscaldata da figli o nipoti,
sentire le presenze fantasiose
come fosse sempre Natale,
amarci di un amore solo nostro
ma pieno di segreti rumorosi.

Se questo fosse la mia vita futura,
deciderei finalmente
se accettare o mandare al mittente
i giorni che verranno e ci colpiscono,
tutto il sudore, la voglia matta di oggi,
e la vorrei subito
questa vita da respirare sangue
dal fondo del Tirolo.

Ma se tutto restasse solo un sogno
(un sogno di capanna e di montagna),
di un essere malato in una città infernale,
allora non farmi aspettare
abbandonami tu stessa alla morte
che ci bacia oltre ogni prospettiva,
mentre penso alla ricchezza più grande
di un mondo senza nome o con più volti
che non mi ha mai chiamato veramente.





Il gatto rosso
Ospedaletto d’Alpinolo, estate 1991

Ho una foto dove il nostro vecchio gatto è chiarissimo,
forse per effetto della notte e del flash,
e i mogani della porta d’ingresso mi riportano
alla mente i boschi dell’Irpinia, dove siamo stati
insieme al soriano dei nostri desideri.

Così è la memoria,
più visione che ricordo;
le palpebre si chiudono e le sfiora
un sonno chissà quanto lontano, forse
venuto a noi da un altro mondo a chiarirci un senso
pieno d’immagini, di me, di noi, quando eravamo
ancora uniti.




Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2ed. accresciuta Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco (Manni, Lecce 2007) e la monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Vive a Gaeta. Collabora a Faronotizie.