Edizioni del Centro Studi Eupliani, Trevico, 2009
L’11 novembre 2009 è stato celebrata la memoria della nascita del poeta irpino Pietro Paolo PARZANESE. Non sono tanti i lettori che lo conoscono. Chi lo conosce lo ama svisceratamente per essere l’antesignano campano della lotta culturale contro il potere politico. Cosa rilevante è che la sua lezione, seguendo le direttive vichiane della Scienza Nuova, ritorna oggi prepotente e collabora ad animare la rivolta culturale in atto verso il potere costituito.
Del PARZANESE si sono interessati, nel corso dei loro studi critici, autori come Benedetto CROCE, Francesco FLORA, Francesco De SANCTIS, Luigi BALDACCI e altri. Pochi di questi hanno saputo dare veramente corpo e forza al messaggio cristiano/rivoluzionario del Nostro. Nelle sue molteplici opere, quasi tutte pubblicate dopo la sua morte, è viva e palpitante la dignità di una intera geografia territoriale: la Campania, che Egli conosceva per i suoi viaggi e l’esercizio sacerdotale che svolgeva con prediche appassionate e comprensibili alla gente comune di allora.
Una grandezza di studi che mai sommergeva l’affabilità dell’uomo e del sacerdote. Una grandezza d’animo che gli permetteva di comunicare con gli umili alla maniera del Cristo: con parabole. Trovo riscontro a questa diversità nel libro IV della Storia della civiltà letteraria italiana diretta dal chiarissimo professore Giorgio BARBERI SQUAROTTI, UTET, 1992, dove Folco PORTINARI scrive testualmente: «È probabile che la voce solista più identificabile tra le voci del coro dei “minori” sia quella di Pietro Paolo PARZANESE, il sacerdote di Ariano Irpino, morto ad appena quarantatré anni nel 1852. Un “poeta del villaggio”, secondo desanctisiana dizione, eppure ricco di promesse, aperture intravedibili, suggerimenti innovativi.”
E l’opera di maggior rilievo, citata da quest’ultimo, sono I canti del Viggianese. Quest’opera è l’allegoria perfetta del cantore (similitudine dello stesso PARZANESE) che parte da un luogo e gira libero su interi territori portando il suo canto di Libertà, di Speranza per i poveri, gli orfani, gli emarginati, in uno Stato borbonico dove di Libertà non si doveva né poteva pensare. Viggiano è in provincia di Potenza; emblematicamente però assume l’identità del luogo degli uomini liberi, che vivono con l’arpa a tracolla, non solo per procacciarsi il necessario ma per alleviare, acculturare, insegnare un nuovo linguaggio alla gente dei luoghi dove si portavano.
Della veridicità di quanto affermo trovo conferma nell’autorevole voce di Vittorio SPINAZZOLA, che nel volume VII del libro L’Ottocento, Garzanti,1969, assegna al Nostro poeta l’identità di una lingua nuova ed autentica per quegli inizi del XIX secolo. Una lingua rivoluzionaria che si avvaleva dei canoni del Romanticismo per sfociare nelle innovazioni civili ed etiche contro le canaglie che affamavano il popolo e lo rendevano sofferente nella vita quotidiana. Questi insegnamenti sono oggi, più di allora, vivi e fulminanti nel territorio campano. Oggi come allora dalla cultura e dal clero si aspettano testimonianze di Verità e di Lotta contro lo strapotere della Mafia e della Politica, in una regione-stato lontana dal progresso morale e civile desiderato dal PARZANESE. Stupende sono in tale senso le parole dello stesso Autore: “Va, buona gente, va a compiere la tua giornata, ed i duri travagli della vita tollera con rassegnazione; poiché mangi il tuo pane senza vergogna e senza rimorso: a te il Signore diede giorni di fatica, ed ai ricchi la noia e le passioni divoranti del cuore. Chi stia peggio lo sa Dio!” (da Un viaggio dieci giorni, Ediz. La Ginestra, 1996).
Si dovrebbe dire ancora tanto della bella vita di un giovane Poeta morto per gli affanni che la polizia borbonica gli procurava continuamente, anche nell’esercizio del suo sacerdozio. Una vita terrena, quella del Nostro, spesa per il Cielo. Un’esistenza vissuta con intensità, orgoglio sincero, maturità, nell’esempio del Cristo della rivoluzione sociale: beati i poveri!
Chi poteva raccogliere una eredità tanto pesante se non un altro sacerdote? In questo ventunesimo secolo appena agli inizi, durante il quale nessuna guerra si è spenta nel nostro pianeta, anzi se ne annunciano altre per la sopravvivenza: l’immigrazione, il clima, l’acqua per tutti, la fame e le malattie, l’insofferenza tra le culture e le religioni, lo sfruttamento senza pietà, il diodenaro che divora l’anima di troppi. L’eredità è stata raccolta da un altro sacerdote, don Michele COGLIANI, di una cittadina perduta sulle sommità appenniniche. Un sacerdote, per il sacerdote PARZANESE.
Per l’amore portato alla missione civicomorale del PARZANESE, don COGLIANI si è fatto carico di pubblicare, per tutti coloro che desiderano leggere di Libertà e metterla in pratica, due pratici volumi sulle opere del Nostro poeta, munendo le stesse di tutti i dettagli tecnici e critici tali da far riemergere nella memoria collettiva, attuale, la figura poliedrica e vivificante del grande Autore irpino. Irpino per nascita ma che appartiene all’ Umanità e alla Storia Letteraria Nazionale.
Novembre, 2009
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