martedì 31 marzo 2009

Sul Rosaio d'inverno di Roberta Borsani


recensione di Vincenzo D'Alessio

“noi piantammo un rosaio / che negli anni a seguire / ci diede molti figli “(pag .40). Vorrei iniziare da questi versi, tratti dalla poesia eponima, l’analisi della raccolta della poetessa Roberta Borsani Il rosaio d’inverno. Raccolta d’esordio. A noi sembra, invece, una lunga fiaba orale finalmente fermata sulla carta, non senza fatica. Cinque sottotitoli. La prima parte della raccolta resta la chiave di lettura dell’intera esistenza della poetessa. Un’esistenza volutamente rappresentata come mitica, altalenante tra sogno e mitologia, vicinissima all’idea di Surrealismo descritta da André Breton e Massimo Bontempelli.
In tutta la raccolta sono chiare le contaminazioni poetiche con il Novecento italiano, ad iniziare da E. Montale della raccolta Ossi di seppia, per finire a Ungaretti da I ricordi: scrive la Nostra: “si è sfatta / la trama dei giorni / ciò che stagna / ha forza immensa / regna la biscia/ (pag. 14) – nella poesia “si sono rotte le acque dell’origine”: “l’erba non fa rumore la pietra sogna / passa un ciclope enorme / come una nube” (pag. 17). Tante ancora le voci che si fermano ad animare i versi belli e sofferti della raccolta.
C’è una filosofia antica. È il filo rosso che lega la memoria bambina al desiderio di vivere per sempre una Storia che ci allontani dalla malvagità degli esseri umani e si avvicini di più, si ritrovi, nella Natura madre che forma ogni essere vivente e lo traduce in multiformi emblemi: floreali, animali, d’atmosfere dense di musica che non conoscono altro pentagramma se non quello della pura fantasia. C’è da smarrirsi nella “notte “ – tempo indefinito – che apre la poesia che dà il titolo alla raccolta.
Versi che sono maturati nel tempo, nella sicurezza di un'esistenza donata al racconto da trasmettere agli altri: “io vivo dove / non nasce un fiordaliso da anni” (pag. 33). Questo fiore è degno del suo fusto eretto e dei suoi fiori azzurri: dignità nel portamento e divinità del sogno. Senza la fantasia questa raccolta non sarebbe stata concepita: “Io vivo dove gli angeli / non guardano da tempo” (pag. 33). Noi siamo convinti che gli spunti di lettura che scaturiscono da questo primo tempo di approdo ad un porto scoperto dei versi della Borsani sono parte di quella terra che emerge dal sonno dell’inverno. I frutti non tarderanno e saranno copiosi tanto da farsi desiderare. Noi aspetteremo come l’autrice stessa ha scritto: “io e te / silenziosi e consci / stranamente vivi” (pag. 75).

marzo 2009

Nessun commento: