La giuria del concorso Narrapoetando 2024 – composta da Annalisa Ciampalini, Anna Ruotolo, Ardea Montebelli, Daniele Gigli, Mario Fresa, Massimiliano Bardotti e Riccardo Deiana, che ringrazio di cuore per la loro appassionata e competente valutazione con utili suggerimenti critici – ha stilato la classifica qui sotto. Complimenti ai vincitori e agli altri autori che hanno ricevuto un attento giudizio critico e grazie a tutti i partecipanti che si sono messi in gioco. Il vincitore della sezione Narrativa nel blog Narrabilando.
Narrapoetando 2024
I class. ex aequo
Le mie mani non sanno
di Alessandro Burrone (Pechino)
Alessandro Burrone (1994) è cresciuto tra Torino e Cigliano (VC) e vive a Pechino. Ha collaborato con riviste e blog letterari, tra cui Pangea, Studi Cattolici, Il Sussidiario, farapoesia, La poesia e lo spirito. Con Fara ha pubblicato una raccolta di poesie, La sete, il sonno (2022) e il romanzo La promessa di vita nel tuo cuore (2023, vincitore del concorso Narrapoetando).
«La silloge è formata da componimenti di lunghezza variabile, a volte il verso si allunga e la scrittura tende alla prosa. È una poesia pronta ad accogliere molte sfaccettature del mondo, complessa, e allo stesso tempo dotata di freschezza espressiva. L’autore, a tratti, si addentra in territori intimistici pur restando sempre incline ad accogliere la luce che proviene dall’esterno. È una poesia dinamica, in divenire, non mancante di riflessioni e spunti.» (Annalisa Ciampalini)
«Una poesia sottile e sfumata, sostenuta da una lingua composita ma equilibrata, capace di connettere sentimenti e situazioni di suggestiva e ricca intensità.» (Mario Fresa)
«Un’attività permanente e continua (riprendendo la citazione da Porion, in esergo) è il contesto esplicito di questa poesia non immediata ma nemmeno inestricabile. Piuttosto, gli elementi quotidiani sono dati per bagliori oppure, quando precisamente tratteggiati, attestano che qualcosa è stato fuori di loro. Una raccolta di rimandi e indizi che spinge a leggere con la voglia di cercare il punto di non ritorno.» (Anna Ruotolo)
Giorno uno
di Matteo Bonvecchi (Montecassiano, MC)
Matteo Bonvecchi è docente al Liceo Classico di Macerata e vive a Montecassiano, tra i lieti colli cantati dal Poeta della vicina, sovrastante Recanati. Con Le odorose impronte si classifica primo al concorso Faraexcelsior 2018 e vince nel 2020 il Narrapoetando con In crepa di melograne. Nel 2021 con De praecipitata luce vince il concorso Narrapoetando (ancora inedito, si era classificato 3° al Premio Città di Subiaco, menzione d’onore al Metamorfosi) ed è stato superfinalista al Città di Latina 2020. È giurato in concorsi letterari nazionali. Si è classificato II al Faraexcelsior 2022 con l’opera Come terra ferma.
«La genesi, i profeti Amos, Osea, Michea, Zaccaria si sodano in uno spaccato di vita che conserva il sapore e il ritmo delle origini. Non c’è nulla di più vero di una realtà trasfigurata che sa leggere e rileggere nel cuore dell’uomo.» (Ardea Montebelli)
«Chi ha scritto queste poesie sa il fatto suo. La lingua ha un buon equilibrio e talvolta guadagna perfino la grazia. Il ritmo è stato impresso da una mano che non temo di definire esperta. Rispetto alle altre raccolte che hanno partecipato al concorso, dove il contenutismo (sempre, purtroppo, di medio calibro) è preponderante, con Giorno uno ho avuto un’impressione inversa: qui è buono e in alcuni passaggi ottimo il linguaggio, ma un poco debole il progetto che lo sostiene - è la ragione per cui non sono riuscito a dare il punteggio pieno. La debolezza del progetto non deriva da una presunta incapacità del poeta di controllare la sua materia, ma, al contrario, dal fatto che l’ha controllata troppo. Probabilmente è per questo che i testi appaiono spesso schematici e grigi.» (Riccardo Deiana)
«Visto l’anonimato dei testi, dovrei fingere di non aver riconosciuto la voce dell’autore, che invece da diverso tempo – nelle anticipazioni che sparge qua e là sul web – sta affinando una voce in dialogo con la Sacra Scrittura, in particolare con alcuni dei profeti minori, Amos e Osea su tutti. E proprio le sezioni ispirate alle loro vicende sono le più riuscite, quelle in cui l’invettiva tocca i suoi momenti migliori, quasi muovendo chi legge all’azione – alla conversione, alla preghiera.» (Daniele Gigli)
II class.
Senza vedere il cielo
di Nicola Scodro (Ottawa)
Nicola Scodro (2000) si sta specializzando in Global Development e News, Media and Information presso la Carleton University Ottawa. È originario di Nove (VI), ma quando è in Italia si dedica quasi esclusivamente alla montagna, sua passione assieme alla poesia e alla fotografia. Collabora con il giornale indipendente The Charlatan e lavora come fotografo freelance. Nel 2020 pubblica Naufragi di un’Illusione, la sua prima raccolta di poesie e fotografie.
«Una raccolta in stile diaristico in cui i componimenti sono contrassegnati da una data e un luogo. Le poesie qui raccolte traggono linfa vitale dalla sofferenza per la mancanza della persona amata e dalla passione per la montagna: la combinazione di questi due elementi gioca un ruolo fondamentale per la riuscita dell’opera che risulta coesa pur spaziando nel tempo e nello spazio. Il poeta resta fedele alla sua ispirazione e nei versi si riscontrano autenticità, slancio e desiderio di apertura. La scrittura è precisa, i testi tengono bene e sanno trasportare il lettore attraverso un viaggio poetico denso di sentimento, tensione, sogni e malinconia. » (Annalisa Ciampalini)
«Nelle prime righe l’autore introduce l’opera, ci racconta quando ha scritto le poesie che stiamo per leggere, le circostanze, poco felici, che lo hanno portato a scrivere, e quanto questa scrittura sia stata dolorosa ma fondamentale, curativa. Questo è uno dei poteri grandi della poesia. Mentre leggevo l’introduzione ad alta voce (leggo sempre ad alta voce per riconoscere il canto) ero già immerso in un mondo, ero già catturato in un racconto, in un’esperienza. L’armonia di una scrittura che ha radici nella verità di chi scrive è avvolgente. E allora mi sono ritrovato nei sogni, nelle speranze, nelle malinconie, nelle disperazioni, nei rilanci e negli slanci, nella voglia di avere abbastanza forza per farcela, poi nelle cadute, nei timori, nelle paure e nei terrori di non farcela, di fallire, fallire, fallire. E quello che si avverte è una sorta di bellezza che è nel canto di quest’opera anche quando il dolore si fa più grande, la nostalgia più forte, la sensazione di disastro imminente presente. C’è un’armonia ad accompagnare l’andamento di quest’opera, perché la volontà non è mai quella di abbandonarsi allo sconforto o peggio, fare del dolore un idolo come oggi troppo spesso accade, la volontà che muove questa scrittura è sempre una volontà di resurrezione, di rinascita. Anche in quelle occasioni in cui il canto si fa più spezzato e la parola cruda, anche quando il desiderio di luce sembra soffocarsi, forse proprio soprattutto nella poesia che dà il titolo al libro. Anche Senza vedere il cielo, si può essere figli dell’aurora, cantati dall’arcobaleno, eternati da un tramonto… Una nota finale di rilievo per le descrizioni di paesaggi naturali, luogo d’elezione del poeta, dato che egli stesso scrive: “in questa natura dove solo so essere onesto”.» (Massimimilano Bardotti)
III class. ex aequo
La soluzione
di Vincenza Scuderi (Misterbianco, CT)
Vincenza Scuderi, nata a Catania nel 1972, è germanista presso l’università della stessa città. Vive fra la Sicilia e la Repubblica Ceca. È saggista, traduttrice, poeta e autrice di racconti, e redattrice della rivista antimafia “LeSiciliane-Casablanca”. Con Accade soprattutto per la strada ha vinto il concorso “Pubblica con noi 2013” di Fara Editore, raccolta poetica poi apparsa nel volume collettaneo Scelte vincenti (Fara 2013). Tra i suoi lavori germanistici, la traduzione delle Lettere del ritorno di Hugo von Hofmannsthal (Villaggio Maori 2015). Ha in pubblicazione un volume di racconti. Nelle vesti di umorista carica i suoi video come “Epos Animation” sul canale: vimeo.com/user173937005
«C’è una fulgente ironia, in questi versi spesso brevi e appuntiti, benché si affacci, sempre senza mai volersi far troppo vedere, una concreta amarezza. Si affronta una malattia in questi versi, eppure ci si ritrova spesso a sorridere. Ho la sensazione che queste brevi poesie abbiano il carattere di chi le ha scritte. Immagino piacevole, il tempo trascorso con loro. Porterei volentieri le mie ginocchia a passeggiare insieme all’autrice, mentre gli altri il cane…» (Massimiliano Bardotti)
«È una poesia colta, quella de La soluzione, e forse, come Loos, cerca di fare a meno dell’ornamento. Eppure, da un tempo giovane e impetuoso a uno che si divide tra una Sicilia accesa e una Vienna pacificata - ma ancora da capire - si dipana la storia di un’umana dallo sguardo vigile e la mente acuta. Potrà la poesia entrare, ancora una volta, nel tempo e nella storia, nella sofferenza personale e sciogliere il rebus? Sì, per lampi di rara bellezza, nascosti (ma non troppo) nell’arguzia di questa lingua piacevolissima e l’intelligenza delle soluzioni brevi e per questo folgoranti.» (Anna Ruotolo)
«L’autrice ha agito chiaramente e con intelligenza sullo stile, e gliene va dato atto. Si nota la consapevolezza con cui si è mossa. Ha trovato una misura dignitosissima, che definirei, come certe note in musica, "giusta": tra haiku, aforisma, imitazione ironica e autoironia. Come si spera sempre sia, ne La soluzione l’autrice ha dato il diritto di precedenza alla forma (chiamando in causa anche i modelli poetici a cui si è ispirata), e questa è la sua forza. L’unico e purtroppo non eludibile difetto è che il materiale è quantitativamente poco, ed è forse per questo che non riesce a scattare in nessuna direzione plausibile. Siccome lo stile è accurato e la voce convincente, l’autrice farebbe bene a continuare su questa linea, ma la inviterei ad aggiungere un di più di pensiero alle sue poesie e a posare ed esercitare lo sguardo anche su altri temi. Se si aspettasse qualche mese, verrebbe fuori un volume di sicura qualità.» (Riccardo Deiana)
In limine
di Gianpaolo Anderlini (Fiorano Modenese)
Gianpaolo Anderlini vive nel modenese. È redattore della rivista QOL (dialogo ebraico-cristiano). Tra i libri: Qabbalàt Shabbàt. Meditazione sui salmi del Sabato (Aliberti 2017), Giobbe. Opera in versi (Fara 2018), Distopie (Fara 2020), Versi di/versi. Diario poetico ai tempi del coronavirus (Fara 2020), Angelo Fortunato Formíggini. Uno dei meno noiosi uomini del suo tempo (Aliberti 2021), Variazioni (Fara 2021), Devarìm ’acherìm (Parole altre) (Fara 2022), Io sono tuo, salvami! Commento al Salmo 119 (Chirico 2022), Incontri (Fara 2022), Figli di Qohèlet (Fara 2023).
«Una raccolta dalla forte e non comune densità espressiva, notevole per l’equilibrio controllato e consapevole della lingua, nella quale l’autore evoca atmosfere e sensazioni dalle sembianze dilabenti e crepuscolari, dividendosi tra scoramenti e aperture, tra aspre disillusioni e risorgenti speranze.» (Mario Fresa)
È sempre una cosa piuttosto complicata mettersi a nudo di fronte a qualcuno che non ci conosce, come potrebbe essere un lettore, ad esempio. Ma l'autore sa bene che il lettore o una qualunque altra persona che ha modo di leggere la sua poesia mai potrebbe giudicare il suo cuore, le umane debolezze, gli insuccessi e le faticose ripartenza. Il coraggio di raccontarsi è davvero un talento prezioso. (Ardea Montebelli)
Le tre margherite
di Matteo Pasqualone (Cesenatico, FC)
Matteo Pasqualone nasce a Cesena (1987). È marito, padre e insegna nella scuola secondaria di primo grado. Da anni il suo studio e la sua passione si concentrano sul rapporto fecondo tra teologia e letteratura. Ha pubblicato la raccolta poetica Scommessa d’eterno (Il Ponte Vecchio 2016). Vive a Cesenatico. Ha vinto il concorso Faraexcelsior 2020 con Ogni nascita è dal caos.
«Scrittura inquieta, pulsante, nervosa, notevole per l’efficacia del tono e della generale e sicura compiutezza formale.» (Mario Fresa)
«Le tre margherite è un poema che nel suo sviluppo fa emergere quasi sussurrando il dramma universale della morte in grembo. Interessante nel suo tentativo di intessere un concerto a più voci – lei, lui, i vicini con il loro cicaleccio guardone e un po’ spietato – e di dipanare attraverso queste istantanee di pensiero la narrazione dei fatti, l’opera non è tuttavia sempre all’altezza dei rischi che prende: il tono del linguaggio è disomogeneo, e se è evidente che la disomogeneità è volutamente usata come espediente narrativo, meno convincente è la padronanza con cui viene maneggiato; allo stesso tempo, l’uso di rime e assonanze – soprattutto in fine di verso – risulta alla fine più appesantire il testo che rimarcare significati a distanza; infine, le voci che incarnano personaggi sono forse un po’ troppo poco sfumate, in un certo senso didascaliche.
Nonostante questi punti che invitano a un ulteriore lavoro sul testo, il poema è godibile nella sua delicatezza e originale nella sua struttura, superando di stretta misura il secondo classificato proprio per questa sua potenzialità inespressa.» (Daniele Gigli)
Altre opere votate
Il tinnito
di Antonio Nazzaro (Civezzano, TN)
Antonio Nazzaro (Torino, 1963). Apparso su alcune pagine poetiche, per errore, da quel momento viene definito scrittore. Emigrante di emigranti vive tra Latino America e Alpi. In quanto non salariato dirige diverse collane di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici. Ha pubblicato sillogi in Italia e America Latina, in italiano, spagnolo e itañolo. Del suo lavoro di traduttore si trova traccia in Argentina nel libro “Dino Campana Suramericano - Cantos Órficos” Abisinia Editorial, Argentina, 2022. Alcuni suoi articoli sono apparsi in diverse riviste e giornali italiani e internazionali. Suoi versi sono stati tradotti in lingue sconosciute al poeta.
«Silloge particolare che trae ispirazione dal “TINNITO” detto anche acufene, ossia una percezione sonora avvertibile in termini di sibilo, fruscio, in assenza di rumori esterni. L’autore partendo da questa condizione, a volte anche notevolmente fastidiosa, esplora un mondo poetico vario e significativo. Per quanto originale la silloge non è mai eccessiva né artefatta, il poeta sa mantenere l’autenticità dell’ispirazione senza forzature. La scrittura è precisa, aderente a quanto si vuol esprimere e permette al lettore di addentrarsi abbastanza facilmente nei versi.» (Annalisa Ciampalini)
«L’idea è buona. L’autore (credo sia un uomo) scrive per contrastare il tinnito, più volgarmente conosciuto come acufene. Lo fa perché gli fracassa letteralmente il cervello. E già su questo avverbio ci sarebbe da ragionare. Ecco: questa raccolta ha il merito di attivare nel lettore delle riflessioni. Ho visto immediatamente un valore simbolico nella scelta del tema e nel modo in cui l'autore ha posto la questione. Ho apprezzato il tentativo di contrastare quel rumore fastidioso e costante con le parole selezionate della poesia: la poesia non è qui la tecnica che prevede di far ingurgitare un poco di veleno per volta all'avvelenato al fine di mitridatizzarlo e di conseguenza guarirlo, ma è l’arte (forse perfino marziale) di incistare il suono gravido di senso (le parole della poesia, per l'appunto) nelle frequenze demoniache e nella morsa del tinnito, avversario e compagno. Le cause dell’acufene sembrano essere sia interne (fisiche, anatomiche, mnestiche: la biografia e la biologia dell’uomo) sia esterne. Potrebbe rappresentare, il tinnito, come una pioggia di spilli, la realtà e la Storia che non offrono spazi di modifica ma solo disturbo e fastidio al soggetto, facendolo disperdere, disorientare, patire?» (Riccardo Deiana)
«È sempre una cosa piuttosto complicata mettersi a nudo di fronte a qualcuno che non ci conosce, come potrebbe essere un lettore, ad esempio. Ma l’autore sa bene che il lettore o una qualunque altra persona che ha modo di leggere la sua poesia mai potrebbe giudicare il suo cuore, le umane debolezze, gli insuccessi e le faticose ripartenza. Il coraggio di raccontarsi è davvero un talento prezioso.» (Ardea Montebelli)
«Anche quella che canta Il tinnito è voce di un autore ben riconoscibile – fosse anche soltanto per i luoghi praticati. Interessante nel suo ricondurre il macrocosmo dell’universo mondo al microcosmo di un fastidio fisico invalidante e onnipresente, il poemetto – possiamo chiamarlo così? – si compiace forse un po’ troppo dell’invenzione fino ad abusarne e a rendersi più monotono di quanto non sarebbe. Questo il punto che mi permetto di sottoporre all’autore per un’eventuale limatura del testo.» (Daniele Gigli)
Luci
di Gabriel Tagliabue (Cureglia, Svizzera)
Gabriel Tagliabue nasce una fredda notte di primavera di 17 anni fa all’ospedale di Desio, in Brianza. Comincia a scrivere poesie in quarta elementare, dopo che le sue maestre lo affascinano con la lettura del Carducci. Partecipa fin da giovanissimo e viene premiato a numerosi concorsi letterari in tutta Italia. Le sue opere parlano ai suoi coetanei e agli adulti, raccontando con un linguaggio spiazzante il mistero della natura che lo circonda e delle emozioni della sua età. Si appassiona poi allo stile e alla scrittura di Dante acquisendone metrica ed ispirazione. Attualmente vive a Cureglia presso Lugano, in Svizzera.
«Con un linguaggio colto e raffinato l’autore osserva la realtà al rallentatore e con una sorta di lente d’ingrandimento interiore è in grado di coglierne con stupore ogni minimo dettaglio dilatando spazio e tempo.» (Ardea Montebelli)
Ixoe de ària/Isole d’aria
di Donatella Nardin (Cavallino Treporti, VE)
Donatella Nardin è nata e risiede a Cavallino Treporti (VE). Dopo gli studi classici, ha lavorato nel settore turistico. Sue poesie e racconti, premiati in numerosi concorsi letterari, sono stati inseriti in antologie di diverse case editrici (LietoColle, Empiria, La Vita Felice, Puntoacapo, Terre d’ulivi…), in alcune riviste anche straniere, in siti web e lit-blog. Alcune sue liriche sono state tradotte in inglese, francese e giapponese. In poesia ha pubblicato: con Il Fiorino la silloge In attesa di cielo e la raccolta di haiku Le ragioni dell’oro; con Fara Terre d’acqua e Rosa del battito e The green eye of the fields / L’occhio verde dei prati versione inglese a fronte di Ivano Mugnaini. Sue sillogi sono state di recente premiate e inserite nei volumi: L’altra metà del cielo (Ibiskos Ulivieri 2021), Distanze obliterate (Puntoacapo 2021) e Premio di Poesia Città di Mestre 2022 (Mazzanti Libri). Ultima uscita la raccolta Il dono e la cura (Aletti Ed., con versione in arabo di Hafez Haidar.
«L’antica arte degli Haiku è forse qualcosa di non completamente compreso nella nostra cultura. Anche se in effetti se ne trovano esempi, anche rigorosi riguardo alla metrica (ogni Haiku dovrebbe essere composto da 3 versi di 5, 7 e 5 sillabe) è raro trovare una completa aderenza alla tradizione di questo particolare mondo poetico. Non riguarda solo una ricerca di essenzialità, ma il tentativo di cogliere un attimo fuggente, di fermarlo e a un tempo eternarlo. E poi c’è la relazione con la natura, essere vivente che si fa materia accesa, più che metafora, senso della nostra vita, dove trovare i valori del nostro esistere. Ho trovato in questi Haiku una grande aderenza alla tradizione, con la particolare nota del dialetto. E qui si apre un’altra pagina straordinaria di tradizione legata alla poesia dialettale. Ecco, due tradizioni che si incontrano e in maniera così naturale, questo ho molto amato. E poi l’occhio del poeta (o della poetessa) che osserva intorno a sé e tutto vede, e nel cantarlo appunto lo eterna, e ci rende intatta la misura di chi siamo, e di come viviamo. (Massimilano Bardotti)
La nòsta zénta / La nostra gente
di Marco Marchi (Longiano, FC)
Marco Marchi nato a Longiano il 10 giugno 1944. Ha scritto 5 romanzi: Quelli dell’Eldorado (Longo 1986), Il gelato è una cosa seria (Diabasis 2004), Quelli dell’Eldorado (Perdisa 2007), Terra e Destino (Perdisa 2008, premio Pescara), Sulle orme di Rocky marciano (Ed. Europa 2017, premio Milano international), Gianni Di Bologna (Persiani editore 2019). Tre raccolte di poesie: Os-cia! (Ponte vecchio 2020), A i sarèm sempra (Ci saremo sempre) (Fara 2023, Primo classificato al concorso Narrapoetando) e L’arióut – La rivincita (II class al Faraexcelsior 2023).
«Tutti i dialetti aprono portali e, dentro, si compie la storia di un intero popolo, benché minimo, circoscritto. E i dialetti, poiché lingue dell’appartenenza, trattengono la memoria meglio di qualsiasi altra cosa. Perciò questa poesia è sapienziale e contemporanea insieme, istruttiva e ludica, sempre viva, oscura e triviale o aperta e chiara. Un piccolo miracolo, nel solco della saggezza di Loi, delle chiare visioni in lingua di Cappello. (Anna Ruotolo)
L’in/cubo di Rubik
di Vincenzo Lauria (Firenze)
Vincenzo Lauria, nasce, correva l’anno 1970, sulle rive del lago di Como e benché vi rimanga per soli quattro anni ne assorbe le nebbie. Torna alle origini, nell’Agrigentino, con quattro parole in un lombardo da emigrante ed è subito: "U Milanisi", capisce presto che non avrebbe avuto vita facile… L’anima - scavata nel tufo - ordisce nel tempo la fuitina: Roma (la crescita interiore e le sue tempeste) e la Toscana (l’approdo sicuro) sono le sue tappe. In mezzo, cresce, come un fiore di campo-nomade, la poesia che nel 2001 trova una stanza in affitto presso Stanzevolute (gruppo di 11 poeti selezionati dal dantista Domenico De Martino). Da allora la condivisione, l’osservazione e l’ironia sono rimaste le coordinate principali di un percorso poetico che tende all’apertura della parola, alla molteplicità dei suoi sensi, delle forme attraverso le quali può raggiungerci.
«L’idea è ottima, tuttavia non è sviluppata al pieno della sue possibilità linguistiche: ricopiare in bella la brutta copia delle prove poetiche senza ricontrollare con rigore l’aspetto formale non rende migliori quelle prove. Talvolta la scrittura è perfino corriva, insufficiente, rispetto alla portata potenzialmente interessantissima del progetto di fondo. Se ottenesse la pubblicazione, si dovrebbe consigliare all’autore o all’autrice di fare prima un approfondito lavoro di pulitura e potatura.» (Riccardo Deiana).
Peonie e poesie
di William Stabile (Sava di Baronissi, SA)
William Stabile (Milano, 1973) ha studiato Scienze Politiche presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha vissuto dieci anni a Londra dove ha lavorato nella City per una agenzia di stampa del settore finanziario. Dopo un viaggio di ricerca in Sud America, ha insegnato Lingua e Cultura Italiana per alcuni anni in Bolivia. Sui versi sono usciti su varie riviste e siti di poesia italiana e straniera. Grazie al critico Vincenzo d’Alessio, ha pubblicato Contrappunti & Tre Poesie Creole (Fara Editore 2006). Con una nota di lettura di Stefano Guglielmin e Laura di Corcia è uscito nel 2016 La Forza degli Schiavi (edizioni Dot.com Press).
«Sempre rischiosa, la poesia che confina con l’ironia, sempre col rischio di guardare tutto col sopracciglio alzato e un sorriso sardonico. E infatti l’autore ci casca, in qualche paolocontismo di troppo, soprattutto nelle poesie iniziali. Ma da Pantheon in avanti il ghigno si fa sorriso sofferto, l’occhio abbassa il sopracciglio e quasi quasi ogni tanto fa spuntare anche una lacrimuccia di partecipazione a quanto vede. E in questo sguardo delicatamente commosso escono fuori le cose migliori, anche là dove ritorna l’ironia: non più usata per corrodere, ma per sottolineare – per vedere.» (Daniele Gigli)
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