giovedì 24 dicembre 2009

Abitati dentro da un paese e da una valigia. Le storie minime di Maria Pina Ciancio

La casa dei doganieri
Rivista di libri, lettere, arti – Anno II numeri  2-3, Firenze maggio dicembre 2009
Direttore responsabile: Vincenzo Crescente, lacasadeidoganieri@alice.it



La sensibilità di Anna Ventura interpretò il tema del distacco in questi termini: “Non chi parte ma chi resta parte davvero”. Maria Pina Ciancio, al contrario di quelli che sono partiti, è nata in Svizzera ma è poi tornata nella terra d’origine, la Basilicata, dove oggi vive. Basilicata o Lucania? Già nella scelta del nome della regione, si coglie il tema di fondo del suo ultimo e intenso bel libro di poesie, dal titolo Storie minime (Fara editore, info@faraeditore.it), con il quale conferma il suo notevole talento letterario e la sua scrittura, libera dal versificare barocco e autoreferenziale. Ne avremo prova anche nell’antologia  Il segreto delle fragole (Lieto Colle, a cura di Luca Baldoni e Elio Pecora), in corso di pubblicazione, alla quale Ciancio partecipa affrontando il tema de “L’Italia e la fatica di amarla”. In ‘Storie minime’ il tema di fondo è lo “spaesamento” ( “Lo spaesamento, ecco cos’è:/  un tempo in cui le mani non sanno più/ se stringersi a pugno/ o fermarsi/ distendersi a ramo sul cuscino”).
La scelta semantica sottolinea la dimensione esistenziale di quella realtà che è “il paese”: nel mondo urbanizzato, dove dal 2007, più della metà della popolazione mondiale vive nelle città, questa dimensione che assurge quasi a parametro bucolico nelle regioni dello sviluppo storico, ha altrove e in modo diffuso i tratti scarnificati delle pareti scolorite, delle fessure nei muri, delle strade vuote e battute dal vento, dei paesi da cui troppi – per mille motivi -  sono partiti e pochi sono restati partendo davvero, cercando un senso, per quelle strade, al loro restare lì. Dopo un po’ ci si accorge che “le pietre della casa sono grandi libri chiusi/ hanno polvere spessa lungo i bordi/ e ci nascondono alla vista i fantasmi/ e l’ombra sfilacciata di noi stessi”.
È significativo che aleggi tra questi versi lo spirito solare e sfortunato di Rocco Scotellaro che cantò e interpretò col suo vivere l’emancipazione del paese e dei suoi abitanti, semmai pensando a un rientro di chi era partito quando quelli che restavano erano comunque tanti. E tuttavia già lui fece esperienza dello spaesamento, quel “capostorno” rimasto a metà, assopito a Pozzuoli (“Io sono un filo d’erba/ un filo d’erba che trema./ E la mia patria è dove l’erba trema”). Partì anche lui, ma questo è un tema che esula dalla ricerca di Ciancio. La domanda di fondo è: “Che senso mi do in questo luogo dove – per mille motivi speculari a quelli di coloro che sono partiti – devo restare?” La risposta è forse più presente nel precedente La ragazza con la valigia (Ed. Lieto Colle, 2008), partita e ora ritornata. Ma qui, nelle Storie minime, Maria Pina non lo dice. Prima ci sono quelle strade dove alla porta si bussa per aprire sapendo che ci apre il fantasma di chi ci era ieri, talvolta quelli che ci hanno generato ed amato. È lo spaesamento perché gli altri abitano nella nostra testa ma non li possiamo abbracciare, se non con il cuore. In Ciancio, in particolare, la figura del padre, nel suo ricordo e nella sua presenza-assenza, si unisce al timore di restare senza traccia. Resiste la vita insieme al pane, le preghiere e gesti di tenerezza.
“Voglio vivere nel mondo, non dietro un muro, voglio vivere nel mondo, non dentro la mia testa”, cantava, non molti anni fa, un artista sensibile come Jackson Browne. Non è facile:

“Mi abitano i paesi spopolati/e il vento – scrive Ciancio - la luce che scorre in un istante/ e frana nella crepa dei calanchi/ nella carne”. Nelle lunghe giornate invernali “ci assale la nebbia nella piazza spopolata/ a smussarci i contorni e gli spigoli degli occhi”. Giornate nelle quali, anche d’estate,
“… facciamo percorsi lunghi/ per ritornare sempre all’inizio…”.

Il paese è quello delle alture, è una sorta di montagna incantata, dove si rincorre l’epica del ricordo: “Da quassù – scrive Maria Pina - non sappiamo pensarlo/ né amarlo il mare/ Abbiamo bisogno di appoggi e ripari/ (un albero, un sasso, un nido di poiana)/ di ascoltarci a distanza/ il rumore dei passi
Altrove l’autrice osserva: “I nostri paesi sembra che a volte non hanno più sguardo. Li attraversi di giorno, di notte, al mattino presto, tra le case chiuse, le piazze spopolate, nei vicoli che sanno ancora di neve, e senti nell’aria la lama lucida e spietata della resa… Ci siamo dimezzati” (prosa 1). C’è un tratto generazionale, condiviso da quanti hanno oggi intorno a quarant’anni e che sono figli dell’emigrazione, che portano nel cuore la presenza di più mondi e di più tempi e, volenti o nolenti, sono costretti  alla ricerca di una loro composizione. Per chi ritorna in paese, l’impatto è pesante, soprattutto con quelle consuetudini che sembrano non potere essere scalfite. “A quarant’anni ecco cos’eravamo:/ quelli fuori dal coro, fuori dal giro/ fuori da tutto/ qui non importa a nessuno chi sei/ importa soltanto con chi stai”. Tanti sono partiti e quando ci si conta “manca sempre un legno e un nome”.
E’ un libro bello quello di Maria Pina Ciancio, perché, oltre ad essere ben scritto, è composto di pagine che non fingono, che sono vere. È la testimonianza di chi cerca sé negli altri e per fuggire il demone spaesante del ricordo, deve prima guardarlo in faccia per giungere a cacciarlo, dissiparlo. 18 i testi, di cui due prose e quattro poemetti (il I in 10 parti; il II in 11; il III in 6; il IV in 9). Altra era invece la struttura de La ragazza con valigia: tre sezioni, con le nove poesie de Lo sguardo di terra annodato alla luna, le quindici de Il filo delle rondini nere di ritorno e le tredici  de Il premio della luce. Ci sono storie di destini ma anche di vite che sanno dire no al programma tracciato, a causa del quale nelle case “il presente è sempre altrove” e le carezze sempre senza cura.
Nina, ad esempio, “viveva sola e si burlava/ delle mie paure e dei miei amori/ La cercai dappertutto… a trent’anni la scoprii col cappotto/ che spiava il Mondo dalla serratura della porta” o Fabrizia che “ha diritto a stare zitta/ o a naufragare tra i contorni/ generosi del rossetto/ non era ancora l’alba quando perse sua madre/ un mazzo di chiavi arrugginite/ nel catalogo delle amiche/ di suo padre”.  Un’altra protagonista solitaria vive, come su accennato, nelle stagioni sospese del tempo (un rischio evidenziato in Storie minime), una storia come questa: “Stese panni biancoazzurri/ al filo delle rondini nere/ di ritorno/ e rimase immobile, scarmigliata dal vento/ i capelli e i vestiti graffiati/ da carezze senza cura/ chissà perché in quella casa/ dai tetti rossi/ il tempo del presente/ era sempre altrove”.
C'e' anche una “ragazza con la valigia”, quasi un ritratto dell'ingenuità che vince il destino e che presiede al racconto delle vite di Adalgisa e Carla, Nina e Marta e, ancora, di  altre otto figure femminili. Carla, in particolare, che “era sempre stata/ una brava moglie/ casa-lavoro casa-lavoro/ routine, parenti, litigi,/ ma un giorno di marzo/ il vento le prese il grembiule/ e lei lo rincorse felice/ e senza rimorso”.
Non c’è fatalismo in Maria Pina Ciancio, ma il ritratto di chi il fatalismo lo ha accettato o subìto e la prospettiva di chi lo ha rigettato, conseguendo "il  premio inaspettato della luce", proprio come quella ragazza con la valigia che “scese dall’autobus… e sorrise/ con le mani lievitate di terra e luna/ sorrise”.

Michele Brancale











mercoledì 23 dicembre 2009

foto di gruppo



di questa luce
che entra dalla finestra
e si intromette nei discorsi
di un tavolo o di una sedia

di quel suo passare
per la cruna degli occhi
come un filo di nylon

di tanto consumarsi
in questa bocca come un'ostia
che la lingua non stacca dal palato

di queste coliche di reni
o di un callo di una mano
e di tanto altro in mezzo che non so dire

come essere felici al ristorante
perchè davano due primi


di Vincenzo Celli

(il dipinto è di Monet, Pavé a Chailly)

martedì 22 dicembre 2009

PREGHIERA


Signore,
dilata la mia anima.
Come un granello di sabbia
vola nel vento,
respiro il tuo spirito divino,
e ti cerco.

Signore,
colma la mia pazienza.
Come un attimo fugace
il mio tempo scorre.
Tu mi invadi,
ed è l'eternità.

Signore,
ascolta i miei oscuri silenzi.
Come un giorno pieno di impegni
la mia vita si ingarbuglia.
Ascolto la tua assenza,
ed è musica.

Signore,
ama le mie ossessioni.
Come follia,
affliggono la mia povera mente.
Confido nella tua provvidenza,
ed è luce.

Signore,
riposa la mia stanchezza.
Come un balsamo di misteriose virtù
sei per me.
Mi quieto,
ed è coraggio.

Signore,
asciuga le mie lacrime.
Come l'acqua
esse purificano.
Perdono,
e brucio d'amore.

Signore,
coltivami.
Come l'infante
con i suoi balocchi,
gioco con te
e vivo.
Signore,
gioca con me.

Quando l'ansia
soffoca l'aria,
tu amami:
invoco pazienza,
saggezza
e prudenza.

Adele Desideri (da Non tocco gli ippogrifi, Campanotto, 2006)

Su “Inoltramenti” di Alessandro Ramberti

Edizioni L'Arca Felice, 2009

di Nino Di Paolo

Inoltramenti è una plaquette di sette poesie che Alessandro Ramberti, editore riminese ideatore e cardine della Casa Editrice “Fara”, pubblica, per le Edizioni L’Arca Felice di Salerno, in duecento copie numerate.

Le sette poesie scavano tutte nel profondo dell’anima, le prime due (“La grammatica sprofonda” e “Genesi”) direttamente in quella dell’autore, le altre, in progressione, abbracciano quelle di un’umanità più ampia (“In gioco” , “Echad” – con la dedica al padre), quelle del rapporto tra mondo e corporeità (“Economia biologica”), quelle del rapporto tra sé e gli altri (“Urna viva” e “Monte Baldo”).

In ciascuna di esse, dopo premesse che propongono descrizioni (poche), metafore e domande vi è, in conclusione, un’immagine poetica che racchiude e rilancia il senso di “quella” poesia:
“… capsule di un codice in evoluzione”,
“… lasciando ai fotogrammi dello spirito la vera impronta di chi sono”,
“… e le preghiere sono doni già nel momento che precede”,
“… tu dove è sempre il nucleo amante di ogni relazione”,
“… di una superficie, ma un bel tiro che ha per bersaglio il corpo ovunque sia”,
“… la sua argilla fuori uso potrà diffondersi altrove”,
“… le fibre dell’anima impigliate in questioni pratiche sono fuori pista”.

La scelta di titoli che non riprendono il primo verso ma sintetizzano il tutto apre la lettura, poi chiusa dalle immagini appena sopra riportate.

Inoltramento è un sostantivo pochissimo sentito oggi, diciamo pure in disuso nel parlare e nello scrivere, che però esprime il senso della ricerca, qui, più che in un “oltre” in un “più profondamente”.

Tutte le sette poesie esprimono anche uno stile mai gridato (specchio preciso del modo di essere di Alessandro) ma che accompagna per mano il lettore in scoperta delle essenze di sé e della natura delle relazioni profonde tra le persone, che si incontrano o che non si possono incontrare.


Pero, 22 dicembre 2009

Su Meltemi di Helene Paraskeva




LietoColle, 2009

La prima opera poetica dell'ateniese Paraskeva getta un sguardo epico (per la profonda conoscenza della tradizione culturale greca) e migrante su tanti aspetti della realtà: la poesia che apre il libro si intitola Xenitià (cioè “migrazione”) e altre Stranieri nella città, Nero di rabbia (una delle poesie a nostro giudizio più belle), Ci vogliono leggi giuste, Io non sono razzista ma…, Storia e geografia. Già questi titoli ci danno un'idea della poetica dell'Autrice che adotta una scrittura evocativa, a tratti salace e gnomica, ricca di echi mitologici: «Nel golfo di Aulide afono e piatto, / il vento strozzato ancora balbetta. / Prima di mezzanotte non si alzerà / mai, prima del sacrificio / ha un impegno.» (Ifigenia, p. 24); «Nei bui, vorticosi abissi / dei tuoi riti inghiottiscimi. / Insegnami lo smarrimento / nei boschi freschi.» (A Dioniso, p. 34).
Se a volte qualche osservazione “giornalistica” un po' scontata o prosastica o troppo legata all'attualità, qualche giudizio contingente o lievemente ridondante appesantiscono alcune poesie, Paraskeva sa raggiungere in quelle più icastiche e sobrie livelli di grande intensità: «Cerco parole digeribili, / (…) / Fra le mani, invece, trovo sempre, / con le mani, invece, / scavo e scovo sempre / le altre, / quelle che lacerano, / e graffiano.» (Chiamami scava-scava, p. 26); «Traslocare fa un effetto goffo. / Scatole chiuse, lettere non lette, libri creduti, appunti persi / e polvere al posto del respiro.» (Traslocare, p. 44); «Il tempo esiste. Si affonda nell'anima / molle. Ancora.» (Times is the Duration of Conscience, p. 46).
Un libro che come il Meltemi (vento secco estivo) ha pagine imprevedibili (e per ogni lettore è probabile siano imprevedibilmente diverse) e credo siano queste a restare nella memoria, a scavare nei cuori un percorso che resta.

(ar)

lunedì 21 dicembre 2009

Esasperato sacello…

di Paola Castagna

7 componimenti scultorei. Versi poderosi che lambiscono il misticismo e interrogano la vita scavandola nel profondo. (ar)

1

Esasperato sacello la pietra che custodisce il teschio dell’eremita.
Fu l’acqua a levigarla, dando sembianza a quel digiuno di secoli.
La cavità viene risucchiata dall’adipe.
Non posso più contare le particelle che delimitano la zona di preghiera.
Non resta che ficcare nella crepa il piede di porco, e fare leva.
Squarciato ogni contatto umano in chi solo restò
non curandosi della luce che miete.
Si sgretola la vanità.
Il profanatore ha già un sepolcro, quello che gli divora il petto.
I mercati attendono le reliquie, ma il sacro non dà più strumenti.
L’acqua ancora leviga e trasforma la consistenza di un fluire.
Catturato dai gregari del bargello, non può che urlare:
“ Io ho cercato!”
… mentre la forca lo attende.

2

Si specchia nel grande fiume.
La voce è quella del boia, e in essa trova salvezza.
Le mani sudate raccolgono ciò che persiste e rimane.
Inalterato il pensiero, non trova pace nel danno arrecato.
L’osso femorale lo sostiene, mentre l’apnea genera il flusso.
L’esecuzione formale devia il pulsare di un sangue ormai secco
che resta addosso, in questo logorìo che nomade conduce
tra stanze sature e canne palustri.
L’estramonio è sostanza effimera, solo la vendemmia offre magia.
Nella notte fonda il sapere, spalanca le gesta, seduce donne fertili.
Trasgressione ultima… i viventi esultano, per un cuore aperto.


3

Ora sono di Mantova, Ferrara, Ravenna.
La mannaia ha scorticato il tronco.
Piange la betulla violentata dal metallo.
I boscaioli affastellano rami circoncisi…
danno fuoco, urinano sulle braci del vento.
Odore di uccisioni giustificate dal mestiere.
Si screpola la mano calva, poi la pelle si rovescia
e resta ciò che la vergogna contiene.
Di solito il pioppo non resta immune e distaccato,
anche lui vive del simile, nello sfregio coronato dai ceppi.
Chi è esecutore non può concedersi indugio,
egli va per decisione, verso la polpa del legno.
Sfregola il piscio sulla fiamma, c’è anche chi versa il seme,
rito primigenio per assicurarsi il perdono della foglia di neve.
Da sempre si colpisce anche la radice, che lo strazio abbia compimento.
Novembre cancellerà le tracce, e ogni tronco andrà disperso
nella viscida e fangosa corrente.
Urina e sperma
per arrotare, quello che ci rende specie.


4

Paludosa l’essenza, le gocce, la rugiada.
Sfregiare l’immune, rende vittima la natura che abbonda.
Scorrendo nel letto del fiume
le foglie calpestate lasciano un pianto.
Indurisce il collo, mandato al patibolo.
La storia è come un altare,
riversata nel corpo, poggia sul ceppo lo strazio
confidando nell’ascia che le viene.
Tronco infestato, l’accetta tra le mani
indica i parassiti d’un sistema indecente.
Va la barca, nell’inguine del condannato.
Ci aspetta il ritorno, passata la chiavica di Stellata
oltre l’ansa di Poggeto.


5

La mano del nocchiero tiene il rasoio.
Sugli argini è il freddo che risveglia.
La testa appoggiata al ventre
succhia l’erezione del potere.
Freme la crosta terrestre, fulcro dell’universo,
equilibrio tra vita e morte, tra nebbia e delta.
La creta fertile viene mangiata a morsi.
Nel sangue la ricerca di un’indole che genera.
Ecco! Ecco il vagabondo irrequieto
che i rami aggroviglia e tesse le lucertole.
Urlare in quel buio che copre le anime
non fa che distanziare il battello
che porta nel mondo dei dispersi.


6

Ancora pregano un dio evirato
oltre il diletto, con membra gonfie, con voci in risalto.
Nessuna buona azione resta impunita
né determina un ricordo.
E’ il sacro che civetta col profano,
l’orgia incalza, tra zolle arate e fumo.
Lontano il canto di un fagiano.
Nel bosco la filosofia inciampa e resta muta.
Dalla pianta dei piedi al cranio
non c’è una parte illesa.
Le piaghe aperte le cura l’olio
mentre da te eliminerò il piombo
senza vergogna della quercia.
Arrossire nei giardini
come quella volta che mi prendesti nell’orto
parlando in dialetto, recitando il sapore dei segni
e il cantico dell’oroscopo.


7

L’ultima scultura odora di zolfo,
graffito d’un epoca accesa al silenzio.
Il simbolo è metamorfosi graduale,
è rana che gracida nello stagno adiacente.
Il ruvido del lenzuolo contiene l’immenso.
Fatica l’abbraccio, sul ponte dei custodi.
La madre rovescia la polenta
perché lui torna dall’esilio e dalla galera.
Medioevo e rinascimento cuciti assieme.
Il fiore di San Martino tocca il mio braccio.
E’ il primo passo di un arrivederci.
Il fiume cerca il mare
mentre la nostra terra
quello che si è perso.
Città di riviera, città solcate da onde e polene,
il vostro respiro mi rende vergine,
volpe che annusa l’antico e il nuovo
nello stesso tempo.

martedì 15 dicembre 2009

EMILY DICKINSON poesie



     traduzione di massimo sannelli
(a lato  Ego sum di William Congdon)

poesia 958
Ci incontrammo Scintille - Divergenti
Selci scagliate in direzioni varie -
Ci separammo e il Cuore della Selce
Sembrò diviso a filo dalla Scure -

La Luce che portammo ci sostenne
Prima che Noi soffrissimo la notte -
Forse - la Selce arriva fino ad Oggi -
Per la nostra Scintilla.

598
Tre volte - ci lasciammo - il Fiato - e Io -
Tre volte - Non andò -
Ma volle muovere il ventaglio fragile
Ma le Acque - non vollero.

Tre Volte - mi innalzarono le Onde -
E poi mi presero - come una Palla -
Fecero visi Azzurri alla mia vista -
E spinsero una vela

Che guizzava a distanza - e a Me piaceva -
E pensavo - Morendo -
E' una gioia osservare qualche Cosa
Che Umani aspetti - ha -

Le Onde ebbero sonno - e il Fiato - no -
I Vènti - come Piccoli - oscillavano -
E poi il Sole baciò la mia Crisalide -
E Io mi alzai - e vissi -

789
Su un Io Colonna è agio
Superare l'Angoscia -
O il Pericolo - e bello
Sapere certamente
Che la Lama non taglia -
E il Cuneo non divide

La Convinzione - Base
Granitica. Se qui
Nessuno ci sta a Fianco -
Ci basteremo - come
Folla - con Rettitudine -
E l'Assemblea - vicina

Al più remoto Spirito - che è Dio -

poesia 260
Leggi - Dolce - che altri hanno lottato -
Perché ci rafforziamo -
Leggi cosa - lasciarono
Per non temere più -
E che ebbero fede
E noi - più consolati
Come amati - da un Regno!

Leggi anche - la fede -
Brillata sopra il rogo -
Chiari segni dell'Inno
Che il Fiume non divora -
Grandi nomi di Uomini
E Donne Celestiali -
Vanno dai Fatti ai - Fasti!

poesia 1247
Diventare una massa
Come l'ultimo Tuono
Quando viene dal cielo

Mentre ogni Creato
Si nasconde: sarebbe
Questo Poesia - o Amore -

La doppia Essenza è una -
Proviamo Due o Nessuna -
Questa Esperienza uccide -
Chi vede DIO non vive -

poesia 254
«Speranza» è cosa alata –
Che ripara nell’anima –
E canta il canto senza le parole –
E non si ferma – mai –

E più che dolce – nel Vento – si sente –
E la bufera deve essere frusta –
Per impaurire Questa
Che riscaldò la gente –

Io l’ho sentita nella terra guasta –
Sul Mare che non c’è –
Neanche nell’Angustia
Chiese un grammo – di Me.

poesia 228
Bruciare in Oro - spegnersi - nel Viola!
Come il Leopardo - al Cielo
Saltare - e poi al piede
Dell'Orizzonte antico
Appoggiare venato
Il suo volto - morire!

Curvo sulla finestra
Della cucina - Tocca
Il Tetto - ridipinge
Il Granaio - saluta
Rivolto al Prato - è andato
L'Acrobata del Giorno

poesia 1409
Se una bocca mortale
Potesse divinare
Il Carico che giace
Nella sillaba detta
La ucciderebbe il peso.

lunedì 14 dicembre 2009

Su Io, Lei e la Romagna di Guido Passini

lettera all’Autore di Vincenzo D’Alessio


Caro Guido, mi fa piacere risentirti cantare in questa nuova raccolta, nonostante tu stia “senza fiato” a risalire le mura di un castello addormentato nei sogni. Mi raccolgo a scriverti una lettera – meglio di una email o di un sms – per dirti che ho cercato di seguirti in questa nuova fase scrittoria. Credimi non è stato semplice. Quella che potrebbe sembrare leggerezza d’Amore è invece inno di lode per una mèta raggiunta. Una mèta raggiunta per tante perse. Non voglio rammaricarti. Mi sono chiesto, e la scomparsa prematura di mio figlio mi ha fornito la risposta, come fanno gli uomini colpiti da malattie gravi a sorridere fino alla fine? Ebbene la risposta è, allo stesso modo, anche nei tuoi versi: “Riempi il petto, / come una farfalla spiega le ali. / Non ti arrendere, / inizia a volare.” (pag. 51)
Le tre parti della tua raccolta contano ventidue poesie ognuna.
Giovane amico, sei un esempio di vita per molti. Hai coraggio – altri la definiscono incoscienza dei giovani – per mostrare qual è la via da seguire in questo esistere. Un novello Ulisse che perde i suoi compagni lungo il viaggio: “Ti ritroverai ancora a tu per tu / con l’ignoto, / navigherai nei dubbi / con una piccola zattera di sale.” (pag. 51)
Quella zattera che si scioglierà nel mare Umanità dove ogni essere vivente rinnova l’atto di nascita attraverso l’acqua. Capisco bene cosa significhi vivere ogni istante (perché il giorno è un infinito di istanti quando si soffre) con una spada nei polmoni o sul cuore. Cosa rappresenti la cadenza della flebo paragonata alla pioggia: “Resisti e ritorni a contare: / goccia, goccia, goccia, / fino a quando le confondi con le tue lacrime.” (pag. 34)
L’umanità di oggi non si accorge della vita che si muove negli ospedali. Di quell’annullamento del tempo quotidiano. Le ore sembrano giorni e i giorni secoli di Storia dimenticati dagli uomini. Proprio come le formiche affaccendate a portare nel buco terreno i resti della vita che cede. Proprio così: gli uomini corrono infreddoliti a prendere la metropolitana, l’aereo, i bus, i tram, le auto e le biciclette. Tutti respirano affannosamente gli interessi della vita. La vita però si ferma quando si varcano le porte dell’ospedale, dell’azienda medica. Chi sente la Poesia di questi esseri viventi? C’è addirittura lo sdoppiamento dell’Io per non soffrire: “Hai pianto sconsolato (io solo so quanto).” (pag. 52)
C’è chi come Guido, e gli amici del suo primo libro Senza Fiato, possono trovare una consolazione nella Poesia: “È un vigoroso cordone ombelicale / quello che mi lega stretto alla poesia, / alimentata dall’anima di questo / treno a vapore in corsa per la vita.” (pag. 29)
Credo sia catartico esprimere il proprio dolore. Ma è una pausa breve! Può molto l’Amore, invece.
Sai Guido, vorrei farti sorridere, ho sempre pensato alla Romagna come ad un luogo delle favole, una fonte di eterna serenità, fatta di grappoli d’uva matura e di terra colma di fragranze. La immaginavo così quando imparavo a memoria, alle elementari, la bella poesia omonima di Giovanni PASCOLI: “(…) / sempre mi torna al cuore il mio paese / cui regnarono Guidi e Malatesta, / cui tenne pure il Passator cortese, / re della strada, re della foresta.”
Oggi scopro, tramite te, che è terra d’Amore sincero per la Vita. Vedi che scrivo sempre con la maiuscola le cose vere dell’esistenza per distinguerle dalla normalità selvaggia che attanaglia i nostri giorni. Sono i versi semplici di un adolescente, i tuoi, rivolti alla tua metà. Sanno di stupore e scoperta per quella energia che muove tutto il mondo vivente. Versi semplici e puri, anche quando descrivono la passione per il corpo della propria donna: “(…) / sono le tue carezze che rilassano / la mente quando il silenzio è d’obbligo.” (pag. 115)
Ancora a pag. 90: “Ah, l’amore che sognavo era bello, / non aveva viso, non aveva un corpo, / ma era solo l’anima che cercavo.”
Nei tuoi versi la figura retorica ricorrente è l’anafora che racchiude la tua pervicace essenza di uomo che non molla, che insiste, che tempra la sua penna per una nuova guerra contro quella che continui a definire “bastarda”. A questa dura necessità di confronto bene ha risposto l’introduzione di Marco VIROLI: “Mi è capitato di chiedermi cosa sarebbe stato della poesia di Guido se si fosse trovato libero dalla bestia che gli toglie il fiato e permea ogni istante della sua esistenza.” (pag. 13)
Una richiesta legittima. Un porsi criticamente di fronte ai testi e al valore che essi lasciano nella memoria collettiva: è uno dei motivi ispiratori della nostra poesia. Non l’unico! Caro Guido chiudo questa mia riflessione, sotto forma di lettera aperta, sulla tua ultima fatica con il desiderio di continuarti a leggere. Vivi!

Dicembre 2009

Nuova Poesia a Sud di Roma 19 dic

 
letture di
Maria Pina Ciancio, Domenico Cipriano, Stelvio Di Spigno

 
Interviene Luca Morricone
per la rivista LINFERA

 
coordina
Luca Benassi

 
Sabato 19 dicembre 2009 – ore 18.00

Palazzo delle Regioni
Via Aldrovandi, 16 - Roma



Maria Pina Ciancio ha pubblicato Testualità e interpretazione ne "Il nome della rosa" (1992), La danza nel silenzio (Ed. Ermes, 1996), Legionari di frontiera (Premio Nazionale Histonium, 2002), La mongolfiera azzurra (I fiori di Campo, 2002), Itinerari (Premio CARM - Centro Arti e Ricerche Meridionali, 2002), Donne e Duetto due libretti d'artista a tiratura limitata con la collaborazione di Cosimo Budetta (Ed. Ogopogo, 2002), La Madonna del Pollino - Festa e devozione popolare (Il Coscile, 2004), Il gatto e la falena, Primo Premio "Parola di donna" (2007), La ragazza con la valigia, Ed. LietoColle 2008 (Premio “Prata Poesia” 2008), Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro, Ed Fara 2009. È presente in diverse antologie. Suoi scritti e interventi critici sono pubblicati su riviste e quotidiani regionali e nazionali. E’ presidente dell'Associazione Culturale LucaniArt e in internet cura un blog sul romanzo e la poesia in Basilicata http://lucaniart.wordpress.com/

Domenico Cipriano è nato nel 1970 a Guardia Lombardi (Av) e vive in Irpinia. Ha pubblicato la raccolta Il continente perso (premio Camaiore “Proposta” 2000”). Interessato al connubio Jazz e Poesia ha dato vita al progetto “JP band” da cui il CD Le note richiamano versi (2004). Suoi versi e contributi critici sono apparsi su antologie e riviste, fra le quali: Poesia, La Mosca di Milano, Specchio della Stampa, Gradiva, Polimnia. È redattore della rivista Sinestesie. Una intensa sezione poematica sul sisma del 1980 dal titolo Novembre (finalista al premio L. Montano 2008) è stata edita sulla rivista statunitense «Italian Poetry Review» nel dicembre 2008. http://www.domenicocipriano.it


Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. È laureato e addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Sometti, Mantova 2002, Premio Andes; 2ed. accresciuta Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco (Manni, Lecce 2007) e la monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi – Analisi psicologica cognitivo-comportamentale (L’Orientale Editrice, Napoli 2007). Vive a Gaeta.

Premio "Daniela Cairoli” 6-2-10

Concorso Nazionale di Poesia "Daniela Cairoli" settima edizione
Scadenza iscrizione: 6 febbraio 2010
  • Organizzazione: Associazione Culturale “Helianto”, Associazione “Per Un Mercoledì Diverso”
  • Indirizzo: spedire in busta chiusa le opere a “Associazione Per Un Mercoledì Diverso”, Via Piave 23 ; 22070, Rovello Porro (CO)
  • Email: info@helianto.it
  • Telefono: 339/5958953.
  • Sito internet: www.helianto.it (dove è possibile scaricare il bando integrale)
  • Sezioni: poesia a tema libero.
  • Opere ammesse: sono ammesse poesie in italiano o in vernacolo.
  • N° Copie da spedire: 5 copie anonime e dattiloscritte per ciascuna poesia inviata.
  • Quota di adesione: euro 5 a poesia, è possibile spedire fino a un massimo di 3 poesie. La quota è da versare su c/c postale 59238485, intestato all'Associazione "Per Un Mercoledì Diverso ", Causale del versamento: "Concorso di Poesia Daniela Cairoli".
  • Copia del giustificativo attestante l'avvenuto versamento della quota, Scheda di adesione al concorso (in alternativa, un documento con i dati dell'autore), vanno spediti unitamente agli elaborati
  • Premi: primo classificato: euro 500; secondo classificato: euro 300; terzo classificato: euro 200
  • Premiazione: sabato 20 marzo 2010 presso il Teatro San Giuseppe di Rovello Porro
  • Notizie sul risultati: ai vincitori e ai menzionati sarà data tempestiva comunicazione tramite telefono o mail.
  • Giuria: Anila Resuli (Presidente); Claudio Pagelli; Giovanna Sommariva.
  • Patrocinio: Comune di Rovello Porro, Consiglio della Regione Lombardia
  • Sponsors: Albergo Munscì di Rovello Porro.
  • Note: i fondi raccolti saranno devoluti in beneficenza.

domenica 13 dicembre 2009

Il corpo delle donne a Bologna


Vi aspetto per una serata insieme (poesia, letture, dolci delizie)
Loredana

      ArciBrecht  Via Bentini 20    tel. 051 705314  
       http://arcibrecht.bo.arci.itbrecht@arcibologna.it
                                                                                       

GIOVEDI 17 dicembre 2009
ore 21.00

Presentazione del libro a cura di
Loredana Magazzeni e Vannia Virgili

Letture di testi
Leila Falà e Serenella Gatti Linares

A conclusione della serata l’ArciBrecht vi invita a restare per un brindisi accompagnato da dolci delizie

mercoledì 9 dicembre 2009

Su Il verso del moto di Narda Fattori


MOBYDICK EDIZIONI 2009

recensione di Vincenzo D'Alessio

Questo volume contiene settanta poesie di Narda Fattori. Settanta note scritte sopra un pentagramma che bene potrebbero rappresentare la timbrica strumentale “allegro-adagio-allegro” che si rivela nelle quattro stagioni di Vivaldi. Si apre con l’armonia schietta della Primavera. Raggiunge il fuoco dolce dell’Estate. Si disperde nelle cadute dell’Autunno. Si rasserena (come voleva Seneca) nell’infinità dell’Inverno. Stupendamente serena. Senza ipocrisie. Viva per vivere in mezzo all’energia Naturale che ci completa.
Questa è opera matura, completa, svolta secondo i canoni della poesia del Novecento, richiamata nelle epitome dei versi di Sereni, Ritsos, Fortini e Carifi, poste all’inizio dei quattro moti del verso. Una esegesi non facile di fronte ad una poetessa che invoca, di continuo in questa raccolta, la Parola come strumento di riscatto ad una intera esistenza. Le strofe formano ora un corpo unico, ora si armonizzano in codici semantici di assonanze e allitterazioni. La chiave di violino, per leggerne l’armonia, è nella prefazione della Tamburini: “(…) L’autrice non li definisce quartetti, e infatti le parti non hanno la struttura poematica del modello eliotiano, ma una loro circolarità musicale è riconoscibile nel moto a spirale che dall’io poetico delineato nel primo movimento, carta d’identità con foto e storia personale, al plurale del secondo tra gli elementi e la parola, all’intersezione dei diversi piani del terzo, vòlto a sintetizzare i precedenti movimenti, muove nel quarto al ritorno al sé proiettato, tuttavia, nella sua dimensione ultima con l’acquisto di una cifra simbolica che eleva liricamente in crescendo tutta la raccolta.” (pag. 9)
Vorrei dire che questa raccolta è il testamento poetico della Fattori; mi guardo bene dal farlo; perché spero che la rossa vena poetica comunichi ancora il suo canto. Ho rispetto sincero per questa poetessa che scrive: “Non è mai morta la bambina che fui / si stringe a me con i suoi sogni / sbrindellati / e quanto dolore quanta rabbia / quanto disperato amore…” (pag. 31). Come non sentire il lievito della crescita poetica in questa strofa? Come non consegnare al presente/futuro questi frammenti di eternità? Sono queste poesie la richiesta vera della Poesia, come la Nostra scrive:”(…) il brivido lungo della vita/ e resistere resistere insistere / perché le noti del canto / si sollevino oltre la polvere / verso quel ponte che mi attraversa / e mi affratella.”(pag.22). La poesia che ci divora è fuoco comune, luogo di ritrovo per quelle anime sincere che nutrono l’amore per l’Umanità. In questi tempi di continue guerre, lacerazioni sociali, fame e miseria, almeno un pane che sfami la mente e nutra i germogli del nuovo millennio.
Ci vorrebbero molte pagine per descrive l’arco temporale delle settanta poesie messe in armonica sequenza. Ma rischieremo di non essere brevi e questo è un peccato di vanità che non si addice ai poeti. Quindi lascio alla passione del lettore, che come me divora libri per la gioia di leggerli vivendo, il seguito del moto poetico che la Nostra ha voluto trasfondere nelle parti centrali. Mi avvio ad una semplice considerazione finale. La poesia eponima, a pag. 88, della raccolta scandisce un movimento che ricorda il Non chiederci la parola del nobel Montale. Dove “le storte sillabe e secche come un ramo” sono rastremate in una ironia dolce e sagace che fa dire alla poetessa : la morte “proverà il rispetto che mi deve”. Vorrei che avesse ragione. Desidero che senza “amarezza” il silenzio dell’eternità prenda il posto della viva voce che ora canta, continuandola! Un desiderio legittimo. La fiaccola della Speranza.
Tutta l’aria di questa raccolta, ben sistemata sul pentagramma della memoria, dà al lettore quella formula nuova, creativa, non ripetitiva che la vera Poesia sa inoculare, dagli occhi all’anima, seguendo la strada del cuore. Lo dice con emblematici versi la Fattori: “Io scrivo e altro non so dire. / E non so a chi chiedere perdono.” (pag. 62)

Dicembre, 2009

lunedì 7 dicembre 2009

Il pane di Montefusco (di Vincenzo D'Alessio)


Ti elogio pane di Montefusco
impasto di grano solare
e acqua leggera di fonte
lievitato di notte pronto
all'alba per salire nel forno
Diffondi la tua fragranza leggera
per le strade antiche del borgo
 ti posi sul sonno profondo
dei tetti nelle ore del campanile
Ti saluto crosta dorata
dal morbido cuore di mollica
profumo delicato di vita
portatore di continuità.   (2006)

La poesia è nel volume Pubblica con noi 2007 (la foto ritrae l'ultimo panettiere che lavora il pane con le proprie mani e lo cuoce al forno, acceso con la legna dei campi - merita rispetto - gli abbiamo consegnato un riconoscimento come G.C.F. Guarini assieme ai ragazzi della 3C di Montoro Inferiore in visita al carcere borbonico di Montefusco dove fu rin chiuso "Michele Pironti" eponimo della scuola). Vincenzo

venerdì 4 dicembre 2009

PREMIO «POESIE PER SANTO STEFANO» 15-3-2010

La basilica di Santo Stefano, conosciuta dai bolognesi come “le Sette Chiese”, è un complesso monumentale di edifici ricordato fin dall'anno 887 col nome di "Santa Gerusalemme". Un racconto della fine del XII secolo ne attribuisce la fondazione al vescovo bolognese Petronio (431/32-450), che avrebbe riprodotto e dedicato al Protomartire cristiano, Stefano, i luoghi della Passione di Cristo, visitati in un suo viaggio in Terrasanta. Qui il presule è tuttora sepolto. Oggi questo fondamentale monumento religioso, culturale e architettonico necessita di urgenti restauri, per i quali non sono disponibili adeguati finanziamenti pubblici. Il Centro di Poesia Contemporanea risponde all’appello di raccolta fondi per il restauro con il presente concorso di poesia, il cui ricavato sarà interamente devoluto al restauro della basilica. Per questo motivo la partecipazione al concorso è soggetta al versamento di una quota di iscrizione e non sono previsti premi in denaro.
1. Il Centro di poesia contemporanea dell’Università degli Studi di Bologna bandisce un premio nazionale intitolato «Poesie per Santo Stefano»

2. La partecipazione è aperta a tutti.

·      Dovranno pervenire, entro e non oltre la data di scadenza: 15 marzo 2010, 5 copie di una silloge di 3 poesie inedite in cui deve comparire uno pseudonimo in ogni pagina.
·      Allegare un foglio contenente i dati dell’autore corrispondenti allo pseudonimo, un breve curriculum e l’autorizzazione al trattamento dei dati anagrafici e biografici ai sensi dell’articolo 13 del D. Lgs n. 196 del 30 giugno 2003.
·      Allegare copia del bollettino postale attestante l’avvenuto pagamento della quota di iscrizione.
·      Verranno selezionati 3 vincitori.
·      Il premio consisterà:
§  nella pubblica lettura dei componimenti in un evento che si terrà in basilica, del quale verrà data notizia sui principali mezzi di informazione,
§  nell’esposizione dei componimenti in basilica o in un luogo di analoga importanza artistica e culturale della città, accessibile ai visitatori,
§  nella pubblicazione dei componimenti in una antologia commemorativa.
§  PREMIO SPECIALE: Gran Premio Santo Stefano

3. La Giuria del premio è composta dai membri del Direttivo del Centro di Poesia.  
Coordinatore del Premio: Davide Rondoni.

4. E’ possibile spedire il materiale tramite posta ordinaria presso:

Centro di Poesia Contemporanea
c.a. Premio «Poesie per Santo Stefano» 
via delle Belle Arti, 42
40126 Bologna 

oppure tramite email con oggetto “Poesie per Santo Stefano” presso unibo.poesia@unibo.it

Per informazioni telefonare dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 12.30 tel. 051.2094645 - 051220666 o scrivere all’email unibo.poesia@unibo.it

5. La partecipazione al premio è soggetta al pagamento di una quota di iscrizione di € 15,00 da versare tramite bollettino postale con causale “Poesie per Santo Stefano” sul conto:
Centro Poesia Contemporanea
CARISBO filiale DUE TORRI
Piazza di porta Ravegnana 2/B
IBAN IT 96 D063 8502 5040 7400 0042 19H  


Bologna, dicembre 2009

Premio “I Versi di Dio” 30-01-2010

Il Clan Verdurin, Associazione Culturale di S. Pietro di Feletto (TV) con la collaborazione delComune di Conegliano V°, indice la quarta edizione del Premio di Poesia Religiosa “I Versi di Dio”, la terza edizione del Premio di Poesia , a tema libero, dedicato a “Mario Luzi” e la seconda edizione del Concorso Nazionale di Poesia “San Pietro di Feletto” a tema libero, riservato ai giovani autori (studenti in particolare), dai 14 ai 20 anni.

Bando e regolamento:

Sezione A - 4^ Concorso Nazionale di Poesia Religiosa “I Versi di Dio”
Sezione B - 3^ Concorso Nazionale di Poesia “ Mario Luzi”a tema libero
Sezione C - 2^ Concorso Nazionale di Poesia “San Pietro di Feletto” per giovani autori

Art. 1
Ogni autore può partecipare al primo (A) o al secondo (B) concorso oppure ad entrambi con una o al massimo tre composizioni, precisando la sezione a cui si riferiscono i testi inviati.
Art. 2
Le composizioni, edite o inedite, dovranno essere in lingua italiana o dialetto battute a macchina o computer su fogli A4. Le composizioni in dialetto dovranno essere accompagnate dalla traduzione italiana.
Art. 3
Ogni concorrente dovrà far pervenire entro il 30 gennaio 2010 (farà fede il timbro postale) la o le composizioni, ciascuna in undici copie anonime, con l’indicazione della sezione del o dei concorsi ai quali intende partecipare, contrassegnate in calce da un motto, al seguente indirizzo: Clan Verdurin, Segreteria Concorsi – Via Pianale, 61 – 31020 San Pietro di Feletto – Treviso. Non è prevista alcuna tassa di partecipazione.
La busta dovrà contenere, oltre alla/alle composizioni, una seconda busta sigillata e anonima nella quale sarà inserito un foglio con il motto, il titolo della o delle composizioni, le sezioni dei concorsi, i dati personali, l’’indirizzo, il numero di telefono e l’eventuale mail, una breve nota biografia e la dichiarazione debitamente firmata, qui sotto riportata come esempio.
Art. 4
Al secondo Concorso Nazionale di Poesia “San Pietro di Feletto”, riservato ai giovani autori, possono partecipare individualmente o in gruppo i concorrenti che non abbiano superato la fascia di età compresa tra i 14 e i 20 anni, seguendo le stesse norme previste per le Sezioni A e B. I concorrenti frequentanti Istituti di Istruzione pubblici e privati, dovranno indicare,anche il nome, il grado e la sede della scuola di appartenenza..
Art. 5
Le composizioni inviate non saranno restituite. Le poesie premiate o selezionate potranno essere inserite in un’ eventuale antologia pubblicata a cura del Clan Verdurin oppure utilizzate per letture o manifestazioni culturali coerenti con lo spirito dell’ iniziativa.

La giuria
dei concorsi è composta da Toni Toniato (presidente), Mons. Pietro Coda (teologo), Massimo Donà (filosofo), Mons. Giampiero Moret (direttore de L’ azione), Paolo Ruffilli (poeta), Avv. Vittorino Pavan (Presidente dell’Associazione Jaques Maritain), Marco Roncalli (Storico), Michele Zaggia (filosofo), Lorenzo Morao (storico), Vincenzo Vitiello (filosofo, critico).
Segretario: Dott. Franco Ragonese.
Alla giuria spetta, con giudizio insindacabile. l’assegnazione dei premi e di eventuali riconoscimenti per gli autori delle opere più meritevoli.

Premi e premiazione
Per ciascun concorso verrà assegnato un primo premio consistente per le due distinte sezioni in un’ opera d’ arte all’ uopo realizzata da un noto artista, mentre per la sezione dedicata ai giovani sarà assegnata una borsa di studio.
La cerimonia pubblica di premiazione si terrà ia Conegliano in data e luogo da destinarsi e comunque entro il mese di maggio 2010. La sede e la data della cerimonia di premiazione saranno tempestivamente comunicate a tutti i premiati e ai segnalati nei tre concorsi.

Esempio di dichiarazione da firmare.
Il/la sottoscritto/a……………………. autorizza al trattamento dei propri dati personali ai sensi della disciplina generale di tutela della privacy (L.n.675/1998.D.Lgs. N. 198/2003)

Informazioni

Clan Verdurin – Via Pianale, 61 – 31020 San Pietro di Feletto – Treviso - tel. e fax 0438/784090

Intervista a Paolo Saggese (Antonietta Gnerre)


“Fare del Mediterraneo un luogo di incontro e di dialogo, di amicizia e collaborazione come Rete della Cultura”.

Mi vado sempre più convincendo che esista un sottofondo letterario, comune in molti luoghi del Sud e del Mediterraneo, almeno per ciò che concerne la percezione di alcuni temi che riguardano la poesia. Un Mediterraneo, che Fernand Braudel ha voluto rappresentare come “ un mosaico di tanti colori”, come una miriade di città che si tengono per mano. Ne parliamo con Paolo Saggese, docente, animatore e fondatore insieme a Giuseppe iuliano, del “Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud” di Nusco (AV), e direttore artistico, insieme a Giuseppe Iuliano , del “ Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo”.


Professor Saggese, perché è nato il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud?
Il Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud, che ho fondato con il poeta Giuseppe Iuliano nel 2004, a Nusco, grazie al sostegno degli Amministratori comunali della cittadina altirpina, è nato per salvaguardare la memoria poetica della poesia del Sud, del Sud d’Italia e del mondo. Infatti, a seguito di una scrupolosa analisi delle antologie e delle storie letterarie, avevamo colto un aspetto evidente e che tuttavia sfuggiva a molti, ovvero l’esclusione sistematica della poesia del Sud dalle storie letterarie più accreditate e che sono legate a canoni stereotipati e a nostro avviso non condivisibili. E allora ci siamo detti: occorre un luogo dove conservare queste voci, che altrimenti sono condannate all’oblio, e occorre una équipe di studiosi che analizzi al meglio la poesia del Sud.


Attraverso il “Centro di Documentazione sulla Poesia del sud”, sono nate delle pubblicazioni molto importanti per la storia futura della poesia del Sud?
Certo, la collana “Poeti del Sud”, grazie al sostegno di un editore mecenate come Elio Sellino, e quindi la Mostra e il catalogo “Operai di Sogni. Poeti irpini del Novecento” – grazie al sostegno dell’ Assessore Mainolfi, quindi le raccolte “Quando il terremoto è nell’anima” e “Versi per il Formicoso”. E così si è creato un movimento, in cui Ugo Piscopo, Pasquale Martiniello, Alessandro Di Napoli, Giuseppe Panella, Giuseppe Liuccio, Francesco D’Episcopo, Nicola Prebenna, Franca Molinaro, Salvatore Salvatore, Incoronata Vivolo, Teresa Romei, Antonietta Gnerre, Raffaele Della Fera, Antonella Russoniello, Alfonso Nannariello; Claudia Iandolo, Vincenzo D’Alessio, Emilia Dente, Monia Gaita, sono alcuni dei protagonisti più attivi insieme a me e Giuseppe Iuliano.


Dal Festival della Poesia del Sud, al Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo, la nascita della rivista «Poesia meridiana», come contributo alla realizzazione di un Mediterraneo come “Mare nostrum”. Ci parli di questa grande realtà culturale?

Sì, prima nella versione “Festival della Poesia del Sud … e per il Sud”, dal 2005 al 2008, quindi “Festival della Poesia dei Paesi del Mediterraneo” (le ultime due edizioni), con uno sguardo più ampio rivolto a tutto il Mediterraneo. E quindi la rivista “Poesia meridiana”, edita dall’ottima Delta 3 di Silvio Sallicandro, di cui in questi giorni è stato edito il secondo numero. In tal modo, proponiamo una visione italiana ma anche mediterranea e meridiana della nostra poesia.
L’ultimo numero della rivista, particolarmente corposa, è così strutturato: dopo gli editoriali di Paolo Saggese e Giuseppe Iuliano, seguono i saggi sulla poesia del Sud e del Mediterraneo di Giuseppe Liuccio, Francesco D’Episcopo e Alfonso Nannariello, quindi uno speciale dedicato a Ugo Piscopo con saggi di Stefano Lanuzza, Carlo Di Lieto, Giovanni Airola, Angelo Mundula, Franco Trifuoggi, Aurelio Benevento, Mario Gabriele Giordano, Nicola Prebenna, Antonietta Gnerre, giudizi critici di Antonio La Penna, Giorgio Barberi Squarotti e Giovanni Polara, la sezione Mediterraneo e oltre con studi di Dora Garofalo, Paolo Saggese e Nicola Prebenna, la plaquette “Atlante privato” di Sangiuliano con prefazioni di Gennaro Savarese e Mario Lunetta, le poesie dalle Regioni (Campania: Raffaele Della Fera, Alessandro Di Napoli, Stelvio Di Spigno, Antonietta Gnerre, Teresa Romei; dal Lazio: Giuseppe Napolitano e Paolo Battista; dal Molise: Amerigo Iannacone; dalla Toscana: speciale a cura di Giuseppe Panella sulla poesia toscana del Novecento con un saggio dello studioso e con poesie di Rosalba De Filippis, Leandro Piantini, Mario Sodi, Giuseppe Panella e Liliana Ugolini), le recensioni di Alessandro Di Napoli all’antologia di Maffia e Mezzasalma “È morto il Novecento? Rileggiamo il secolo” e agli “Indici” della rivista “Silarus” curata da Antonio Elefante.



Ma forse la maggiore acquisizioni di questi anni, un momento culminante del suo lavoro è il recente Primo volume della “Storia della Poesia irpina”. Cosa rappresenta per lei questa pubblicazione?
In effetti, l’ultima fatica è il primo volume della Storia della Poesia Irpina (dal primo Novecento ad oggi), Elio Sellino editore, un’opera in dieci tomi, che ha l’obiettivo di illustrare insieme ad un’antologia tutta la produzione poetica irpina dalle origini ad oggi, e che dovrebbe essere completata entro il 2017.
Occorre chiarire da subito, come del resto ho fatto nelle avvertenze al primo volume, che non si tratta di un’operazione provincialistica – è l’accusa cui il Centro di Documentazione ha dovuto rispondere sin dall’inizio della sua costituzione e che oggi, fortunatamente, sempre pochi sollevano. Inoltre, occorre anche rispondere a qualche critico particolarmente sottile, che potrà obiettare “che molte o alcune delle figure qui ritratte non siano poeti, ma semplici ‘dilettanti della scrittura’, che “la nostra intenzione non era quella di fornire ‘patenti’, ma di ricostruire una ‘carta poetica’ dell’Irpinia”.
Poi, tra le tante figure analizzate, alcuni potranno anche guadagnare la ribalta nazionale - cosa che noi speriamo e auspichiamo, ma che non riteniamo l’obiettivo primario del Centro di documentazione, che ha l’obiettivo di archiviare, catalogare, ricostruire, custodire, le forme letterarie e poetiche del Sud d’Italia e del mondo.
L’opera adesso edita va letta, piuttosto, in un’altra chiave, che è quella di essere un manuale agile, criticamente fondato, costruito con rigore, che possa affiancare i manuali scolastici in uso nelle Scuole Medie di Primo e di Secondo Grado, e accompagnare gli studenti nello studio sinottico della letteratura irpina e nazionale. Ad esempio, gli studenti potrebbero analizzare al contempo la produzione dei lirici nuovi e quella dei lirici irpini, oppure dei futuristi che operano a Milano, Roma, Firenze e Napoli e quelli che operano nella nostra provincia, o ancora Scotellaro e Quasimodo insieme ai poeti meridionalisti della nostra “Terra di mezzo”.
E poi, questa storia della poesia rappresenta, a mio avviso, il tentativo di riappropriazione da parte di una provincia del Sud della sua cultura letteraria, troppo spesso letta con atteggiamenti ingiustamente snobistici e ipercritici e non apprezzata nel giusto modo. Ridare dignità a questa produzione significa ridare dignità alla nostra cultura, e significa partire da questa riacquistata dignità per progettare una cultura corale - quella che noi abbiamo indicato come “poesia meridiana” -, una cultura corale che proprio perché corale possa essere di impulso e slancio per altre sfide, per altri obiettivi, per una testimonianza militante, di cui la nostra terra, oggi più che mai, ha bisogno. Forse le Cassandre inascoltate diverranno un giorno oracoli di Delfi, ma sino ad allora molta acqua passerà sotto i ponti.


Antonietta Gnerre


Lucio Zinna sulle “Storie minime”


recensione pubblicata su «arenaria. ragguagli di letteratura» due, ILA PALMA, Palermo, 2009


 

Maria Pina Ciancio, Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro, Rimini, Fara, 2009, pp. 48, € 10,00.

Un dato sociologico di fondo attraversa le poesie di questa densa plaquette di Maria Pina Ciancio: la ripresa dell’emigrazione dai paesi del sud Italia verso quelli del nord peninsulare (in concomitanza dei flussi immigratori che si registrano nel nostro Paese, anche al Sud, e in varie plaghe europee). Storie attuali si correlano ad analoghe storie di ieri. Oggi, le valigie non saranno più di «cartone cotte al sole» e legate con lo spago, come una volta, ma la sostanza non cambia.
L’autrice, nata in Svizzera, di origini lucane e operante a San Severino, in provincia di Potenza, affronta un tema così complesso in maniera eccentrica nei confronti dei tradizionali canoni − realistici e neorealistici − che furono tipici, storicamente, della cosiddetta letteratura dell’emigrazione. Elementi realistici non mancano, ma circola accanto ad essi un che di trasognato, qua e là anche una fugace aura visionaria. L’asse è spostata dall’oggettivismo (quintessenziale nell’estetica realistica) alla dimensione della soggettività e l’andamento è più impressionistico che descrittivo. L’attenzione è concentrata in prevalenza sugli effetti che le partenze determinano nei luoghi e nelle persone da cui ci si allontana. Le “storie” sono rappresentate non tanto nel loro svolgersi come fatti quanto piuttosto nel loro impatto emozionale, nelle risonanze interiori, nei fili che si stabiliscono tra quotidianità e memoria. E ieri e oggi si fondono, in un ‘presente’ a valenza psicologica e, per così dire, globalizzato.
“Storie”, dunque, viste da qui, dall’angolo di visuale di chi, rimanendo, avverte una sempre più delineata e amara percezione dell’assenza, la quale finisce per rivestire di sé uomini e cose e rende mutevole, con le atmosfere, l’aspetto dei paesaggi, perché qualcosa è cambiato dentro, nell’anima. Anche il tempo pare fermarsi: «si arrestano le ore in una smorfia / e il passo della neve si fa lento […] la vita certe volte è ferma / al di là delle finestre chiuse / e il vento lo senti solo dentro / frugare come un clandestino // nelle tasche delle giacche / nei granai, sotto gli archi //dappertutto» (pp. 26-27).
Leit motiv della silloge diventa allora, a contraltare dell’identità, lo spaesamento: che invade chi rimane (in analogia al senso di estraneità di chi ha raggiunto luoghi diversi da quelli familiari) e che rende la vita di chi resta «una guerra senza guerra» (p. 34). Eccone alcuni exempla: «Al taglio della luce lo spaesamento / ci prende, nella gola e negli occhi. / Le mani strette l’una all’altra, / come quando i padri o i figli all’improvviso se ne vanno» (p. 30); «Una lotta su due fronti è la nostra / con il quotidiano e con la storia / uno spaesamento/ senza tempo // del cuore e delle mani// vuoto cadenzato di fiato e corpo» (p. 32).
E a mano a mano che si allarga il raggio d’azione, tutto va assumendo dimensione metaforica di una condizione più vasta, al di là del fenomenico e del contingente. La ricerca, vale a dire, di possibili consistenze, nella morsura avvertita dall’essere umano, quando gli occorra di percepirsi (e nessuno può dire di esserne rimasto completamente immune) déraciné nel proprio iter esistenziale, nell’avventura stessa dell’uomo nel mondo.
Di tale dimensione possono essere indicatori, fra l’altro, i versi di Rocco Scotellaro che la Ciancio pone in esergo al toccante testo conclusivo della raccolta, dedicato al poeta lucano morto trentenne, che fu commosso e vibrante cantore del mondo di umili verghiani e di spaesati nella loro terra e fuori di essa: «Io sono un filo d’erba / Un filo d’erba che trema / E la mia patria è dove l’erba trema», scrisse il poeta di Tricarico.
«Versi imperfetti» chiama la poetessa i suoi, di questa raccolta, dei quali vanno apprezzati invece il tono pacato e incisivo e l’essenzialità. Sono “imperfetti” tanto quanto sono “minime” − vale a dire solo in apparenza − le “storie” alle quali si accenna nel titolo. Un’imperfezione simbolica, come se i versi ambissero a farsi carico, esteticamente, delle incongruenze di un mondo che non riesce a camminare in maniera più lineare e più giusta.
Lucio Zinna, agosto 2009

(Articolo apparso su ARENARIA – Ragguagli di letteratura moderna e contemporanea 3 - novembre 2009)

mercoledì 2 dicembre 2009

Adernò vince Ossi di Seppia

PREMIO OSSI DI SEPPIA 2009
Arma di Taggia, 6 dicembre 2009
Diritto a pubblicazione antologica gratuita, come previsto da Bando di Concorso.

4° classificato
MASSIMILIANO LANCEROTTO (Udine: 1969)
Con Massimiliano Lancerotto siamo di fronte a un poeta animato da un profondo, sincero e per questo affratellante risentimento morale. L’ironia che detta il tono così riconoscibilmente agro-dolce delle poesie di Lancerotto è il “motore immobile” di un confronto con una realtà sempre di nuovo da accettare, da riconquistare.


3° classificato
LORENZO DI STEFANO (Termoli – Campobasso: 1989)
Lorenzo Di Stefano scommette su una poesia scarna, affilata, giocata tutta sul versante “essenzialista” della parola. I suoi sono versi brevi, che non concedono nulla all’effusività del discorso, concentrati come sono sulla forza evocativa della parola in sé, sul suo valore fondativo. Memore del lascito post-ermetico, Di Stefano si muove con abilità in uno spazio sospeso fra storia e (auto)biografia, dando prova di acutezza di sguardo e sentimento.


2° classificato
MAURIZIO BENEDETTI (Berna – Svizzera: 1968)
La levità e la leggerezza dei versi di Maurizio Benedetti riescono spesso nel piccolo incanto di trasportare il lettore in un mondo altro, surreale quanto può esserlo la realtà di tutti noi quand’è sollevata di un semitono… Convincente sul piano della tenuta stilistica e della pregnanza metaforica, godibile sotto il profilo dell’immediatezza comunicativa, la poesia di Benedetti torna a ricordarci di come al gesto del fare-poesia possa, o forse, anzi, debba accompagnarsi l’allegria della mente.


1° classificato
SEBASTIANO ADERNO’ (Avola – Siracusa: 1978)
Un singolare, tutt’altro che banale intreccio fra “astrattive” geometrie della mente, precisione nominalistica e religione degli affetti genera il fascino della poesia di Sebastiano Adernò. Poesia difficile, la sua, di precari equilibri sintattico-lessicali, eppure attraversata da capo a fondo da una grazia comunicativa che corrisponde a un’intenzione morale. Con Adernò, ci troviamo di fronte a un poeta autentico, dal quale è lecito attendersi esiti di sicura eccellenza.
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Sebastiano Adernò

نفس الدم
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martedì 1 dicembre 2009

Su Io, Lei e la Romagna di Guido Passini

recensione di Matteo Fantuzzi pubblicata su La Voce di Romagna del 30-11-09
scheda del libro qui


Premio di Poesia “L’Olocausto” 15-1-10

In occasione della Giornata della Memoria a ricordo della shoah, il comune di Coreno Ausonio (Frosinone) bandisce il primo Concorso Nazionale di poesia inedita avente per tema l’olocausto, fermo restando il detto vincolo i partecipanti potranno esprimersi in modo libero e personale.

Regolamento: I partecipanti dovranno inviare in busta chiusa una sola poesia su carta e, possibilmente, anche su dischetto in formato Word al seguente indirizzo: Comune di Coreno Ausonio - Assessorato alla Cultura - Concorso Nazionale di Poesia, Piazza Umberto I, 1 - 03040 Coreno Ausonio (FR). Le poesie, corredate dalla scheda d'iscrizione compilata in ogni sua parte, dovranno pervenire entro il 15 gennaio 2010.

Non è prevista alcuna tassa di lettura. La giuria, il cui giudizio è insindacabile, sarà presieduta da Tommaso Lisi.

La premiazione, che prevede la presenza obbligatoria dei vincitori, avverrà il 4 febbraio 2010 nella sala polivalente del Comune di Coreno Ausonio, in occasione della celebrazione della Giornata della Memoria. Al vincitore sarà assegnato il premio di € 300, al secondo classificato € 200 e al terzo € 100.

Le poesie dei vincitori, insieme a tutte quelle che saranno ritenute valide, saranno inserite in un’antologia che verrà presentata in concomitanza con la premiazione e la celebrazione della Giornata della Memoria.

Su Fiori di vetro di Antonietta Gnerre

di Bonifacio Vincenzi

Voglio partire citandovi un verso di un’antica poesia Zen. Recita così: “Gli alberi mostrano la forma corporea del vento.”
Come a voler dire che senza gli alberi non potremmo vedere la forma del vento. E che senza una continua contrapposizione di opposti non avremmo una forma dinamica della vita.
Dice Hui-Neng, maestro Zen: “Ad ogni domanda che ti si pone rispondi nei termini del suo opposto.”
Così il suono e il silenzio, il buio e la luce, l’amore e l’odio, la figura e lo sfondo ti accorgerai che sono inseparabili.
E la poesia cos’ha la capacità di dimostrare?
Bisognerebbe chiederselo perché come  gli alberi mostrano la forma corporea del vento, così ogni verso ci riporta al suo autore, a tutto ciò che lui è, a tutto ciò che avrebbe voluto essere, a tutto ciò che forse sarà domani.
Un libro ci regala sempre la vicinanza di una vita.
Questa sera in effetti noi non faremo altro che avvicinarci  ad una donna che prima non conoscevamo ma che ora attraverso i suoi versi ci racconta un po’ di sé e nel miracolo che solo la poesia sa enunciare, ci aiuterà a sostare sulle nostre emozioni e sui nostri ricordi, attraverso le sue emozioni e i suoi ricordi.
Antonietta Gnerre, quindi. E i suoi Fiori di vetro.

Ed il vetro mi fa ricordare il grande scrittore francese Edmond Jabès in quella bella immagine dove  l’intero universo  appare di vetro e dove, a suo avviso,  il nostro cammino nella vita è disseminato di schegge che la luce riveste di mille colori riflessi.
Ma diamo per un momento voce  agli ultimi versi della poesia che apre la raccolta. Leggiamo:

Tutto prende forma
nelle mie pupille
d’invenzione Il tempo
è una certezza
nell’immagine che resta
il sogno si alimenta
dal cuore e bussa
sui portoni notturni
delle scale

Il punto di partenza  è dato  da questo abbandonarsi a una dimensione onirica che ha la sua polla direttamente dal cuore e da cui scaturisce il vedere, appunto, attraverso occhi che sfiorano l’essenza della vita.
E poi, da qui lo scarto, il partire per seguire, sul bianco della pagina, la parola che placa il senso del digiuno con il cibo dei ricordi e che dà  nuova luce ai colori della memoria.
Più si va avanti nella lettura di questa raccolta di poesia di Antonietta Gnerre, più la parola poetica pare ispessirsi, riempirsi di una consistenza magica che ne evidenzia  in altri occhi la varietà del senso.
Le immagini poetiche formano un piano-sequenza in cui la scelta perfetta di tempi che si snodano intorno al movimento dello sguardo di chi legge, riaprono prospettive nuove cariche di significati, sollecitano stupore e spesse volte struggente condivisione.
Il mondo poetico della Gnerre è  a volte di vetro ma questo non deve far pensare alla freddezza che discrimina il calore. Tutt’altro. Il vetro qui protegge ricordi ed emozioni, accoglie il perduto per consegnarlo ad un’eternità, come direbbe Blanchot, passeggera.
E ancora il viaggio continua  nelle parole in cui si annidano le sensazioni, i ricordi e la precarietà del dover esistere nonostante tutto.
Esser poeta allora è come una liberazione, è come ripristinare i piani dell’esistenza in una dimensione da cui si guarda la vita senza l’angoscia della resistenza  sollecitata dalla furia degli eventi.
Leggiamo la poesia a pag. 43:

Nell’acqua con i fogli
scrivo la parola vagabonda
quella che domina sabbia
oscurità In basso i sogni
scuotono l’orlo delle onde
conservando le orme delle barche
Viaggio nell’elemosina dei desideri
tra i remi che si consumano
nella rotta marina

I remi si consumano certo, come le mostre scarpe  e questo ci fa ricordare che il tempo passa inesorabile e quello che salvi alla fine è solo quello che affidi alla poesia.
Un buon poeta sa che deve saper mettere una parola accorta che evidenzi la visibilità splendente di ciò che ha irrimediabilmente perso. Leggiamo a pag. 56:

Arriva dalla sabbia
la parola che soccorre
il nudo foglio Vive
con l’inchiostro marino
immortali danze di ricordi
dolori pulciosi sulle ore leggere
dell’orizzonte Si nasconde
in liquide qualità di sensazioni


scorticate dal fogliame
da sola la poesia accoglierà
gli occhi affilati della vita
il grano alto delle critiche

Va notato, inoltre,  che nella poesia della Gnerre  c’è spesso la presenza dell’acqua.
L’acqua che scorre imprendibile tra i ciottoli, che viene dall’ignoto e va verso l’ignoto e che appartiene allo scorrere della vita e della natura.
Il ritmo del suo fluire è significativo.
Forse la Gnerre, alla fine, come i maestri Zen, è convinta  che nell’universo  non ci sia nulla di cui impossessarsi, nulla che valga la pena di catturare, eccetto il ritmo del fluire che pure ha le sue regole ma la cui transitorietà è oppressiva solo per chi cerca di bloccarla e non certo per chi sceglie di scorrere con essa.
La poesia a pag.  50 sottolinea tutto ciò in modo chiaro:

Tra i ricordi difficili
creo un nome lo attendo
sulle case abitate
dalle cicale
senza promesse
di giorno in giorno
nella sua memoria
per sempre m’inebrio.


Il mio breve viaggio nella poesia di Antonietta Gnerre  si ferma qui.
Ci saranno altre occasioni per approfondire ulteriormente la sua opera perché di questa poetessa sicuramente sentiremo parlare spesso perché ha molto da dire e molto da farci condividere.