martedì 1 dicembre 2009

Su Fiori di vetro di Antonietta Gnerre

di Bonifacio Vincenzi

Voglio partire citandovi un verso di un’antica poesia Zen. Recita così: “Gli alberi mostrano la forma corporea del vento.”
Come a voler dire che senza gli alberi non potremmo vedere la forma del vento. E che senza una continua contrapposizione di opposti non avremmo una forma dinamica della vita.
Dice Hui-Neng, maestro Zen: “Ad ogni domanda che ti si pone rispondi nei termini del suo opposto.”
Così il suono e il silenzio, il buio e la luce, l’amore e l’odio, la figura e lo sfondo ti accorgerai che sono inseparabili.
E la poesia cos’ha la capacità di dimostrare?
Bisognerebbe chiederselo perché come  gli alberi mostrano la forma corporea del vento, così ogni verso ci riporta al suo autore, a tutto ciò che lui è, a tutto ciò che avrebbe voluto essere, a tutto ciò che forse sarà domani.
Un libro ci regala sempre la vicinanza di una vita.
Questa sera in effetti noi non faremo altro che avvicinarci  ad una donna che prima non conoscevamo ma che ora attraverso i suoi versi ci racconta un po’ di sé e nel miracolo che solo la poesia sa enunciare, ci aiuterà a sostare sulle nostre emozioni e sui nostri ricordi, attraverso le sue emozioni e i suoi ricordi.
Antonietta Gnerre, quindi. E i suoi Fiori di vetro.

Ed il vetro mi fa ricordare il grande scrittore francese Edmond Jabès in quella bella immagine dove  l’intero universo  appare di vetro e dove, a suo avviso,  il nostro cammino nella vita è disseminato di schegge che la luce riveste di mille colori riflessi.
Ma diamo per un momento voce  agli ultimi versi della poesia che apre la raccolta. Leggiamo:

Tutto prende forma
nelle mie pupille
d’invenzione Il tempo
è una certezza
nell’immagine che resta
il sogno si alimenta
dal cuore e bussa
sui portoni notturni
delle scale

Il punto di partenza  è dato  da questo abbandonarsi a una dimensione onirica che ha la sua polla direttamente dal cuore e da cui scaturisce il vedere, appunto, attraverso occhi che sfiorano l’essenza della vita.
E poi, da qui lo scarto, il partire per seguire, sul bianco della pagina, la parola che placa il senso del digiuno con il cibo dei ricordi e che dà  nuova luce ai colori della memoria.
Più si va avanti nella lettura di questa raccolta di poesia di Antonietta Gnerre, più la parola poetica pare ispessirsi, riempirsi di una consistenza magica che ne evidenzia  in altri occhi la varietà del senso.
Le immagini poetiche formano un piano-sequenza in cui la scelta perfetta di tempi che si snodano intorno al movimento dello sguardo di chi legge, riaprono prospettive nuove cariche di significati, sollecitano stupore e spesse volte struggente condivisione.
Il mondo poetico della Gnerre è  a volte di vetro ma questo non deve far pensare alla freddezza che discrimina il calore. Tutt’altro. Il vetro qui protegge ricordi ed emozioni, accoglie il perduto per consegnarlo ad un’eternità, come direbbe Blanchot, passeggera.
E ancora il viaggio continua  nelle parole in cui si annidano le sensazioni, i ricordi e la precarietà del dover esistere nonostante tutto.
Esser poeta allora è come una liberazione, è come ripristinare i piani dell’esistenza in una dimensione da cui si guarda la vita senza l’angoscia della resistenza  sollecitata dalla furia degli eventi.
Leggiamo la poesia a pag. 43:

Nell’acqua con i fogli
scrivo la parola vagabonda
quella che domina sabbia
oscurità In basso i sogni
scuotono l’orlo delle onde
conservando le orme delle barche
Viaggio nell’elemosina dei desideri
tra i remi che si consumano
nella rotta marina

I remi si consumano certo, come le mostre scarpe  e questo ci fa ricordare che il tempo passa inesorabile e quello che salvi alla fine è solo quello che affidi alla poesia.
Un buon poeta sa che deve saper mettere una parola accorta che evidenzi la visibilità splendente di ciò che ha irrimediabilmente perso. Leggiamo a pag. 56:

Arriva dalla sabbia
la parola che soccorre
il nudo foglio Vive
con l’inchiostro marino
immortali danze di ricordi
dolori pulciosi sulle ore leggere
dell’orizzonte Si nasconde
in liquide qualità di sensazioni


scorticate dal fogliame
da sola la poesia accoglierà
gli occhi affilati della vita
il grano alto delle critiche

Va notato, inoltre,  che nella poesia della Gnerre  c’è spesso la presenza dell’acqua.
L’acqua che scorre imprendibile tra i ciottoli, che viene dall’ignoto e va verso l’ignoto e che appartiene allo scorrere della vita e della natura.
Il ritmo del suo fluire è significativo.
Forse la Gnerre, alla fine, come i maestri Zen, è convinta  che nell’universo  non ci sia nulla di cui impossessarsi, nulla che valga la pena di catturare, eccetto il ritmo del fluire che pure ha le sue regole ma la cui transitorietà è oppressiva solo per chi cerca di bloccarla e non certo per chi sceglie di scorrere con essa.
La poesia a pag.  50 sottolinea tutto ciò in modo chiaro:

Tra i ricordi difficili
creo un nome lo attendo
sulle case abitate
dalle cicale
senza promesse
di giorno in giorno
nella sua memoria
per sempre m’inebrio.


Il mio breve viaggio nella poesia di Antonietta Gnerre  si ferma qui.
Ci saranno altre occasioni per approfondire ulteriormente la sua opera perché di questa poetessa sicuramente sentiremo parlare spesso perché ha molto da dire e molto da farci condividere.




2 commenti:

roberto cogo ha detto...

ottime considerazioni per un'ottima poesia che sa cogliere, mi pare l'elemento naturale nella sua profondità - transuente,imprendibile, precario,fluido, eppure palpabile, concreto, vivo. un saluto
roberto cogo

Maurizio Spagna ha detto...

VETRO AL FINE su di un piano0

…vuoi la tua vita dentro una tazza di vetro?
Tanto queste pareti di vetro hanno orecchi…
Perle di poesia colata-

Sequestrate
Sequestratevi
Al fine
Di essere trasparenti come il vetro
E nelle case
Non siate investigatori ciechi
Infranti in una bolla di vetro e della timidezza

Al fine
Gli usci sono remoti
E tutto ciò che oggi è vivo
È vetro
Contenitore di cellule e pensieri

Feci al fine
Facce in croce controluce
Inchiodate nell’incapacità di chiedere scusa
E i sospetti dove li lasciamo?
I sospetti dell’uomo già

Non fuggire da te stesso se sogni di volare come Icaro
Ed esci dal tuo corpo se una donna sovrasta l’uomo che non è più uomo
Ma ora è piuma
Che si corica sul fondo di un vetro
Così fuori tema e sfigurato

Gli infetti mentali
Cambiano nome e cognome spesso
Ma quel ciao di mamma
È l’aura di cristallo della tua giovinezza
Affini al raduno
Di anime non del tutto perdute
Ma escluse dagli orrori
Di chi conduce quel gioco di inganno tagliente

Lo scopo?
Lo scopo dell’uomo è al fissar del lago
Al fine del tempo concesso
Al fine di trovare la sua foglia morta che aspira al cielo
Quella immagine senza peso e complessi
E il suo colore…
Di ghiaccio caldo
Come parole che impegnino un Mondo pieno di orecchi di vetro.


©2011
MS,
Maurizio Spagna
e il giro del mondo poetico-
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info@ilrotoversi.com
L’ideatore creativo,
paroliere, scrittore e poeta al leggìo-