giovedì 29 ottobre 2009

2 poeti marchigiani a Siviglia

Stefano Sanchini e Loris Ferri hanno realizzato con degli amici un video poetico per partecipare ad un festival di poesia a Siviglia organizzato dalla rivista «Chilango Andaluz», al quale sono stati invitati.
Il video è supportato dalle fotografie di Alberto Giuliani, incisioni di Paolo Fraternali musiche di Mario Mariani.
Reading Venerdi 30 ottobre, in italiano per il ritmo e le amusica del verso nella lingua originale, nel video didascalie dei versi tradotti in spagnolo.
Qui sotto allegato l'articolo uscito oggi sul «Messaggero».


Rossani presenta Cavalli a Milano 12 nov



Giovedì 12 novembre 2009, alle ore 18.30
nella Libreria eQuilibri di Milano (via Farneti  11)
OTTAVIO ROSSANI
presenta il volume
Libro Grosso
(Aragno, 2009)
di
ENNIO CAVALLI
vincitore del Premio Viareggio 2009 per la poesia
*
L’attrice TIZIANA BAGATELLA leggerà alcuni testi
*
Sarà presente l’autore
****
 Parola
Ogni parola è una carezza al buio,
un aliscafo
su un mare di righe scosse.
Un capretto legato a un nocciolo.
Un maccherone al dente
e la sua trafila di bronzo.

Ogni parola è una poltrona a teatro,
la tentazione del commediante.
Il rito zingaro della capanna
una pelle conciata
l’arsura di una bottiglia.
Dritta come i pali della luce
verde come l’onda dei semafori
secchio nel pozzo, spilla da balia,
ogni parola risponde a un’altra parola.
Sguscia fagioli e motti,
fa strage di orchi, di abbagli.
Alza la voce in quartieri e quaderni,
patto segreto per non passare alle mani.
                           Ennio Cavalli



Vincitori del Premio Gozzano 2009


Con la raccolta Il rosaio d'inverno Roberta Borsani si classifica terza al decimo Concorso nazionale di Poesia e Narrativa Guido Gozzano, in Terzo. Complimenti a Roberta e a tutti i vincitori, in particolare alla prima classificata, Alessandra Conte, e a Francesco Tomada (presenti anche in una nostra antologia, Dall'Adige all'Isonzo. Poeti a Nord-Est), nonché a Matteo Zattoni che è stato nostro giurato!

La cerimonia di premiazione il 7 novembre

NOTIZIARIO DI PENNA D'AUTORE 2009 - Numero 21

Premio Letterario Internazionale
TROFEO PENNA D'AUTORE
SCADENZA: 30-11-2009
Il concorso, giunto alla sua sedicesima edizione, sta già riscuotendo ampi consensi sia in Italia che all'estero, non solo per il suo ricco montepremi, ma anche per le molteplici attività collegate. In primis spicca l'opera benefica che da sempre ci contraddistingue dagli altri premi letterari e che ci porta a dare una mano a chi sta peggio di noi. Grazie al vostro prezioso aiuto riusciamo a fornire alcuni piccoli ma importanti AIUTI UMANITARI a quelle Associazioni che si adoperano in favore delle classi più deboli e che investono il loro tempo per i poveri, per i malati, per gli anziani. In relazione a questa iniziativa abbiamo deciso di modificare l'art. 11 del regolamento con la clausola di donare, a fine concorso, una  copia dei libri partecipanti alla Conferenza della San Vincenzo de' Paoli di Torino che li farà girare nelle case degli ammalati e negli ospedali. Restando in tema di libri regaleremo ai finalisti delle cinque sezioni le migliori copie dei volumi che hanno concorso a questa edizione. I titoli dei libri verranno pubblicati come sempre nella Biblioteca di Penna d'Autore. Un'altra importante iniziativa sarà quella di creare un'edizione antologica del concorso contenente le prime 10 opere classificate delle sezioni C - D - E; in questa stessa pubblicazione verrà dato ampio risalto ai migliori volumi che hanno concorso nelle sezioni libri. Sarà una vera e propria Rivista/Libro e la sua veste grafica godrà di una dimensione più ampia per contenere al meglio le tante novità letterarie di largo interesse.
Per partecipare al nostro concorso, ricordiamo che gli autori di poesia, narrativa e saggistica possono inviare le loro opere entro e non oltre il 30-11-2009. Per maggiori informazioni siete invitati a prendere visione del REGOLAMENTO.

La Voce del Poeta
OFFERTA EDITORIALE VALIDA FINO AL 31-12-2009
Come da precedente comunicato l'A.L.I. Penna d'Autore propone l'ascolto di alcune poesie tratte da questa nuova collana, recitate dall'équipe dei nostri dicitori. Abbiamo già collocato nell'ARCHIVIO le composizioni di Giuseppina Ranalli, Enzo Di Ganci, Claudia Notargiacomo, Giorgio Milanese e Ivonne Maestroni, e ora proponiamo all'ascolto degli amici che fanno parte di questa mailing list due belle liriche tratte dagli album personali di Angela Aprile e Lucillo Dolcetto, recitate rispettivamente da Laura Rossi e Giorgio Perno. Nei prossimi Notiziari continueremo a dare spazio alle sillogi di quei poeti che hanno creato il loro Album di Poesie personale, anche perché ci sembra giusto divulgare le opere dei nostri poeti ad un pubblico che ha già dimostrato grande interesse per questa iniziativa.
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Il Poeta che desidera confezionare un proprio «Album di Poesie» deve inviare una raccolta di 20 liriche all'indirizzo di posta elettronica ali@pennadautore.it, o per posta in forma cartacea all'A.L.I. Penna d'Autore - Casella Postale, 2242 - 10151 Torino.
Le poesie verranno recitate dall'équipe di dicitori di Penna d'Autore. Su esplicita richiesta le poesie possono essere recitate dallo stesso Autore.
Il costo per ricevere 10 Album di Poesie è di 190,00 euro.
I Poeti interessati sono invitati a leggere le MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE.


Offerta editoriale per Poeti e Scrittori Emergenti
Al fine di andare incontro alle numerose richieste di pubblicazione da parte di Poeti e Scrittori Emergenti, Penna d'Autore mantiene valida questa offerta con lo scopo di realizzare eleganti edizioni con prezzi contenuti. Le caratteristiche sono descritte nell'apposita pagina del nostro sito, con la possibilità di scegliere tra la versione con la rilegatura a punti e quella con la rilegatura in brossura. Le opere pubblicate nella Collana di Penna d'Autore sono presentate nella Vetrina dei Libri, che dà la possibilità a tutti coloro che navigano in Internet di poter leggere le prime pagine e, se interessati all'acquisto, richiedere una o più copie del libro senza che noi dell'organizzazione ci prendiamo alcun utile. Il nostro catalogo si è ultimamente arricchito con le seguenti opere: «La luce sulla strada» (poesie di M.C. Irene Boldrini), «Occhi di cielo» (poesie di Lucia Bucci), «Zenit» (poesie di Antonio Basile), «Il viaggio del brutto anatroccolo» (racconti di Maria Letizia Filomeno), «Il Padre» (romanzo breve di Sonia Faggian).

WEEK END LETTERARIO A TORINO
Informiamo che nel mese di maggio 2010 Penna d'Autore organizzerà il suo quarto week end letterario in concomitanza con l'appuntamento internazionale della Fiera del Libro. In quegli stessi giorni la Città di Torino ospiterà un altro grande evento: l'Ostensione della Sacra Sindone. Trattandosi di un evento eccezionale prevediamo che gli alberghi del capoluogo piemontese saranno letteralmente presi d'assalto, per cui invitiamo tutti coloro che fossero interessati a prendere parte all'iniziativa di prenotarsi quanto prima. L'evento sarà inserito nel pacchetto riservato ai turisti di Penna d'Autore. I costi varieranno dai 300 ai 350 euro. 

          

Il cerchio di pietre di Burgazzi a Milano 4 nov


letture da Legenda





Su Il paradiso degli esuli di Gabriella Bianchi


recensione di Narda Fattori

“Il cielo è altrove / perso in lontananze abissali / disperse negli atlanti. / Cerco parole inutili / per misurare l’assurdo.”: così si chiude la prima poesia di questa raccolta della Bianchi e, immediatamente siamo proiettati in un mondo che ha perduto un suo originario significato e un suo chiaro percorso; si sta casualmente a ferirsi gli occhi, l’intelligenza e il cuore, su questa crosta che è il solo nostro destino e respiriamo caligini. Dio è lontano, forse è una fiaba, neppure più i bambini Lo pensano Padre amoroso. Ma pur con questa consapevolezza, la poetessa non cessa di invocarLo perché il cielo non si stanchi di piangere sulle malefatte dell’uomo che hanno trasformato i sogni di una bambina in putredini tossiche.
Non esistono luoghi di salvezza, l’Eden è definitivamente perduto, eppure a volte si è toccati dalla Grazia: un’erba luccicante di rugiada, una stella che nella notte sembra splenda solo per te, schegge di felicità trattenute come il più prezioso dei tesori e che di fa implorare: “Ricordati di me, dio dell’amore”. Ma il raziocinio ci ruba i sogni e la poesia che ci visita, rendendo più chiara la visione, trasforma la felicità in angoscia. La poesia è male e medicina, o forse né l’una né l’altra, è un bisogno che ulcera l’anima ma la disseta. Attraverso la poesia si compie un atto sacrale, una liturgia creativa, come afferma Gabriella; è un atto umile in grado di sollevare dalle piaghe di un’esistenza che alberga in terreni di nefandezze; ma non basta a volte “non c’è ventre di balena / per chi cammina nella cenere. / … / A volte la speranza / è solo una piuma insanguinata.”
Credo che questi frammenti rendano ragione del titolo della raccolta: il paradiso è esattamente il suo contrario, e gli uomini da esso sono allontanati, dal paradiso vero, e come esuli, portano come trafitture il desiderio di tornare che rende spesso insopportabile lo stare in un qui ed ora feroce, povero di pietà, dimentico della fratellanza. La poesia della Bianchi posa spesso il suo sguardo sulle fatiche ma anche sulle felicità di ogni giorno; dice di luoghi eternandoli, di vie, di città, di persone.
Pochi dimentica in questo suo percorso poetico e ne rende immagini vivide e trasognate, a volte proiettate in lontananze e citazioni bibliche. La sua consapevolezza dell’imperfezione è brutale, ma altrettanto ferma è la sua condizione di poeta, tanto da chiamarli a cospetto, a regalare il dono della profezia a coloro che, specie ibrida con le qualità dei bambini e dei folli, hanno scoperto il linguaggio universale, il gemito della Terra.
Lo sguardo attento e visionario della poetessa scruta nell’ “area di sosta” e sospetta che proprio lì si collochi la porta per l’oltrevita (pag. 68), tante sono le piaghe che la infestano mentre i poeti vanno, vanno, senza stancarsi. Somigliano molto agli Apostoli questi poeti che hanno capacità visionarie, che non si lasciano fermare, che rifiutano ogni sorta di lusinga. E vanno… vanno: “leggevo Emily / e volavo al nord / fino alla casa / del reverendo Brontë /… /… / oltre i quali si stendevano brughiere/ folte di poesia/ di silenzio/ e libertà.”
Penso che questo ricordo sia una sorta di testamento spirituale che si percepisce nei versi e nei compagni di versi, una confraternita di veggenti un po’ misera, ma intatta su piedi leggeri pur nel lungo percorso.

http://www.faraeditore.it/html/siacosache/esuli.html

mercoledì 28 ottobre 2009

Alla fine si muore (di Enrica Musio)


ALLA FINE SI MUORE

È nel suo letto arrabbiata,
la senti che impreca
(“Maria!!!, Rachele!!!);
con la sua voce flebilissima
non sopporta più il male
e
non sopporta più il dolore

solo vedo un lungo brivido
nelle sue mani
poi mi dice
“Cara Enrica alla fine si muore”.

(a Ilaria)


***

Una regina bacia innamorata,
e tanto rapita
un bel rospo
che poi si trasforma
in un bel re.

I contadini alla mattina,
vanno a seminare
il grano.

Rapiti da una notte,
magica di stelle.


***

Digiuno bianco,
pallida astinenza
bianco funerale
bianco lenzuolo
funebre
lasciando fuori i piedi
di un cadavere.

(a Ilaria)

***


DOLCEZZE

Domeniche azzurre della primavera,
le passeggiate galanti di amanti
lungo il canale
il pane alla mattina alla domenica
le campane del sabato
i ceri accesi alle reliquie
i fiori rossi sopra una tovaglia
suonare il pianoforte
un giorno di festa
i gatti sopra ai davanzali
i mendicanti mangiano alle soglie delle chiese
le bambine si pettinano al sole
le donne cantano alla finestra.



(altre poesie di Enrica qui)

martedì 27 ottobre 2009

Su Cocci d'ombra di Vincenzo Celli


Fara Editore 2009, € 12, scheda del libro qui

recensione di Narda Fattori


La poesia conduce il suo autore ad un’osservazione dei moti d’animo e delle pulsioni, ma anche dei minimi eventi nel tempo e nello spazio, levigandoli da qualunque scoria, di ogni alone sentimentale o rancoroso, depurando il vissuto fino alla trasparenza del cristallo. Mi pare che a questa meta sia giunta la poesia di Celli, così poco compiaciuta, così dettata sottovoce, così malinconica e refrattaria ad ogni illusione. Già il titolo contiene una tragedia insieme ad una grigia melanconia: cocci sono frantumi di un intero che più non esiste e l’ombra è il luogo dove non giunge la piena luce, traluce appena, non è oscurità neppure bagliore.
Così gli eventi della vita, lo scorrere del tempo e dei giorni con il loro bagaglio di minuzie sofferte o gioite, infine comunque perdute o abbandonate perché l’uomo ha sempre aspirazioni più alte del quotidiano farsi degli eventi.
“dell’infanzia ricordo l’assenza / e quelle scarpe passare / sporche di tempo e di terra/ quel mondo di vetro / così fragile così distante / dalle mie dita addormentate”: un’età fabulosa come l’infanzia è qui rivista come un scialbo transitare da scarpe sporche a dita addormentate, senza presa, quasi che i sogni, un tempo concreti e apparentemente a portata di mano, fossero sfumati o comunque le mani fossero diventate incapaci-impotenti a perseguirli, a saldi trattenerli.
E ancor più significativa l’ultima strofa della poesia successiva che dà ragione del titolo ma anche dello stare esistenziale di Celli: “almeno tu ci credi / a questi cocci d’ombra / che piano piano s’affogano nel sole / così fedeli ai silenzi dopo gli spari?”; dunque i cocci sono stati frammenti di luce che il dolore che attraversa il mondo manda ad annientarsi dentro la loro origine.
La luce ritorna spesso come tema e come veicolo di discorso nelle poesie; è una luce che non rimane, che con la sua fuga lascia in una stato oscuro e confuso, in una melanconia dolce perché da essa visitata.
Anche l’amore, incontrato si è trasformato in dolore: “sono morto al tuo fianco / come una spina.”
E tutti noi siamo “gocce di cenere al parabrezza di un sorriso – io e te – esagoni d’arte povera…”; eppure tanta tristezza succede per avere visto/immaginato un eden struggente di giochi e innocenze infantili; a viversi come questo tempo richiede si resta immobili, come su una giostra che per quanto giri vorticosa, mai si allontana dal suo centro, così il poeta resta appeso prima della partenza. Quale partenza? Quella senza ritorno?
Non c’è denuncia nella poesia di Celli, non è neanche un’elencazione poetica di disagio; la sua poesia mi pare come quello che è diventato chiaro-veggente: vede e sente sé stesso e il mondo, senza attese e batticuori, censisce con il linguaggio del poeta piccole storie che non saranno in grado di rendere grande nessuno perché la vita è un susseguirsi di stati d’animo, di incontri, di attese dal fiato breve; solo l’amore è in grado di smuovere questa apparente tregua di mali eventi, ma “se noi ci incontrassimo /… / e d’improvviso ci innamorassimo / così senza parlare / … / allora forse / potremmo pensare / di essere stati vivi / senza una ragione.”
La terra abitata da Celli è incrostata dai sogni ma apparecchia povere mense e l’uomo chi è in una questa ridda caotica senza senso? Un accidente del caso? Potrebbe essere questa la conclusione della riflessione del poeta, se non avesse scritto versi, alcuni dei quali molti belli, se non avesse linguisticamente spezzato la logica della sintassi e creato altro. Come un poeta sa fare, appunto.
Altra mensa, altro cielo, altro dolore.

http://www.faraeditore.it/html/siacosache/cocci.html

lunedì 26 ottobre 2009

Fariani e non solo a Roma 28 ott



La GRU SBARCA A SIVIGLIA



30 OTTOBRE 2009
FESTIVAL CHILANGO ANDALUZ
(RECITAL INTERNACIONAL DE POESìA)

paesi invitati: Spagna, Messico: per l'Italia
parteciperanno Loris Ferri e Stefano Sanchini
(redattori del quadrimestrale "La Gru")


link: www.chilangoandaluz.com


presso: "El Perro Andaluz" h.22.00

si terrà la prima del cortometraggio:
"CORRESPONDENCIAS"

(testi tratti dall'opera: Corrispondenze ai margini dell'Occidente scritto a quattro mani da Loris Ferri e Stefano Sanchini, al momento in stampa per Grafiche Effigie, con prefazione di Roberto Roversi)

Direzione artistica: Stefano Sanchini
Voci recitanti: Stefano Sanchini-Loris Ferri
Fotografía: Alberto Giuliani
Incisioni e materiale pittorico: Paolo Fraternali
Immagini Video: Claudio Tacchi
Web-designer: Marco Livi
Montaggio: Marco Livi-Claudio Tacchi
Musica: Mario Mariani
Traduzioni, sottotitoli: Luca Clementi e Javier Villasenor

Brevi note biografiche sui collaboratori:

ALBERTO GIULIANI: fotografo, fotoreporter
già premi: Canon e Agfa.
2008: con Filippo Romano pubblica il libro per Amnesty International: "Cina Tibet" collana: un fotografo per i diritti umani.
dal 2007 lavora su tematiche legate alle mafie. ha pubblicato il libro: "Married to the Mob" e ROBERTO SAVIANO ha scelto
sue foto per parlare, appunto di Mafia.

MARIO MARIANI: pianista.
2005: ha composto la sigla d'apertura per il Festival del cinema di Venezia,
2009: ha composto la sigla per il Festival del cinema di Pesaro
2007: composto musiche per il film: "Sotto il mio giardino"
di Andrea Ludovichetti, film che ha vinto il "Babelgum Online
festival, presieduto da SPIKE LEE, evento collaterale
al festival di Cannes.

PAOLO FRATERNALI: incisore.
2009 esposizione Galleria Il Paradiso, Giardini della Biennale
di Venezia

LORIS FERRI: poeta.
redattore de "La Gru", ha esordito con
l'opera poetica: "borderlinea" Thauma edizioni 2008

STEFANO SANCHINI: poeta.
redattore de: "La Gru"
ha all'attivo l'opera: "Interrail" Fara Editore 2007

CLAUDIO TACCHI: regista, sceneggiatore.
all'attivo tra i suoi cortometraggi: "L'estate fredda",
"Colpo gobbo", "Un borgo sostenibile"
regia per numerosi videoclip musicali

MARCO LIVI: web designer.

LUCA CLEMENTI: traduttore.
docente di lingua spagnola,
ha già collaborato come traduttore
per il "Chilango Andaluz"

JAVIER VILLASENOR: poeta, di Città del Messico.
ora vive a Chicago e lavora nell'Istituto di Cultura
presso il Consolato generale del Messico

venerdì 23 ottobre 2009

Antonietta Gnerre a Piovono libri di Villapiana 31 ott

v. Fori di vetro



Collana Passi a Milano 29 ott



Milano, Libreria Equilibri, Via Farneti 11
Giovedì 29 ottobre ore 17,30
Mauro Ferrari
presenta i nuovi titoli della Collana Passi poesia:

Marina Agostinacchio, Azzurro, il melograno
Luca Benassi, L’onore della polvere
Camillo Sangiovanni, Ricamo infinito
Arnold de Vos, Ode o La bassa corte dell’amore
Alessandra Paganardi, Frontiere apparenti. Silloge vincitrice dell’Edizione 2009 del Premio “Astrolabio”.

Intervengono gli Autori, Alessandro Canzian e Adele Desideri
 

Su L'onore della polvere di Luca Benassi

puntoacapo Editrice, 2009, collana Passi

nota di lettura di AR

«a te, poeta, si condede l'onore della polvere» (p. 36)


La scrittura di questa raccolta è caratterizzata da uno stile diaristico tendenzialmente lirico costellato da versi di intensità aforistica e da immagini e accostamenti che ci “rivelano” la quotidiana sorpresa della vita (di questa polvere umana che “sa” di esserci): «La pioggia che batte sul giorno / non riesce a sbiadire gli screzi / le righe bianche e nere / che segnano il cono dell'ecografo» (p. 7); «Il monitor oggi è un paradiso muto / un verde pigro di foresta» (p. 15); «C'è un posto nell'ordine spezzato dei parcheggi / dove la strada meridiana uccide l'ombra» (p. 17); «non rimane che guardarsi intorno / a formare gli oggetti con i gesti noti / l'urto dell'impatto della vista» (p. 40); «Sappiamo bene che il tempo è dato / una dimensione finita / senza vento, o mare, o cielo / dove il corpo si disfa ad ogni tramonto» (p. 57).

Ho particolamente aprezzato la poesia Il lago ispirata al passo di Gv 21-3-4 in cui si parla della notturna pesca infruttuosa di Pietro: la narrazione del fatto, che Simone fa in prima persona, ci propone una immedesimazione di Benassi nella “scena” particolarmente riuscita, sostenuta da un ritmo ondoso di versi lunghi e brevi che danno spessore alla memoria e la ravvivano: «Certo, non nego la seduzione del tramonto / né le barche abbandonate all'eccomi / (…) / Di certo, mio Signore, dubitati / alla vista dell'acqua schiumante di miele / del tramonto, dubitai come la vertigine del tuffo / verso il nuovo arrivo. E tu eri sulla spiaggia ad attendere / con il fuoco acceso, di brace, il pesce già cotto / e il pane pronto / per essere spezzato» (p. 35).

Concorso “Città di Sant'Anastasia” 28-2-10

– L’Associazione “IncontrArci” di Sant’Anastasia (Napoli), indice l’ottava Edizione del Concorso Nazionale di Poesia “Città di Sant’Anastasia”, al quale potranno partecipare tutti i cittadini residenti in Italia o all’estero, purché l’elaborato sia in lingua italiana.

Il Concorso è promosso e patrocinato dal Comune di Sant’Anastasia.
L’organizzazione, il coordinamento e la segreteria del concorso sono affidate al Circolo Letterario Anastasiano.

Art. 2 – Sono previste due sezioni:
  • Sez. A – Elaborati in lingua italiana a tema libero di massimo 50 versi ciascuno.
  • Sez. B – Elaborati in lingua italiana o vernacolo napoletano, ispirati al tema: “L’ambiente e il territorio vesuviano”, di massimo 50 versi ciascuno.

Art. 3 – E’ possibile la partecipazione ad entrambe le sezioni con al massimo 2 (due) elaborati per ciascuna sezione, da presentare in 6 copie, di cui una soltanto dovrà riportare in calce: nome e cognome, data e luogo di nascita, indirizzo, recapiti telefonici ed eventuale e-mail, indicazione della sezione prescelta, dichiarazione di autenticità. E’ gradito ma non necessario un breve curriculum letterario dell’autore.
Coloro che hanno già vinto il primo premio nel passato, non potranno classificarsi nei primi tre posti in questa ottava edizione, a meno che non siano intanto trascorsi cinque anni/edizioni dall’anno/edizione di conferimento del primo premio.

Art. 4 – Si richiede un contributo per spese di segreteria di Euro 10,00 (Dieci/00), da versare su c.c.p. nr. 63401236 intestato all’Associazione “IncontrArci”, con causale: Concorso di poesia Città di Sant’Anastasia VIII Edizione.
Il versamento del contributo di euro 10 permetterà la partecipazione ad una o ad entrambe le due sezioni previste. Fotocopia del versamento dovrà necessariamente essere allegata agli elaborati.

Art. 5 – Il plico contenente gli elaborati e la ricevuta del versamento dovrà essere spedito al seguente indirizzo: SEGRETERIA DEL CONCORSO NAZIONALE DI POESIA “CITTA’ DI SANT’ANASTASIA”, PRESSO UFFICIO POSTALE DI MADONNA DELL’ARCO, 80048 MADONNA DELL’ARCO (Napoli), entro il 28 febbraio 2010. E’ anche possibile l’invio per posta elettronica all’indirizzo circolo-lett-anastasiano@hotmail.it  In questo caso si dovrà allegare anche la fotocopia dell’avvenuto versamento, oppure indicarne gli estremi.
Gli elaborati non saranno restituiti. L’Organizzazione non risponde di eventuali disguidi postali o mancati recapiti.

Art. 6 – Sono previsti i seguenti premi:

  • Per la Sez. A: 1° premio Euro 600; 2° premio Euro 350; 3° premio Euro 250.
  • Per la Sez. B: Targhe ai primi due classificati.
  • Eventuali premi speciali, in denaro.

Saranno inoltre conferiti altri riconoscimenti consistenti in manufatti in rame dell’artigianato locale, libri e pubblicazioni artistiche. Diplomi con motivazioni per i premiati e i segnalati. Attestati di partecipazione per i poeti presenti alla cerimonia di premiazione. Non saranno attribuiti premi ex–aequo.
Sarà estrapolata una graduatoria a parte per tutti i partecipanti giovani e ragazzi (fino a 23 anni), e per i partecipanti locali, ai quali sarà conferito un particolare riconoscimento. Tali graduatorie non precludono il partecipante giovane o locale a poter eventualmente meritare i premi e i riconoscimenti previsti per le due sezioni principali A e B.

Art. 7 – E’ prevista l’eventuale stampa di un opuscolo con le poesie premiate e le motivazioni. Tale opuscolo sarà distribuito gratuitamente durante la cerimonia di premiazione.

Art. 8. – I nomi dei componenti della Commissione esaminatrice, il cui giudizio è insindacabile e inappellabile, verranno resi noti il giorno della premiazione, che si terrà in Sant'Anastasia in giorno e luogo da stabilirsi (entro il mese di maggio 2010). Soltanto i premiati ed i segnalati saranno avvisati. Gli altri partecipanti potranno conoscere i risultati del concorso sui siti: http://concorsopoesiasantanastasia.blogspot.com; http://circololetterarioanastasiano.blogspot.com,  e sugli altri siti letterari, oppure telefonando in Segreteria.
I premi dovranno essere ritirati direttamente dagli interessati. Soltanto in caso di seria e comprovata indisponibilità, è ammessa la delega per iscritto. In caso contrario, i premi non verranno consegnati né spediti.
Ai sensi dell'art. 10 della L. 675/96, si assicura che i dati personali relativi ai partecipanti saranno utilizzati unicamente ai fini del Concorso.

Per eventuali informazioni, è disponibile la Segreteria (Tel. 081.5301490 mattino; 081.5301386 ore serali); e-mail: circolo-lett-anastasiano@hotmail.it.
La Segreteria ringrazia tutti coloro che vorranno diffondere la notizia del presente Concorso di Poesia.
Si prega di non attendere gli ultimi giorni per l’invio degli elaborati, onde facilitare il compito della Segreteria e della Giuria.                                                       
 

giovedì 22 ottobre 2009

Su Io, Lei e la Romagna di Guido Passini

La raccolta Io, lei e la Romagna l’ho trovata scritta molto bene, non pesante e non noiosa; l’autore si è molto evoluto nel linguaggio, rispetto al precedente Senza fiato; ha migliorato anche nella tecnica poetica, molto più sciolta e discorsiva.



Mi ha colpito la durezza con cui descrive il suo stato di salute e la sua fragilità dovuta alla malattia che lo assilla da quando è nato: la forza nella vita che l’autore ci dimostra, il grande coraggio e la speranza indomita fanno di lui un piccolo Davide che vuole sconfiggere con tutte le sue piccole forze il grande Golia della malattia.

Sono rimasta colpita da una bella affermazione che ha scritto il poeta Viroli “la bestia che toglie il respiro”, forte e dura.

Mi sono entusiasmata per le belle poesie romantiche e di amore che l’autore ha dedicato alla sua cara moglie Cristina.

Ho gradito l'osservazione di Viroli che la poesia “salva dall’oblio”: sarebbe bello che la poesia ci salvasse davvero dall'oblio, anche da quello esistenziale.

Guido ci fa capire anche l’amore per la sua bella terra d'adozione (la Romagna).

È un bellissimo libro, Guido, bravo! Non devi mai mollare!

Padre Bernardo agli universitari di Firenze ottobre 2009


Carissimi amici e amiche, vi abbiamo convocato per quella  che non esiterei a definire una pacifica occupazione di uno dei luoghi più eloquenti di quella che Giorgio La Pira  chiamava la “geografia della grazia”, sì perché Dio non solo ama dei tempi speciali, che l’anno liturgico ci ricorda – Natale, ecc. – ma anche dei luoghi speciali, in una geografia che parla e ci dice di lui.


Siamo qui stamani in una occupazione pacifica che vuole essere, per usare una immagine di papa Bendetto quando era solo cardinale, una “mobilitazione della memoria”!


La magnifica poesia di Mario Luzi che vi ho appena letto intona un bellissimo inno alla memoria, al ricordo, che vuol dire riportare al nostro cuore quanto credevamo perso per sempre nell’oblio…


Ma per noi crisitani, non esiste solo la memoria, il passato, il corso inarrestabile degli eventi.


Noi crediamo in un Dio che attraverso la speranza ci fa attendere e preparare un futuro di pienezza, nonostante tante le fosche previsioni di molti pensatori della nostra contemporaneità.







Vi abbiamo chiamato dunque a realizzare una mobilitazione della memoria, radicata sul fuoco dei antichi santi di Firenze, e Miniato è il primo martire, ma vi abbiamo chiamato anche ad una mobilitazione della speranza, perché per noi sono inscindibili memoria e speranza, passato e futuro, tempo ed eternità: e credere nel Dio di Gesù Cristo significa credere in un Dio che scegliendosi prima un popolo e poi incarnandosi nella stirpe di quel popolo ha voluto dirci che la storia, i fatti di questa vita qui, sono avvenimenti che non restano e mai resteranno estranei al Suo sguardo, al suo coinvolgimento totale e permanente nella vicenda dell’uomo, creato a sua immagine e redento mediante Cristo Gesù vero Dio e vero uomo, modello di bellezza che Dio ha ricalcato creando il volto di Adamo e il volto di ciascuno di noi, modellato sul volto del più bello fra i figli dell’uomo.


Vi abbiamo invitato in un monastero, un monastero che esiste da quasi mille anni e che da sempre vive secondo la regola di san Benedetto. E il monastero per san Benedetto è una schola dominici servitii, e per un altro grandissimo monaco del secolo xi, san Bernardo, è una schola caritatis.
Dunque oggi potete mettere la vs coscienza a posto: non avete perso alcuna ora di lezione, siete in una scuola anche oggi, una scuola particolare, oviamente, orientata a quella esperienza di liberazione e di riscoperta della nostra dignità che avviene quando finalmente smettiamo di servire gli idoli e iniziamo a servire solo e soltanto il Signore della vita e ancora, una scuola di amore, perché per noi l’amore, solo l’amore è ragione di vita e via ed esperienza di Dio, come ci insegna san Giovanni (“chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio  perché Dio è amore”, I Giov 4,7-8).


Riccardo di San Vittore, grande mistico medievale, ha una formula di stupefacente bellezza, egli dice Ubi amor, ibi oculus: è questo forse il segreto della vera contemplazione cristiana: nulla è nascosto all’amore! L’amore è capace di uno sguardo, che in quanto amoroso non può non essere uno sguardo di partecipazione, di condivisione, di testimonianza, di attenzione: è forse questo un primo obbiettivo dell’essere quassù stamani: regalarci una visione d’insieme della nostra città, una vera visione è sempre – ce lo ha detto san Riccardo – un segno della presenza dell’amore. E noi vogliamo stamani essere colmi di spirito santo, per addestrare uno sguardo che sappia, dai margini delle colline, o nel ventre stesso della città, riversare amore, riversare speranza, suscitare nel nostro prossimo la percezione che la nostra città, anche se ammalata, deve e può continuare ad essere luogo di redenzione, spazio di conversione, ponte di fraternità, giardino di speranza, perché il mondo, ce lo aveva ricordato Giovanni Paolo II, “è già trasfigurato dall’azione deificante del Cristo morto e risorto”, il mondo – osiamo aggiungere noi – è ancora guardato, custodito, amato dallo sguardo attento di Dio!


Carissimi. da questa specialissima scuola di carità posta qussù possiamo dunque meglio imparare a contemplare il cuore della città: mossi dall’amore possiamo infatti perforare quel mare rosso di tegole che Giorgio La Pira chiamava il mistero dei tetti di Firenze, e puntare il nostro sguardo su quello che Mario Luzi ha mirabilmente definito il costato di Firenze, “coi suoi tagli, le fenditure, le ferite, le croste, le cicatrici”.
Sì, la città, e me ne rendo meglio conto quando scendo sotto il mistero di quei tetti rossi, è veramente ferita!
Ognuno di noi impegnato nello studio come professione, nei propri ambiti di competenza, non può risparmiare il proprio cuore e il proprio pensiero dall’austera ma feconda fatica di chiedersi sempre il perché profondo di ogni cosa, di ogni evento, di ogni fenomeno. E non può lasciarsi tentare da scorciatoie che sapppiano di indifferenza, svogliatezza, disattenzione, oblio.


Vi propongo adesso due diagnosi forti sull’uomo, ve le propongo non perché mi senta di individuare solo in quel che sostengono le ragioni della sofferenza delle nostre città oggi, ve le propongo perché rappresentano comunque un “sentire” riguardo all’uomo e al senso della sua vita di cui la modernità è problematicamente intrisa e che comunque molto può spiegare di certe patologie che oggi affliggono le nostre strade.
Anzitutto vi propongo una diagnosi di Marc Augé, filosofo e sociologo francese del nostro tempo. Egli scrive: «Oggi imperversa nel pianeta un’ideologia del presente e dell’evidenza che paralizza lo sforzo di pensare il presente come storia. Da uno o due decenni a questa parte il presente  è divenuto egemonico. Agli occhi dei comuni mortali, esso non è più l’esito del lento evolversi del passato, non lascia più intravedere un abbozzo del futuro possibile, ma si impone come un fatto compiuto, opprimente, che fa dileguare il passato e blocca l’immaginazione dell’avvenire».
Questa angosciata diagnosi del filosofo Marc Augé, relativa ad una vera e propria «dittatura dell’incerto presente», pone chiaramente in evidenza uno dei sintomi più drammatici di una diffusa patologia dell’uomo contemporaneo: il nostro infatti è un cuore sovente sgretolato dal pragmatismo tecnologico dominante e pertanto tentato di subordinare alla percezione dell’immediatezza la feconda fatica della memoria e della speranza.
Una riflessione ancor più angosciante viene dal padre della moderna antropologia Claude Levi Strauss nella cui visione l’uomo è totalmente assorbito dalla natura, senza alcuna pretesa di durata e di storia, di memoria e di sopravvivenza, non solo dell’anima, ma dell’uomo in quanto tale, totalmente indistinto rispetto alla natura, alle cose, agli animali.
Egli scrive: «il mondo è cominciato senza l’uomo e finirà senza di lui, abbiamo sì l’illusione di poter difendere col potere e la tecnologia quanto le nostre culture hanno elaborato cercando di disarmare progressivamente la natura, ma quanto alle creazioni dello spirito umano, il loro senso non esiste che in rapporto all’uomo e si confonderanno nel disordine».
Per Levi Strauss non si può parlare nemmeno di un presente, perché un presente implica un passato e un futuro, ma in una visione come la sua parlare di storia appare del tutto illusorio.


Ho insistito, e chiedo scusa, su queste due riflessioni accomunate da una visione dell’uomo ferito da un senso di profonda sfiducia riguardo al senso stesso della vita.


Carissimi amici, la fede nel Dio di Gesù Cristo ci risparmia certamente da una simile visione dell’uomo ma non possiamo fare a meno di considerare quanto diffusa sia questa visione riduttiva dell’uomo e quante conseguenze abbia una simile visione dell’uomo, sottratto alla coralità di una cittadinanza e all’appartenenza ad una storia che si distende fra memoria e profezia, e fra esperienza e speranza.


Appare in tutta la sua drammaticità un uomo condannato a non avere troppe responsabilità e semmai implicitamente invitato a consumare – nel breve tempo di vita concesso – tutto e il più possibile di tutto senza troppo interrogarsi sulle conseguenze future di ogni gesto e di ogni scelta, serrato come è da un individualismo che lo sottrae dall’avventura certo difficile della relazione con gli altri. Lo stesso valore della vita umana, in poco o addirittura in niente distinta da un semplice dato biologico e “naturale” si assottiglia con le minacciose conseguenze bioetiche che conosciamo e con la sempre meno diffusa consapevolezza di cosa comporti la soppressione della vita di una persona, che è molto più avvertita come rivale che come compagno di un pellegrinaggio fra esodo e avvento, fra memoria e futuro.


A livello più personale e meno sociale si può trovare pertinente un rilievo di fondamentale importanza che don Luigi Giussani fece nel 1980.
Egli scriveva: «Nella gioventù contemporanea è come se la nascita non fosse presente, è come se i giovani non avessero ancora raggiunto la coscienza di questa dipendenza: vale a dire dell’essere stati voluti.  Il sentimento dell’essere stati voluti. Perché il sentimento supremo è quello di essere stati voluti».
Essere stati voluti: questa è la visione dell’uomo proposta dal cristianesimo che ci invita a guardare a un Dio Creatore, un Dio che non cessa di guardare le sue creature, ubi amor ibi oculus. Pensate a questo grande Cristo che guarda Firenze…


Essere stati voluti; vuol dire ricordarsi che esiste qualcuno più grande di me, qualcuno che è garante del mio futuro.
Nell’incarnazione del Signore Gesù questo essere stati voluti e desiderati ci rivela addirittura il volto del Padre, un Padre affidabile, che ci ha desiderato per chiamarci a figliolanza e che per questo non ha esitato a donarci il Figlio, alla cui sequela l’uomo ritrova la direzione della sua origine. Guardate, nella prospettiva del Vangelo non esiste potere in grado di rendere l’uomo autosufficiente. Non basta all’uomo il potere dell’essere e il potere della conoscenza perché anzi Dio ha tenuto nascosto il suo mistero ai grandi di questo mondo e ai sapienti di questo mondo.
Il prologo di Giovanni ci insegna l’unico potere dato all’uomo, quello di diventare figli, Giovanni 1.12 “A quanti però l'hanno accolto, / ha dato potere di diventare figli di Dio”. Ecco come il sentimento supremo, quello di essere stati voluti si corrobora nella scoperta di quale sia lo scopo di questo essere stati voluti: diventare progressivamente figli nel Figlio, cioè nascere dallo spirito e diventare adulti nella fede per accedere alla pienezza della figliolanza. Questo è il nostro unico e vero potere. L’uomo non ha nessun potere che sia frutto del farsi da sé, anzi questo è proprio il peccato dei peccati: dimenticarsi di essere stati voluti, presumere di essere stati fatti da sé, smarrire la nostra consistenza perché dimentichiamo la nostra origine e non sappiamo ricevere il dono di noi a noi stessi che il Padre continuamente ci elargisce nel Figlio per fondare in Lui, solo in Lui il nostro futuro.


Vi propongo anzi questa definizione della fede: la consapevolezza  che ogni uomo viene da lontano e va ancora più lontano, oltre la sua esistenza temporale, oltre lo spazio dell’immediato, va continumanente verso la sua eterna nascita, verso la sua terna figliolanza.


Venire da lontano, andare ancora più lontano… ritrovate così la memoria e la speranza come tratti qualificanti e irrinunciabili del nostro essere cristiani e dunque uomini e donne della storia di Dio in mezzo a noi attraverso la storia di Cristo in noi?! Carissimi, chiamati ad essere Figli nel Figlio, solo la riscoperta di essere stati desiderati da Dio, anzi da un Padre, solo la consapevolezza di questa nostra appartenenza ad un progetto che è storia e che ha origine nel mistero della benevolenza di un Padre che chiama alla vita, ci dona, anzitutto a livello personale, la coscienza di essere Figli, la coscienza di aver ricevuto un destino da compiersi nella libertà e nella responsabilità, fra memoria e speranza, fra storia e profezia, fra passato e futuro.
Mi pare questo un passaggio fondamentale a livello personale. Per il cristianesimo è importante e irrinunciabile. Agostino  ce lo insegna, partire dal centro della persona, dal cuore, senza naturalmente fermarsi alla nostra sola vicenda: anzi siamo invitati a guardrci intorno da quassù è ancora più facile domandarsi il senso di una possibile vicenda collettiva, sociale, cittadina, oserei dire “ecclesiale”.
Ritroviamo le stesse condizioni ed esigenze senza coscienza di appartenere ad una storia che ha radici più grandi e remote di me, ad una storia aperta al futuro, la città, la coralità di una città è esposta alla morte, alla fragilità, alla provvisorietà, alla malattia dei suoi singoli membri così come delle sue isitituzioni più ampie.
Giorgio La Pira (1904-1977) tenne un celebre discorso al Convegno dei Sindaci delle città capitali di tutto il mondo il 2 ottobre 1955 a Firenze, il cui testo ormai è accompagnato sempre dal significativo titolo: Per la salvezza delle città di tutto il mondo. Un discorso dove il grande sindaco-profeta mostra sia di avere consapevolezza circa i rischi e le malattide della città moderna ma al contempo di indicare qualche possible via d’uscita, che non condanni l’uomo alla dannazione del caso o del suo contrario, una fredda e impersonale necessità.


Ebbe fra l’altro a dire l’allora sindaco di Firenze a quel prestigioso consesso:


«La crisi del nostro tempo – che è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano – ci fornisce la prova del valore, diciamo così, terapeutico e risolutivo che in ordine ad essa la città possiede. Come è stato felicemente detto, infatti, la crisi del tempo nostro può essere definita come sradicamento della persona dal contesto organico della città. Ebbene: questa crisi non potrà essere risolta che mediante un radicamento nuovo, più profondo, più organico, della persona nella città in cui essa è nata e nella cui storia e nella cui tradizione essa è organicamente inserita. E prima di finire questo discorso sul valore delle città per il destino della civiltà intiera e per la destinazione medesima della persona, permettete che io dia un ammirato sguardo d'insieme alle città millenarie, che, come gemme preziose, ornano di splendore e bellezza le terre dell'Europa e dell'Asia. Signori, ci vorrebbe qui, per parlare di esse, il linguaggio ispirato dei profeti: di Tobia, di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di San Giovanni Evangelista. Per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell'uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio.» (Il testo qui citato di Giorgio La Pira si legge anche in http://www.iisf.it/la_pira.htm)


Nella visione di La Pira, non diversamente da quanto ci ha fatto intuire la lirica di Mario Luzi, è quasi la città stessa, oggi malata, a dover divenire, per così dire, medicina della sua stessa malattia, mediante la diffusa promozione di un radicamento ancor più profondo e vitale della persona in quello che, da entrambi, è della città percepito come il «contesto organico». Questo è autenticamente tale soltanto se capace di custodire, mediante una incessante traditio, la memoria storica della città e, al contempo, se capace di alimentare una  comune speranza attraverso una condivisa elaborazione di un’«idea vitale» che renda ciascun cittadino consapevole di essere porzione irrinunciabile dell’intera civitas e prezioso strumento di quel disegno di bene, di giustizia e di pace che, nonostante le contrarie apparenze, pare quasi inscritto dalla Provvidenza nel cuore e nei destini di ogni città.


Ritroviamo così la percezione che, nascosta sotto l’apparente casualità delle cronache dei nostri giorni, la nostra fede, anche la più fragile, è invitata a scorgere una storia, fatta di memoria e di speranza, una tradizione, un disegno a cui ci sentiamo di appartenere, in cui ci scopriamo generati da una volontà più grande di noi, una volontà che si fa strada nella successione di eventi ove l’uomo è tanto più grande quanto si scopre piccola e fragile creatura chiamata, nella coralità di una comunione di amore a grandi desideri e immense responsabilità. Ecco il senso dello stringerci la mano di Luzi, sperimentare cercare custodire coralità e invocare comunione.


Giorgio La pira concludendo quella diagnosi sulla città con cui abbiamo aperto queste riflessioni scriveva: «prima di finire questo discorso sul valore delle città per il destino della civiltà intiera e per la destinazione medesima della persona, permettete che io dia un ammirato sguardo d'insieme alle città millenarie. Per ciascuna di esse è valida la definizione luminosa di Péguy: essere la città dell'uomo abbozzo e prefigurazione della città di Dio


Carissimi fratelli e sorelle, amici e amiche, sì, la città dell’uomo non è alternativa al destino celeste che ci attende: il paradiso cristiano, paradosso dei paradossi, non è un intimo giardino privato, ma una città, la città celeste che scende dal Cielo e che Giovanni nell’Apocalisse riesce già ad avvistare come orizzonte di senso e di pienezza per la nostra convivenza urbana:


«Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. 2Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. 3Udii allora una voce potente che usciva dal trono:

"Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro"
.

4E tergerà ogni lacrima dai loro occhi;
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate.»


Fratelli e sorelle è questa città celeste, per La Pira, il modello della nostra città di pietra, di sangue e di lacrime. Egli scrive: «Se Cristo è risorto – come è risorto – e se gli uomini, perciò, e le cose risorgeranno, allora la realtà presente (temporale) è veramente un abbozzo della realtà futura (eterna). La realtà futura  – cioè la persona umana risorta, la società umana risorta (la Gerusalemme celeste) il cosmo risorto (nuovi cieli e nuove terre) – è il modello sul quale va modellata la realtà presente».
Per La Pira la città celeste che san giovanni vide è «l’approdo finale dell’uomo», la città dalle mura di oro e di pietre preziose.

Egli tuttavia si domanda: «Ma è forse una città solo celeste, solo ideale, senza radici e senza trascrizioni e senza rifrazioni e senza riflessi nella città terrena? No, madre reverendissima (pag. 72) perché su quel modello di luce, opera dello Spirito santo, sono state edificate e saranno edificate, nel corso dei secoli, due città tra di loro vitalmente collegate: la città contemplativa (la città monastica) e la città cristiana)».
Quella modello, lievito, attrazione, speranza per quest’ultima, perché, dice La Pira «i nostri cittadini sono creature destinate a costruire già in terra i muri della città eterna». Per questo siete stamani a san Miniato, la sua bellezza vuole evocare per Firenze la bellezza della città futura, la Gerusalemme celeste, la città che scende dal cielo e cos’ anceh san miniato sembra scendere dal cielo di Firenze per per essere un costante memoriale del futuro, una memoria del futuro, sulla cui bellezza modellare la città di Firenze.


Fratellli e sorelle anche il vostro studio, il vostro impegno universitario, significa iniziare a costruire già in terra i muri della città eterna e d’altro canto nel vostro studio, che è il vostro lavoro, voi condividete il lavoro di Dio nella storia. So di sconcertarvi ma questa poderosa immagine per cui nel lavoro si intreccia da un lato l’uomo che prepara i muri della città eterna e dall’altro Dio che in mezzo a noi continua ad operare la creazione del mondo è immagine che appaia la riflessione di la pira a quanto papa benedetto pronunciò  a parigi in un antico monastero cisterciense riflettendo, su cosa abbia comportato per la cultura crisitana l’ora et labora benedettino.
E a proposito del labora così il papa a Parigi nel settembre 2008:


«Il mondo greco-romano non conosceva alcun Dio Creatore; la divinità suprema, secondo la loro visione, non poteva, per così dire, sporcarsi le mani con la creazione della materia. Il “costruire” il mondo era riservato al demiurgo, una deità subordinata. Ben diverso il Dio cristiano: Egli, l’Uno, il vero e unico Dio, è anche il Creatore. Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita. Dio lavora, ergázetai. Così il lavorare degli uomini doveva apparire come un’espressione particolare della loro somiglianza con Dio e l’uomo, in questo modo, ha facoltà e può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo. Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione.»


Il papa, come del resto La Pira, come del resto il brano di don Giussani prima ci ricorda che la La crisi del nostro tempo  è una crisi di sproporzione e di dismisura rispetto a ciò che è veramente umano.
Che verfamente umano è ricordarsi di essere voluti da qualcuno più grande di noi, che veramnte umano è custodire quell’infanzia del cuore che deve restare l’atteggiamento di fondo del nostro cuore anche in mezzo ai problem e alle soluzioni più ardue del vostro studio universitario.

E l’ionfanzai, cioè la capacità di permanere rivolti verso l’alto, verso il Padrem per ricevere costantemente da Lui il respiro che dà vita, sarà la disposizione interiore della vostra preghiera: urlare al Signore il nostro bisogno, la nostra fragilità, la nostra indigenza. La vera preghiera nasce da questa permanente, umile consapevolezza che come figli abbiamo bisogno che il Padre alimenti la nostra memoria e la nostra speranza. Di tale consapevolezza è scuola la preghiera, una preghiera vissuta come esperienza di attenzione, dono quest’ultima, per Simone Weil, anche di tante ore di studio scolastio e universitario, l’attenzione, come forma mentale e cordiale sempre più minacciata da interruzioni medianiche le + varie, dagli sms a internet, ma che resta la modalità con cui l’uomo concentra il suo cuore su di sé, sugli altri, sul tempo, su di un obbiettivo e lo attende e lo prepara con amore, con responsabilità, con, appunto, attenzione.
L’attenzione, che vi auguro per i vostri studi e esami fruttuosi per l’anno accademico che verrà vivetela come mirabile esperienza che interpella la vostra responsabilità operativa, ma anche il vostro confidente abbandono all’amore di Dio, che attende la vostra attesa\attenzione perché scopriate che è Lui solo Lui a dare compimento – ce lo ricorda il Salmo – a ciò che abbiamo iniziato.
Il vostro studio, il più possibilmemnte attento, diventerà così scuola di vita cristiana, non solo scuola di lavoro, del lavoro che farete, ma anche scuola di preghiera, perché solo l’attesa, e i tempi lnghi della vita monastica ce lo insegnano, è la forma di un cuore che, forte della memoria di Dio, sa confidare totalmente nel futuro che Dio prepara certamente per noi:


Confidare (di Antonia Pozzi)


Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.

Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.

Ho tanta fede in te. Son quieta
come l'arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l'orzo intorno alla casa.



III Biennale Anterem di Poesia Musica e Filosofia



Sul sito www.anteremedizioni.it <http://www.anteremedizioni.it>  è pubblicato il programma della “III Biennale Anterem di Poesia Musica Filosofia”, con il dettaglio dei primi appuntamenti di sabato 24 ottobre pv.

Tutti gli eventi si svolgeranno presso la Biblioteca Civica di Verona situata in via Cappello.

In particolare segnaliamo, a partire dalle 14.00 di sabato 24 ottobre, un pomeriggio che comincia con la proiezione di un raro video di Jabès e prosegue ricco di filosofi, poeti internazionali, musicisti.

Ranieri Teti

mercoledì 21 ottobre 2009

Vincitori premio nazionale di poesia “Renato Giorgi” 2009



Con preghiera di massima diffusione

 

Vincitori premio nazionale di poesia “Renato Giorgi” 2009

Sezioni “Silloge inedita” e “Cantiere”

 

Cerimonia di premiazione



CITTÀ DI SASSO MARCONI


PROVINCIA DI BOLOGNA

Circolo Culturale “Le voci della luna”



PREMIO LETTERARIO NAZIONALE “RENATO GIORGI” 2009 - XV Edizione

CERIMONIA DI PREMIAZIONE

Sabato 31 ottobre 2009 - ore 16.00

Sala “Renato Giorgi” – Città di Sasso Marconi

Via del mercato 13, Sasso Marconi

tell.: 347 5124366 – 349 4295503

 

premio Sezione A - “Silloge inedita” a

L’imperfezione dei cardini (Edizioni Le Voci della Luna), di Antonio Bassano



Sabato 31 ottobre 2009, alle ore 16.00, presso la Sala “Renato Giorgi” di Sasso Marconi (BO), in via del mercato 13, si svolgerà la cerimonia di premiazione della XV edizione del premio letterario nazionale “Renato Giorgi”.

Organizzato dal Circolo culturale “Le voci della luna” e dalla Città di Sasso Marconi, con il patrocinio della Provincia di Bologna e la collaborazione di Arci Bologna, il Premio festeggia le sue quindici edizioni e conferma la sua longevità e la sua importanza in campo locale e nazionale per l’attenzione verso la poesia italiana contemporanea e le sue nuove espressioni.

Il Premio è articolato su due sezioni: “Raccolta inedita di poesie” e “Cantiere”. Entrambe si richiamano direttamente alla sensibilità letteraria di Renato Giorgi, apprezzato autore di poesie, romanzi e racconti, oltre che uomo politico e partigiano.

La prima sezione è dedicata esclusivamente a sillogi inedite, mentre Cantiere si rivolge a tutti coloro che stanno sviluppando una raccolta e che ne vogliono offrire al giudizio della giuria un estratto breve quanto significativo.

Quest’anno la palma per la migliore “silloge inedita di poesia” è andata a L’imperfezione dei cardini, opera di un esordiente assoluto: Antonio Bassano, trentatreenne di Guidonia Montecelio in provincia di Roma. Selezionata da una giuria di esperti tra le numerose opere in concorso, la sua raccolta viene come di consueto pubblicata dalle Edizioni Le Voci della Luna, casa editrice nata nel 2006 da una costola dell’omonimo Circolo culturale di Sasso Marconi, storico organizzatore del premio “Renato Giorgi”. In questa sezione il secondo e il terzo premio sono in denaro, rispettivamente di 200 e 100 € e sono andati rispettivamente a Eugenio Nastasi di Rossano (Cs) e a Sebastiano Adernò di Noto (Sr).

Per quanto riguarda la sezione Cantiere, quest’anno è stata assegnata al vicentino Giovanni Turra Zan. Come per le precedenti edizioni il vincitore riceverà durante la cerimonia di premiazione un assegno di 300 €. Il secondo premio di 200 € è andato a Silvia Comoglio di Verrua Savoia (TO), mentre il terzo premio (100 €) se lo è aggiudicato Roberto Ceccarini di Latina.

In questa edizione sembrano essersi imposte alcune generazioni di poeti. La Sezione A risulta infatti dominata dai trentenni, con il vincitore ed il terzo premio, mentre la  Sezione B  dai quarantenni, che si aggiudicano tutti e tre i premi.

Alla cerimonia di premiazione saranno presenti Adriano Dallea (Assessore alla Cultura del Comune di Sasso Marconi), Cristiana Branchini (Presidente Circolo culturale “Le voci della luna”), i componenti il Comitato d’onore, le Giurie, rappresentanze del premio “Giorgi scuole”, Il vincitore della scorsa edizione Francesco Marotta, la redazione della rivista “Le voci della luna” e della casa editrice omonima. La cerimonia di premiazione del “Renato Giorgi” quest’anno si avvale di un ospite d’eccezione: la poetessa e linguista statunitense Ambar Past.

Una scelta di testi poetici dei vincitori per le due sezioni, verrà letta da Chiara Cretella. Intermezzi musicali di Antonio Masella.

Al gruppo di lettura “Marjia Gimbutas” di Sasso Marconi sarà affidata la lettura di alcune poesie  di Ambar Past tratte dal volume Incantesimi.

Al termine della cerimonia verrà servito un piccolo buffet.



Per ulteriori informazioni, tell.: 347 5124366/349 4295503.

È possibile trovare notizie sul Circolo culturale “Le voci della luna” sul sito www.levocidellaluna.it


Premio nazionale di poesia “Renato Giorgi”

Albo d’oro

È diventata ormai una tradizione quella di veder premiati al “Renato Giorgi” autori provenienti da fuori i confini dell’Emilia-Romagna. Se nel 2000 è stato premiato Ivan Fedeli di Ornago (MI) – ora stabile presenza nella giuria del “Giorgi” – con Abiti comuni, a succedergli sono arrivati Paolo Arzuffi di Zanica (BG – 2001) con Solitudini possibili e Paola F. Febbraro di Roma (2002) con La rivoluzione è solo della terra, ora ripubblicato in un libro che raccoglie il meglio di questa poetessa prematuramente scomparsa.

Il testimone è poi passato nel 2003 a un altro romano, Marco Giovenale, con Il segno meno, mentre successivamente il premio è andato al teramano Raymond André con Le vetrate di Saint Denis (2004) e alla catanese Maria Gabriella Canfarelli (2005) con Zona di ascolto. Solo nel 2006 il Premio arriva nel capoluogo emiliano con Elio Talon, poeta veneto da anni residente a Bologna, e la raccolta Sideralia. Ma già l’anno successivo torna in Sicilia. Ad aggiudicarselo è la ragusana Antonella Pizzo con In stasi irregolare, mentre nel 2008 il premio si sposta in provincia di Milano con Impronte sull’acqua, raccolta poetica di Francesco Marotta. Quest’anno il “Renato Giorgi” torna nel Lazio, con Antonio Bassano e la silloge L’imperfezione dei cardini.


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Sebastiano Adernò

نفس الدم
http://aderno.splinder.com/

EMILY DICKINSON

traduzione di massimo sannelli

1470
Che il Furto ha più Dolcezze, non lo sa
Nessuno, solo il Ladro –
La sua Pietà per la Virtù corretta
La sua Angoscia più divina è questa –

1472
Vedere il Cielo Estivo
È la Poesia, ma in nessun Libro c’è –
Le Poesie vere volano –

1477
Come è povero chi
Ha una Ricchezza certa
E ogni volta ritrova
La vecchia Cifra avara –
Quando all’Amore basta
Un soldo per mostrare
Come si sfida l’India

1774
Troppo Tempo felice si dissolve
E non lascia un’impronta –
L’Angoscia non ha Piuma
O pesa troppo per volare più –

Su Figli di Vincenzo D'alessio


Nel libro Figli la poetica di Vincenzo D’Alessio è struggente, appassionata nell’estremo tentativo di sconfiggere il destino. La fatica del quotidiano esplode [in questo testo] e si insinua nei nostri pensieri: i versi si fanno spazio nel nucleo profondo delle nostre domande: “C’è un Dio/oltre i cieli,/ guida l’aquila al nido/ il giorno alla notte/ Noi, figli adottivi,/ affidiamo alla terra/ l’errore dell’odio.”
Da questi versi sgorga la luminosità originaria che possiede solo il vero poeta. “Un uomo è ciò che ama” ha scritto Josif Brodskij e Vincenzo D’Alessio, padre toccato da un evento tra i più drammatici, ci dona parole vibranti, inquadrature delicate e coinvolgenti: “La neve tornerà ed io/ con lei a baciare il marmo/ candido delle forme/ figlio scomparso al sorgere…/ Ci sarò io a darti/ l’alito di fuoco che il freddo/ ti ha tolto dalla fronte/ …”
È uomo, amante appassionato della sua terra, D'Alessio. Terra del Sud generosa pronta ad accogliere, ma depredata costantemente: “Merito di politici assassini/ Carichi di denaro e di potere/ dopo ogni frontiera di voto/…”
Questo libro ci fa incontrare un poeta vero.

Carla De Angelis
Roma ottobre ’09

martedì 20 ottobre 2009

Poeti romagnoli e Fellini a Cesena 30 ott



Circolo culturale Giordano Pollini

IN COLLABORAZIONE CON
L’ Azienda biologica “le crete di montenovo”

IN OCCASIONE DEL 50° anniversario DELLA PRODUZIONE (1959)
DEL FILM “LA DOLCE VITA” DI FEDERICO FELLINI


 POETI ROMAGNOLI DI OGGI

E FEDERICO FELLINI


(a cura di Franco Pollini, Editore Il Pontevecchio, 2009)


PRESENTAZIONE

VENERDI’ 30 OTTOBRE 2009, ORE 17,15

SALA LIGNEA DELLA BIBLIOTECA MALATESTIANA
CESENA


Introduce Paolo Lucchi, Sindaco di Cesena
Presentano Marino Biondi, Roberto Casalini, Daniele Gualdi, Gianfranco Miro Gori
Presenzia Ilario Fioravanti
Letture di Gabriele Marchesini

In mostra le tavole originali preparate da Ilario Fioravanti per le sezioni illustrate del libro




PASCOLI BAUDELAIRE FELLINI


Un filo li unisce. Pascoli amava Baudelaire, traduttore di Poe e poeta simbolista. Fellini come Baudelaire è un inventore di sogni, di mondi onirici. Si immerge nei mali del mondo per attraversarli, condannandoli ed essendone affascinato. Fellini come Pascoli rivive la Romagna, nel sogno della lontananza.
Poeti romagnoli d’oggi, in numero crescente, li hanno riletti e rivisti, sollecitati e incuriositi dalle iniziative del Circolo culturale “Giordano Pollini” di San Mauro Pascoli che, a cadenza biennale, ha promosso altrettante pubblicazioni, ciascuna dedicata ad uno di questi grandi poeti. Ieri l’occasione era offerta da anniversari importanti, il 150° della nascita per Pascoli e il 150° della pubblicazione della raccolta I fiori del male per Baudelaire: oggi abbiamo raccolto un’opportunità meno eclatante ma ugualmente significativa, il 50° anniversario della produzione del film di Fellini, La dolce vita, avvenuta nell’arco di un anno, il 1959, nel pieno di un periodo di sviluppo del paese, conosciuto come il boom.
In quegli anni Roma era la capitale del mondo dello spettacolo, il centro di una vita che si esauriva nell’immediatezza del successo, nel soddisfacimento degli impulsi, nell’illusione di raggiungere una felicità tutta terrena: Fellini, descrivendo i personaggi che attraversavano quel mondo, in realtà prefigurava un modello di vita, dominato da un insieme di valori o di dis-valori, che appena qualche anno dopo sarebbe divenuto dominante. Il divertimentificio romagnolo sarebbe apparso a questo punto come il luogo della perdita di senso e della perdizione, ineludibile e affascinante. Da Rimini a Roma e ritorno.
L’inquietudine che non abbandona i protagonista del boom, l’inquietudine del benessere, è la materia dell’elaborazione poetica per immagini di Fellini, maestro di ineguagliabile drammaticità.

Hanno aderito più di quaranta poeti romagnoli d’oggi: FILIPPO AMADEI, BRUNO BARTOLETTI, ROSARITA BERARDI, STEFANO BERNARDESCHI, STEFANO BIANCHI, CATERINA BIONDI, GIANCARLO BIONDI, PAOLO BORGHI, FRANCO CASADEI, MAURO CASADEI TURRONI MONTI, ROMEO CASALINI, BENEDETTA DAVALLI, ANDREA DESERIO, FRANCA  FABBRI, CARLO FALCONI, NARDA FATTORI, SABRINA FOSCHINI, FRANCESCO GABELLINI, ANTONIO GASPERINI, FRANCESCO GIULIARI, CRISTINA LAGHI, GIANFRANCO LAURETANO, STEFANO LEONI, GUIDO LEOTTA, IGOR LUCCHI, ROSINO MARANESI, ROBERTO MERCADINI, MORARA MIRELLA, GIOVANNA MISSIROLI, FABIO MOLARI, ARDEA MONTEBELLI, MIRELLA MORARA, GIOVANNI NADIANI, FABIO ORRICO, GUIDO PASSINI, SANTE PEDRELLI, MARIA QUAGLIOTTI, ALESSANDRO RAMBERTI, ELLI SIGNANI, ANNA MARIA TAMBURINI, VITTORIO TAMPIERI,ANNALISA TEODORANI,CATERINA TISSELLI, ELISABETH TURCI, MARCO VIROLI, ANTONIO ZAVOLI.

Hanno colto questo senso di appartenenza, questa capacità di anticipazione, di prevedere il futuro, il fiuto di un grande poeta della nostra terra che costantemente ne ha citato le atmosfere, i personaggi, perfino il linguaggio, senza svelare i segreti dei luoghi, nascosti nella sua memoria. E si sono lasciati trascinare e travolgere, affascinati dalla straordinaria creatività di Federico Fellini.
Con i contributi poetici, numerosi e sorprendenti, interagiscono i disegni di Ilario Fioravanti, che nella copertina ha voluto ritrarre un “suo” Fellini, sognatore della grande madre terra, e nella tavole interne ha inteso mostrarci in una carrellata i volti dei poeti romagnoli storicizzati. Il testo  introduttivo di Gianfranco Miro Gori tratta più diffusamente il tema dei rapporti tra Fellini e la sua Romagna, mentre Marino Biondi fa riferimento al Mastorna, il mitico personaggio protagonista dell’omonimo film (mai realizzato) che avrebbe dovuto raccogliere e sintetizzare tutti i temi e tutti i film felliniani, una sorta di sogno dei sogni, di grande affresco, di romanzo, il romanzo della vita di Fellini, la sua discesa agli inferi. Solo una sceneggiatura, per sempre una sceneggiatura: un film affascinante, poesia senza immagini. Tutte da immaginare.


Franco Pollini