mercoledì 20 gennaio 2010

Su Objects di Alberto Mori

recensione di  Maria Grazia Martina


Leggo i versi  di Objects del poeta Alberto Mori  e penso immediatamente ad opere che hanno trovato nell’oggetto la poetica dell’ALTER, ovvero una sostituzione nel tempo della dialettica uomo/natura-uomo/storia, divenuta, nel presente, una relazione imprescindibile uomo/oggetto.
Nel 900,  sia nelle arti figurative (astrattismo - informale) sia nella letteratura che nella poesia,  si è assistito al progressivo affioro dell’io, dell’individuo rispetto al mondo. Nella seconda metà dello stesso secolo i nuovi miti (R. Barthes), l’industria culturale (E. Morin) connessa ad essi contribuirono a creare un “paesaggio oggettivato” affollato e invasivo dell’essere, ineluttabilmente naufrago nel mare dell’oggettività (I. Calvino).
È sullo scadere degli Anni ’70 che l’oggetto estetico contemporaneo (P. Rasulo) è passato da segnalatore di crisi dell’aura dell’opera d’arte, persa nella sua riproducibilità (W. Benjamin), a fattore relazionale, anche quando appare irrelato.

Ora, oggettivare l’esistenza, corrispettivo della consumazione capillare del bello attraverso un’estetica che non correla l’oggettivo, ma si fa essa stessa soggetto astratto di un oggetto che evoca poesia: è ciò che avviene nei versi di Alberto Mori.

Il questa raccolta, dall’emblematico titolo Objects,  il poeta, veterano nella ricerca e sperimentazione verbo-visuale, attento al linguaggio della società del postconsumo, al mondo distribuito, dispensato, confezionato, digitato, espulso dal cassetto self, indaga la presenza dell’oggetto, centripeto e centrifugo dell’esperienza, documentato nella pagina in spazi, pause, segnalato dal carattere tipografico, “disperso” nel significante.

Nei suoi versi vi è una riflessione che va oltre la parafrasi, per essere intuizione subitanea giustapposta ed estrapolata, un frame.
Percettivamente interiorizzata, ma detta in modo da preservarne la natura mistica e mitologica dell’immagine evocata.

Il poeta sceglie la descrittività, ma è una semplificazione apparente, poiché  la trascende immediatamente proprio a partire dall’oggetto da Egli scelto, intorno al quale si sviluppa l’ “effetto” della parola poetica: l’oggetto scompare nell’effervescenza degli stimoli che al lettore arrivano dalla parola attenta, sinergica, sincopata del dire.

Avviene così un’azione di recupero di un io che si relaziona e interagisce col fare.

Il verso risulta visivamente un tratteggio “evocale” (parola nella quale ho voluto sintetizzare evoca e vocale) che unisce simultaneamente la parola scritta al pensiero che ne nasce e, di conseguenza, porta con sé la necessità della poesia, al fonema.
Tratti estratti ritratti gli Objects si caricano di un plusvalore che riempie la loro natura di vuoto a perdere.

Se la poetica dell’oggetto viene da lontano (dal Dada a J. Baudrillard), quello che è pregnante nella poesia di Alberto Mori è il tempo dato dalla parola, ossia l’oggetto fuori dalla catena, fuori dall’abuso, diviene tempo, parola poetica. Come tale resta esperienza poetica, concreta e paradossalmente astratta. Come direbbe Magritte: questi non sono oggetti!

 gennaio 2010



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