I giurati (che ringraziamo sentitamente per la passione e la competenza) della sezione Poesia (v. anche i risultati della sezione Narrativa/saggio) del concorso Narrapoetando 2020 hanno proclamato vincitori
Matteo Bonvecchi è docente al Liceo Classico di Macerata e vive a Montecassiano. Laureato con una tesi sulla teologia e spiritualità delle Croci dipinte francescane nelle Marche, cura una passione per la storia dell’arte locale. Folgorato dalla testimonianza poetica grazie alla lettura giovanile di Turoldo, con Le odorose impronte ha vinto il Faraexcelsior 2018.
«Dal punto di vista poetico, In crepa di melograne è un’architettura estetica che poggia su continui rimandi a fatti, parole e personaggi neotestamentari, collocati nel loro reale e preciso e sacro paesaggio; ma da una prospettiva più religiosamente profonda, la silloge si impone quale Tempio di preghiera, denso mosaico paradossalmente maestoso ed intimo, discreto, nello stesso tempo. Il centro di tutto è il Cristo, che incarna la stessa dicotomia: “leone dal viso d’agnello”, e appare contemporaneamente nella sua luce abbacinante e nella sua kènosis: la spoliazione dalla maestosità divina. Eccellente raccolta, In crepa di melograne rilegge spunti autobiografici e ricerca spirituale, tramite il simbolismo della crepa-ferita-taglio, nel senso del nostro desiderio di gettare uno sguardo discreto e angoscioso sul divino: “Quale prossimità d’angoscia/e promessa di luce è questa/penombra la condizione / che più ci appartiene”.» (Andrea Biondi)
«L’autore assume con scioltezza il linguaggio biblico e lo declina, con alcuni riferimenti reborariani, nella geografia dell’Asia minore per cogliervi “l’indicibile presagio” della morte e la profezia del futuro.» (Michele Brancale)
Francesco Randazzo, siciliano della diaspora, sovente col cervello in fuga all’estero, è scrittore e regista. Ha pubblicato, con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e tre romanzi; ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi e festival nazionali e internazionali.
«La riscrittura del mito di Ulisse, e in particolare dell’episodio finale del nostos, appare molto interessante in quanto coniuga l’esperienza delle note vicissitudini dell’eroe greco con l’impresa sempre parziale di una memoria che è sempre in movimento, in un verso – tra l’altro – ampio e accogliente, grazie alla sua capacità di distendersi in pause e slanci.» (Salvatore Ritrovato)
«Il poeta Josè Saramago ha scritto: Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Dunque, il ritorno e il viaggio, la memoria che racconta il chi sei: è questo il filo conduttore della silloge Itaca deserta ruggine. Con versi e ritmo incalzanti, l’autore si sovrappone all’Ulisse, al suo viaggio, alle sue rinunce ed avventure per rivivere attraverso lui, sé stesso o il destino di tutti i sognatori, insaziabili di vita. Ecco, quindi il ritorno, lo sbarco all’ agognata Itaca che gli appare polverosa ed arrugginita: Io non sono più io, mi sono perso troppo a lungo, / troppe vite ho vissuto, troppi errori, troppo tutto. / E infine, stanco, a me stesso straniero, eccomi / qui, ad Itaca, il relitto fragile e duraturo, l’unica casa. Penelope è dissolta e tutto sembra svanito nei ricordi. “Troppo tardi” ripete la sua voce interiore, lasciando parlare l’eco dei rimpianti: quel suo essere nato con lo sguardo fisso, perso all’orizzonte, all’altrove, all’andare. La vita un prurito continuo, grattarsi ovunque e senza pace mai. Le avventure ed i ricordi si sovrappongono, arricchiscono consapevolezze e rimorsi, ripercorrono le tappe del pentimento: ci sono i piedi perfetti di Calipso, la bianca pelle di Nausicaa e Circe, la spada del mio dubbio. Per ciascuna, un racconto, un’emozione o un rammarico: non c’è scelta che non abbia le sue cicatrici. Alla fine del viaggio, del tormento e dei bilanci, resta solo la speranza: Ci sarà un tempo senza tempo, / dove potremo estenderci / in un punto soltanto / ma profondissimo. / Cadere sarà come volare.» (Elena Varriale)
Sonia Gardini, nata a Savignano s/Rubicone nel 1948, è vissuta a Sant’Angelo di Gatteo. Dopo la laurea, si è trasferita a Brescia dove ha operato quale insegnante di Materie letterarie e, poi, di sostegno nella scuola media. Nel 2006 ha pubblicato con Fara Editore una raccolta poetica dal titolo Dove allunata?
«Questi 70 haiku sono Odi alla natura delle cose e dell’uomo che le vive. Haiku scritte per la sera e il giorno venturo. Una poesia apparentemente minima ma ricolma di stelle, di albe e tramonti sul mare, anche di vita estiva. Saremo sabbia /bianca come la neve / sopra la duna. Poi d’improvviso una stoccata: Serve un faro / nella vita di tutti / per orientarsi. Proprio vero che: Quasi morire / è sdraiarsi al caldo.» (Colomba Di Pasquale)
«Raccolta compatta, che indulge a qualche variazione metrica sull’impianto tradizionale dell’haiku. È volta a cogliere ciò che della vita si rivela prezioso e diventa bagaglio nel tempo in cui ci si sente “perdere”.» (Michele Brancale)
«Per la descrizione fotogrammatica di scenari naturali intrecciati alla condizione umana.» (Filippo Amadei)
Nato nel 1979, ultimo di quattro fratelli, Marco Statzu è prete della diocesi di Ales Terralba dal 2004. Dopo aver conseguito il Dottorato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana è docente incaricato (Teologia Dogmatica, Antropologia Teologica ed Escatologia) presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e collabora con alcune parrocchie della sua diocesi. Ha trascorso un anno nel Monastero di Bose, approfondendo il suo rapporto con Dio e con l’uomo e con il creato. Di sé dice: «Scrivo poesie, cerco Dio tra gli uomini e l’umanità in Dio. Tento di vivere in un eremo che si fa casa accogliente per chi cammina e fatica. Coltivo un orto e la mia anima». È direttore della Caritas diocesana di Terralba. Ha pubblicato Terralba dal Medioevo ai giorni nostri. Storia, tradizioni e persone (Selas, Terralba 1998), Mistica dell’Incarnazione. Per una conoscenza affettiva di Dio (Glossa, Milano, 2018), Tra disastri e desideri (Fara, Rimini) entrambi nel 2010 ed Erano lacrime le mie (prefazione di Enzo Bianchi, Graphe.it 2018).
«L’autore si muove con una certa padronanza su diversi registri stilistici sulla forza della Parola ricevuta e quella da trasmettere, con un delicato sguardo sulla vita degli altri e degli esseri che appaiono inanimati come gli ulivi “fratelli minori”.» (Michele Brancale)
«Per avere fatto della scarnificazione del verso un veicolo potente di significato, che ti fa capire, in un modo del tutto inaspettato, che “non sempre dopo il due viene il tre”.» (Filippo Amadei)
«Il movimento di ri-torno: l’essenza di questa silloge che va e torna. Va dalle piccole ma grandi cose del quotidiano, piccoli movimenti, gesti quasi impercettibili, quel canto poetico della normalità che la fa diventare sublime. La preziosità dei frammenti di tempo e quindi di vita, piccole pepite di luce.
L’orto muove in fretta / all’indietro una storia vera – poesia che culla e narra, che non nasconde ma che rivela come fosse un testamento – resta ogni tua parola bella – e poi il sentimento di accoglienza tanto necessario in questo tempo di chiusura – m’insegni il confine aperto – un inno a chi si ama ma più concretamente alla vita stessa. Mai come in questa silloge torna Patrizia Cavalli quando sostiene che non esiste l’amore, esiste chi ami e in questo potremmo sostenere la vita stessa. Ho da dirti in segreto non fa affatto mistero del suo messaggio, melanconico e dolce al tempo stesso, quello che essere felici e nell’accorgersi di chi ci sta accanto e dei doni minuscoli che la vita stessa ci dispensa senza nulla volere in cambio. Lettura pacata, calda e avvincente quella di Ho da dirti in segreto.» (Colomba Di Pasquale)
«Per avere indagato il complesso tema dei rapporti, scrivendo e descrivendo un legame, l’amore “la pace chiara”, come l’arte “l’opera compiuta”.» (Filippo Amadei)
Gregorio Iacopini (1996) è nato a Poggibonsi e cresciuto a Castelfiorentino. Studente di Filosofia all’Università di Pisa, amante della poesia, frequenta la Scuola di Poesia di Castelfiorentino diretta dal poeta Massimiliano Bardotti. Con la Scuola partecipa ad alcune letture pubbliche tra Castelfiorentino e Certaldo. Interviene poi nel luglio 2019 alla kermesse annuale organizzata da Fara Editore nel monastero di Fonte Avellana con un dialogo poetico scritto a quattro mani col poeta Massimiliano Bardotti .
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«Per il cantare lieve e maestoso della natura, intrecciata alla condizione umana, con versi forti e profondi, lievi e misurati. Per il “domandare la verità” e saperla raccogliere “fra le dita”.» (Filippo Amadei)
«Dietro Il colore dei ciliegi c’è un autore in crescita.» (Michele Brancale)
Gianpaolo Anderlini si dedica da quarant’anni a studi sull’ebraismo e ha focalizzato il suo interesse sull’interpretazione ebraica dei Salmi. È redattore della rivista QOL che si occupa del dialogo ebraico-cristiano. Tra i libri pubblicati si segnalano: Parole di vita (Giuntina 2009), Ebraismo (EMI 2012), I quindici gradini. Un commento ai Salmi 120-134 (Giuntina 2012), Per favore non portateli ad Auschwitz (Wingsbert, 2015), Qabbalàt Shabbàt. Meditazione sui salmi del Sabato (Aliberti 2017), Giobbe. Opera in versi (Fara 2018).
Doroty Armenia è nata a Modica (RG) e vive a Rosolini. Laureate in Lettere con indirizzo archeologico è guida in siti del suo territorio. Attualmente lavora presso un’azienda agro-ittica di Noto. Ha pubblicato con EreticaEdizioni Un somnio de nejente.
«Colpisce l’originalità dell’accostamento fra due dimensioni della spiritualità che invitano al trascendimento dell’effimero in un assoluto che trova nel verso un passo ideale, imprevedibile ma fermo, e in grado di assecondare i silenzi che circondano un pensiero poetante molto suggestivo.» (Salvatore Ritrovato)
Marco Marchi è nato a Longiano.nel 1944. Ha pubblicato i seguenti romanzi: Quelli dell’Eldorado (Longo Editore 1986, ripubblicato nel 2007 da Alberto Perdisa Editore), Il gelato è una cosa seria (Diabasis 2004), Terra e destino (Alberto Perdisa 2008, premio Pescara), Sulle orme di Rocky Marciano (Europa edizioni 2017, premio giuria Milano international), Gianni di Bologna. Vita e follie di un maestro del gelato (Editore Persiani 2019). Le sue opere sono state recensite da autorevoli critici: Renato Minore sul Messaggero, Paolo Ruffilli sul Resto del Carlino. Raffaele Crovi sul Giorno, Michele Prisco sul Mattino di Napoli. Lorenzo Mondo su Stampa libri. La presente raccolta di poesie è la prima in dialetto romagnolo.
Al premóuri dla Martina
U m l ’azènd cmè fóss
un zìr ma San Franzèsc.
Póu, quan la vèd che lóu e’ ciàpa fug,
la s mét disdè sòura e u mé smórta.
Le premure di Martina. / Me l’accende come fosse / un cero a San Francesco. / Poi, quando vede che lui prende fuoco, / ci si siede sopra e lo spegne.
«Una disperata e patologica poesia più pornografica che erotica, ma che dietro il fragile muro della trivialità lascia trasparire il racconto di una malattia d’amore. Il dialetto permette all’autore o autrice, di dire in versi quello che in lingua sarebbe mediocrità, se non spazzatura.» (Andrea Biondi)
[Nota dell’Autore: “Il dialetto è la lingua del popolo, senza mediazioni, diretta, cruda, vibrante. Quando si scrive in dialetto bisogna pensare in dialetto. I protagonisti delle mie poesie sono uomini semplici, temono di essere sopraffatti dai sentimenti che non saprebbero governare, e si difendono sottraendo all’amore la sua componente spirituale. E il sesso lasciato a sé stesso diventa implacabile, crudo, brutale. Ma l’uso del dialetto lo espurga da ogni volgarità, e anche le espressioni più spinte acquisiscono una nota nello stesso tempo dolce e dolente. I termini pesanti che uso non sono mai gratuiti (pornografia) ma funzionali, necessari, costituiscono un argine contro le insidie del mondo intricato dei sentimenti.]
«Per la forza del dialetto nell’affrontare un tema “a luci rosse”.» (Filippo Amadei)
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica.Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018).
Marinella Acciarri è nata a San Benedetto del Tronto (AP) e risiede a Massignano (AP). Maturità classica, laurea in Scienze Agrarie, tre abilitazioni per l’insegnamento, un master di I livello. Ha seguito anche diversi corsi di perfezionamento e specializzazione. Ha fatto la ricercatrice per molti anni ma dal 2003/2004 è docente a tempo indeterminato di Scienze degli Alimenti presso l’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Carlo Urbani” – Indirizzo Alberghiero – di Porto Sant’Elpidio (FM).
Michele Caliano è nato ad Avellino il 2 settembre 1963. Vive a Montoro (AV). Si è diplomato all’Istituto tecnico commericale di Solofra (AV). Astrofilo dall’inizio degli anni ’80, ha conseguito negli anni ’90 l’Attestato del corso in Astrofisica presso l’Osservatorio di Montecorvino Rovella (SA). Socio del Gruppo Culturale Francesco Guarini è appassionato di Cosmologia e divulgatore scientifico nelle scuole Medie statali e presso alcune radio del territorio. Con Fara ha pubblicato nel 2019 Theory of Infinity.
«Pensieri Filosofici o filo soffici è un maldestro divertissement simpaticamente cafone. Si muove tra il triviale e l’ironico, come il racconto di un cantastorie impacciato e burlone. Ha l’onestà, questo va riconosciuto, di esplicitarsi per ciò che è, senza pretese. Meglio sicuramente di tanta poesia che maschera la goffaggine con verso noiosi e altisonanti.» (Andrea Biondi)
«Pensieri filosofici o filosoffici può assumere maggiore scioltezza liberandosi da alcune concettuosità che frenano un po’ la lettura.» (Michele Brancale)
«Canzoni sono epigrammi, quasi fotografie, che rivelano possesso di linguaggio e capacità di declinazione.» (Michele Brancale)
«Ho visto una luce lontana è una raccolta che nell’ultima parte esprime cura e compattezza al contrario della prima parte. È auspicabile una limatura che renda la raccolta più organica ai fini di una sua pubblicazione.» (Michele Brancale)
1° class.
In crepa di melograne di Matteo Bonvecchi (Montecassiano, MC)
La giara bucata
Chi sa mai se vivere è morire e morire è vivere? (…) perché proprio questi sono i più infelici: condannati a versare acqua in un orcio forato con un vaglio anch’esso forato.
(Platone, Gorgia, 493b)
Dal pendio con tutta quell’erba,
dai monti dalle grame ginestre
di nuovo la notte invade la piana.
Fessura d’infinito – mi chiedo
quest’inquietudine che preme?
Sempre in affanno crede
l’insaziabile piviere
alla sua pienezza, alla sua paura – risponde
ma né per famelico appetito
né per vuoto d’estinzione
avrà fecondità la vita.
Odiarla per dispiegarne il possibile
decoincidere per offrirle avvenire
non regredire a un’origine beata
è tenere aperta la ferita
del desiderio senza fine.
La giara è bucata
solo perché comunichi, condivida.
Perché si doni.
«Dal punto di vista poetico, In crepa di melograne è un’architettura estetica che poggia su continui rimandi a fatti, parole e personaggi neotestamentari, collocati nel loro reale e preciso e sacro paesaggio; ma da una prospettiva più religiosamente profonda, la silloge si impone quale Tempio di preghiera, denso mosaico paradossalmente maestoso ed intimo, discreto, nello stesso tempo. Il centro di tutto è il Cristo, che incarna la stessa dicotomia: “leone dal viso d’agnello”, e appare contemporaneamente nella sua luce abbacinante e nella sua kènosis: la spoliazione dalla maestosità divina. Eccellente raccolta, In crepa di melograne rilegge spunti autobiografici e ricerca spirituale, tramite il simbolismo della crepa-ferita-taglio, nel senso del nostro desiderio di gettare uno sguardo discreto e angoscioso sul divino: “Quale prossimità d’angoscia/e promessa di luce è questa/penombra la condizione / che più ci appartiene”.» (Andrea Biondi)
«L’autore assume con scioltezza il linguaggio biblico e lo declina, con alcuni riferimenti reborariani, nella geografia dell’Asia minore per cogliervi “l’indicibile presagio” della morte e la profezia del futuro.» (Michele Brancale)
2° class.
Itaca deserta ruggine di Francesco Randazzo (Ronciglione, VT)
Francesco Randazzo, siciliano della diaspora, sovente col cervello in fuga all’estero, è scrittore e regista. Ha pubblicato, con vari editori, testi teatrali, poesie, racconti e tre romanzi; ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi e festival nazionali e internazionali.
Itaca deserta ruggine
Scrosto i licheni dai pilastri della piattaforma,
sento il metallo corroso come sabbia e l'odore
di ferro e mare stride sulla pelle e sul cuore.
Io non sono più io, mi sono perso troppo a lungo,
troppe vite ho vissuto, troppi errori, troppo tutto.
E infine, stanco, a me stesso straniero, eccomi
qui, ad Itaca, il relitto fragile e duraturo, l'unica casa.
Non c'è un cane ad accogliermi, nessuno qui ormai,
soltanto fantasmi nemici, bulloni slentati, ruggine.
La mia reggia è soltanto una baracca semidistrutta,
la maceria polverosa del tempo mi bracca spietata.
Dal mare un'alga, per vent'anni, è affiorata sul ferro,
bramando l'aria salmastra, nell'illusione della terra,
è salita fino in cima, sulla piattaforma arida dove
ha saputo trasformarsi in albero, spezzata l'illusione,
ha pianto dai rami, vincendo la morte, s'è fatta salice,
e nella solitudine, sul ferro piantato nel mare, persiste.
Il vento che l'accarezza fa fremito di foglie e sospiri.
Un pescecane ha spezzato i suoi denti
sulla mia coscienza, morendo esausto.
«La riscrittura del mito di Ulisse, e in particolare dell’episodio finale del nostos, appare molto interessante in quanto coniuga l’esperienza delle note vicissitudini dell’eroe greco con l’impresa sempre parziale di una memoria che è sempre in movimento, in un verso – tra l’altro – ampio e accogliente, grazie alla sua capacità di distendersi in pause e slanci.» (Salvatore Ritrovato)
«Il poeta Josè Saramago ha scritto: Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Dunque, il ritorno e il viaggio, la memoria che racconta il chi sei: è questo il filo conduttore della silloge Itaca deserta ruggine. Con versi e ritmo incalzanti, l’autore si sovrappone all’Ulisse, al suo viaggio, alle sue rinunce ed avventure per rivivere attraverso lui, sé stesso o il destino di tutti i sognatori, insaziabili di vita. Ecco, quindi il ritorno, lo sbarco all’ agognata Itaca che gli appare polverosa ed arrugginita: Io non sono più io, mi sono perso troppo a lungo, / troppe vite ho vissuto, troppi errori, troppo tutto. / E infine, stanco, a me stesso straniero, eccomi / qui, ad Itaca, il relitto fragile e duraturo, l’unica casa. Penelope è dissolta e tutto sembra svanito nei ricordi. “Troppo tardi” ripete la sua voce interiore, lasciando parlare l’eco dei rimpianti: quel suo essere nato con lo sguardo fisso, perso all’orizzonte, all’altrove, all’andare. La vita un prurito continuo, grattarsi ovunque e senza pace mai. Le avventure ed i ricordi si sovrappongono, arricchiscono consapevolezze e rimorsi, ripercorrono le tappe del pentimento: ci sono i piedi perfetti di Calipso, la bianca pelle di Nausicaa e Circe, la spada del mio dubbio. Per ciascuna, un racconto, un’emozione o un rammarico: non c’è scelta che non abbia le sue cicatrici. Alla fine del viaggio, del tormento e dei bilanci, resta solo la speranza: Ci sarà un tempo senza tempo, / dove potremo estenderci / in un punto soltanto / ma profondissimo. / Cadere sarà come volare.» (Elena Varriale)
3i class. ex aequo
Haiku di Sonia Gardini (Savignano, FC)
Sonia Gardini, nata a Savignano s/Rubicone nel 1948, è vissuta a Sant’Angelo di Gatteo. Dopo la laurea, si è trasferita a Brescia dove ha operato quale insegnante di Materie letterarie e, poi, di sostegno nella scuola media. Nel 2006 ha pubblicato con Fara Editore una raccolta poetica dal titolo Dove allunata?
1
Giunge la sabbia
con sembianze dorate
al blu del mare
2
Oltrepassano
le collinose dune
ardui viandanti
3
Al meriggiare
lasciano il villaggio
aspri beduini
«Questi 70 haiku sono Odi alla natura delle cose e dell’uomo che le vive. Haiku scritte per la sera e il giorno venturo. Una poesia apparentemente minima ma ricolma di stelle, di albe e tramonti sul mare, anche di vita estiva. Saremo sabbia /bianca come la neve / sopra la duna. Poi d’improvviso una stoccata: Serve un faro / nella vita di tutti / per orientarsi. Proprio vero che: Quasi morire / è sdraiarsi al caldo.» (Colomba Di Pasquale)
«Raccolta compatta, che indulge a qualche variazione metrica sull’impianto tradizionale dell’haiku. È volta a cogliere ciò che della vita si rivela prezioso e diventa bagaglio nel tempo in cui ci si sente “perdere”.» (Michele Brancale)
«Per la descrizione fotogrammatica di scenari naturali intrecciati alla condizione umana.» (Filippo Amadei)
Ho chiesto scusa agli ulivi di Marco Statzu (Guspini, OR)
Nato nel 1979, ultimo di quattro fratelli, Marco Statzu è prete della diocesi di Ales Terralba dal 2004. Dopo aver conseguito il Dottorato in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana è docente incaricato (Teologia Dogmatica, Antropologia Teologica ed Escatologia) presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna e collabora con alcune parrocchie della sua diocesi. Ha trascorso un anno nel Monastero di Bose, approfondendo il suo rapporto con Dio e con l’uomo e con il creato. Di sé dice: «Scrivo poesie, cerco Dio tra gli uomini e l’umanità in Dio. Tento di vivere in un eremo che si fa casa accogliente per chi cammina e fatica. Coltivo un orto e la mia anima». È direttore della Caritas diocesana di Terralba. Ha pubblicato Terralba dal Medioevo ai giorni nostri. Storia, tradizioni e persone (Selas, Terralba 1998), Mistica dell’Incarnazione. Per una conoscenza affettiva di Dio (Glossa, Milano, 2018), Tra disastri e desideri (Fara, Rimini) entrambi nel 2010 ed Erano lacrime le mie (prefazione di Enzo Bianchi, Graphe.it 2018).
LA COLLINA DAVANTI A CASA
(A Giuseppina)
Ho chiesto scusa agli ulivi
a queste pacifiche piante
per aver ordinato di tagliarle.
Ho chiesto perdono
abbracciandoli uno ad uno
come fratelli minori sul letto di morte
per non aver saputo proteggerli.
«E siccome siete alberi di pace –
ho detto loro singhiozzando –
risorgete ancora una volta
a portare speranza tra queste colline».
(Sant’Anastasia, Sibiri, 26 dicembre 2018, h 9.10)
«L’autore si muove con una certa padronanza su diversi registri stilistici sulla forza della Parola ricevuta e quella da trasmettere, con un delicato sguardo sulla vita degli altri e degli esseri che appaiono inanimati come gli ulivi “fratelli minori”.» (Michele Brancale)
«Per avere fatto della scarnificazione del verso un veicolo potente di significato, che ti fa capire, in un modo del tutto inaspettato, che “non sempre dopo il due viene il tre”.» (Filippo Amadei)
Opere votate
Ho da dirti in segreto di Adalgisa Zanotto (Marostica, VI)
Adalgisa Zanotto vive a Marostica. Moglie e madre di tre figli, lavora presso un Ente Pubblico. È attiva nel volontariato sociale. Suoi racconti e poesie sono inseriti in diverse opere collettanee. Ha ricevuto vari riconoscimenti: con Fara ha vinto la sez. Racconto del concorso Rapida.mente 2015 con pubblicazione nella omonima antologia. Nel 2016 dà alle stampe la raccolta di racconti (selezionati anche dal concorso Faraexcelsior), Celestina. Seconda ex aequo al concorso Versi con-giurati, ha ricevuto la pubblicazione premio della raccolta Sussurri e respiri (2017). Nel 2018 ha pubblicato la raccolta poetica D’ora in poi, ispirata alla testimonianza di Maria Cristina Cella Mocellin. È presente in numerose antologie.
a Beppe
nella gratitudine per l’amore tra noi
credo a questo cambiamento
di sguardo pratico sulla vita e la morte
in questo scarto scorre l’esistenza
lasciando ribaltare nell’ora imprevista
tutto ciò che non chiamo vita
prima_dietro_ sotto
in abisso di anima_ spazio_affetto
la resurrezione è all’opera
«Il movimento di ri-torno: l’essenza di questa silloge che va e torna. Va dalle piccole ma grandi cose del quotidiano, piccoli movimenti, gesti quasi impercettibili, quel canto poetico della normalità che la fa diventare sublime. La preziosità dei frammenti di tempo e quindi di vita, piccole pepite di luce.
L’orto muove in fretta / all’indietro una storia vera – poesia che culla e narra, che non nasconde ma che rivela come fosse un testamento – resta ogni tua parola bella – e poi il sentimento di accoglienza tanto necessario in questo tempo di chiusura – m’insegni il confine aperto – un inno a chi si ama ma più concretamente alla vita stessa. Mai come in questa silloge torna Patrizia Cavalli quando sostiene che non esiste l’amore, esiste chi ami e in questo potremmo sostenere la vita stessa. Ho da dirti in segreto non fa affatto mistero del suo messaggio, melanconico e dolce al tempo stesso, quello che essere felici e nell’accorgersi di chi ci sta accanto e dei doni minuscoli che la vita stessa ci dispensa senza nulla volere in cambio. Lettura pacata, calda e avvincente quella di Ho da dirti in segreto.» (Colomba Di Pasquale)
«Per avere indagato il complesso tema dei rapporti, scrivendo e descrivendo un legame, l’amore “la pace chiara”, come l’arte “l’opera compiuta”.» (Filippo Amadei)
Il colore dei ciliegi da febbraio a maggio
di Massimiliano Bardotti e Gregorio Iacopini (Castelfiorentino, FI)
Massimiliano Bardotti (1976) è nato e vive a Castelfiorentino. Poeta e attore, è presidente dell’associazione culturale Sguardo e Sogno fondata da Paola Lucarini. Pubblica tra gli altri: Il Dio che ho incontrato (2017 Edizioni Nerbini), recensito da Anna Maria Curci, Alessandro Ramberti e molti altri; I dettagli minori (2018 Fara Editore), opera di poesia e prosa dalla quale è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale interpretato insieme a Viviana Piccolo; Diario segreto di un uomo qualunque, appunti spirituali (2019 Tau Edizioni) citato da La libreria del Santo e recensito da Elena Buia Rutt sull’Osservatore Romano. Dal 2014 idea il corso di scrittura ri-creativa: Cut-up, la sartoria delle parole, condotto a Empoli, Prato e Castelfiorentino, dove nel 2017, fonda la Scuola di scrittura Poetica La poesia è di tutti presso l’ass. cult. OltreDanza. Dal 2018 conduce: L’infinito, la poesia come sguardo: Ciclo di incontri con poeti contemporanei al san Leonardo al palco di Prato, che diventa anch’esso sede della Scuola di poesia.
Un’intensità quasi di neve
Siamo l’acqua versata sulle pietre dei morti
sul filo teso tra la preghiera e il canto
siamo la neve dentro le cose
(Pierluigi Cappello)
Ogni giorno si fa più vicino il giorno
nel quale con i vivi
si confonderanno i semprevivi.
China il capo, l’estate
e tutta la giovinezza d’un tempo
si fa volto straniero.
Dilaga un senso di quasi sereno
mentre anche il cielo annuncia
lo sfiorire dei giorni.
È ora, un’intensità quasi di neve
ma no, non ancora, quasi.
La bellezza comincia sempre
un attimo prima di accadere.
«Per il cantare lieve e maestoso della natura, intrecciata alla condizione umana, con versi forti e profondi, lievi e misurati. Per il “domandare la verità” e saperla raccogliere “fra le dita”.» (Filippo Amadei)
«Dietro Il colore dei ciliegi c’è un autore in crescita.» (Michele Brancale)
Distopie di Gianpaolo Anderlini (Fiorano, MO)
Distopia I
Il gelo mi trafigge non mi lascia
scampo mentre la musica monotona
del vento mi addormenta (ho sempre odiato
la montagna il sudore e la fatica
inutile non credo che la vetta
mi porti più vicino a Dio per ripidi
sentieri e rocce ardite) sono figlio
della pianura e di colline dolci
e riposanti (perso in orizzonti
di nebbia piatta e di torrenti lenti
e addormentati scrivo sullo specchio
appannato del cielo la parola
noia e mi lascio trascinare dove
mi porta l’indolenza della strada
fino ai bordi del mare e mai in alto)
e non andrei in alcun luogo altrove
«La distopia è il modo disincantato in cui il poeta guarda la realtà: mi lascio / attraversare dal crivello del / dubbio e m’illudo d’essere un cartesio / assetato d’umana solitudine. Nella prima parte della silloge, si lascia catturare dagli occhi freddi della ragione: l’utopica illusione / che si possa conoscere sé stessi / e poi provare a resettare il mondo / (s’impara solo nella sofferenza?) per poi, lentamente, sciogliersi in quelli teneri del bambino che osserva il padre o il nonno: in cielo ride Dio con i suoi gatti. L’intento dei versi è chiaro e coeso. Si tratta di un viaggio interiore tra le domande che non hanno risposte e l’esperienza faticosa, dolorosa del vivere e del conoscere. È il momento amaro dei bilanci e in ogni chiusa delle sue distopie, il poeta lascia un punto di domanda o una nuova consapevolezza su cui indugiare e riflettere: dalla finestra aperta mi accompagna / il ritmato tubare delle tortore / l’ubiquitario accendersi del sole/ed il nulla che non vuole farsi tutto. Ma il suo è anche il momento della verità e della solitudine. Dei “senza”. Non è un caso che l’autore titoli alcune sue distopie, come la XI (Es)senza, chiudendo nelle parentesi, tutto ciò che distrae dalla mancanza o dall’arresa: senza / pietà le pagine del mondo scorrono / mentre l’ombra del vincitore / devasta il formicaio. La poesia può anche farsi gioco di parole, d’inventiva e nella Distopia XXXVIII/Echi, il poeta ritrova l’innocente trasgressione del creare: (e se) così comincia l’avventura / (oggi) in quel domani che non viene / (provassimo) così come sperato / (a sognare) nel fango dell’attesa / (senza maschera) sono nudo e tremo / e spero come sperano i bambini. E se oggi provassimo a sognare senza maschera? Ecco, il suo invito a sognare con occhi innocenti: quando il (Senza) dell’adulto incontra il (Con) del bambino, il dubbio cartesiano si scoglie nella tenerezza dell’amore e della fratellanza: ed io non ho paura di pregare/ un altro dio senza chiese senza/ preti comandamenti e testi sacri / solo l’afflato che ci fa fratelli /ed ora posso spegnere la luce.» (Elena Varriale)
Sure orfiche di Doroty Armenia (Rosolini, SR)
I
(L’aprente)
1.
Egli bulica
d’insetti. È mangiato,
brucato dai pidocchi. Egli ha le tempie
sbucciate, bucati talloni e ginocchi.
2.
Chi dei suoi si esporrebbe,
per scenderlo dalla croce?
3.
È evaso il
violato giardino,
con stoltezza viva, mutilato.
«Colpisce l’originalità dell’accostamento fra due dimensioni della spiritualità che invitano al trascendimento dell’effimero in un assoluto che trova nel verso un passo ideale, imprevedibile ma fermo, e in grado di assecondare i silenzi che circondano un pensiero poetante molto suggestivo.» (Salvatore Ritrovato)
Agl’òuri dla féiga di Marco Marchi (Longiano, FC)
Marco Marchi è nato a Longiano.nel 1944. Ha pubblicato i seguenti romanzi: Quelli dell’Eldorado (Longo Editore 1986, ripubblicato nel 2007 da Alberto Perdisa Editore), Il gelato è una cosa seria (Diabasis 2004), Terra e destino (Alberto Perdisa 2008, premio Pescara), Sulle orme di Rocky Marciano (Europa edizioni 2017, premio giuria Milano international), Gianni di Bologna. Vita e follie di un maestro del gelato (Editore Persiani 2019). Le sue opere sono state recensite da autorevoli critici: Renato Minore sul Messaggero, Paolo Ruffilli sul Resto del Carlino. Raffaele Crovi sul Giorno, Michele Prisco sul Mattino di Napoli. Lorenzo Mondo su Stampa libri. La presente raccolta di poesie è la prima in dialetto romagnolo.
Al premóuri dla Martina
U m l ’azènd cmè fóss
un zìr ma San Franzèsc.
Póu, quan la vèd che lóu e’ ciàpa fug,
la s mét disdè sòura e u mé smórta.
Le premure di Martina. / Me l’accende come fosse / un cero a San Francesco. / Poi, quando vede che lui prende fuoco, / ci si siede sopra e lo spegne.
La sgrazìda
La è tóta nóuda s’al gambi spandlóun zò mé lèt.
La i à i cavéll rézz e la faza straca.
La s guèrda agli óngi di pì se smèlt vèc:
“Oz – la i déis – t’a n vu fé niént?”
La disgraziata. / È tutta nuda con le gambe penzoloni giù dal letto. / Ha i capelli ricci e la faccia stanca. / Si guarda le unghie dei piedi dallo smalto vecchio: / “Oggi – gli dice – non vuoi far niente?”
«Una disperata e patologica poesia più pornografica che erotica, ma che dietro il fragile muro della trivialità lascia trasparire il racconto di una malattia d’amore. Il dialetto permette all’autore o autrice, di dire in versi quello che in lingua sarebbe mediocrità, se non spazzatura.» (Andrea Biondi)
[Nota dell’Autore: “Il dialetto è la lingua del popolo, senza mediazioni, diretta, cruda, vibrante. Quando si scrive in dialetto bisogna pensare in dialetto. I protagonisti delle mie poesie sono uomini semplici, temono di essere sopraffatti dai sentimenti che non saprebbero governare, e si difendono sottraendo all’amore la sua componente spirituale. E il sesso lasciato a sé stesso diventa implacabile, crudo, brutale. Ma l’uso del dialetto lo espurga da ogni volgarità, e anche le espressioni più spinte acquisiscono una nota nello stesso tempo dolce e dolente. I termini pesanti che uso non sono mai gratuiti (pornografia) ma funzionali, necessari, costituiscono un argine contro le insidie del mondo intricato dei sentimenti.]
«Per la forza del dialetto nell’affrontare un tema “a luci rosse”.» (Filippo Amadei)
Gioventù e preludio (1972–1979) di Guido Galdini (Rovato, BS)
Guido Galdini (Rovato, Brescia, 1953) dopo studi di ingegneria opera nel campo dell’informatica.Ha pubblicato le raccolte Il disordine delle stanze (PuntoaCapo, 2012), Gli altri (LietoColle, 2017), Leggere tra le righe (Macabor 2019) e Appunti precolombiani (Arcipelago Itaca 2019). Alcuni suoi componimenti sono apparsi in opere collettive degli editori CFR e LietoColle. Ha pubblicato inoltre l’opera di informatica aziendale in due volumi: La ricchezza degli oggetti: Parte prima – Le idee (Franco Angeli 2017) e Parte seconda – Le applicazioni per la produzione (Franco Angeli 2018).
l’afa ci ha detto che era sciolto il sole
cammina verso l’incontro tra gli sputi e
l’asfalto, sui crocifissi ai muri che
stanotte pioggia annegherà sorridente
queste sono le lacrime di trucco, le
bugie ribaltate sul trapezio, la prospettiva
diverge dal punto, sono
le ortiche e le foglie di gatto
l’oscura domestica selva
luce d’oceano, povera sera di quattropassi
gioca sull’orlo dell’esperienza
tra il vivente e l’appassito fiore.
[1977]
«Per la potenza espressiva e la visione lirica che, attraverso una scelta lessicale curata, trasformano le parole in “tutt’un’altra voce”.» (Filippo Amadei)
Un pezzetto di me di Marinella Acciarri (Massignano, AP)
Marinella Acciarri è nata a San Benedetto del Tronto (AP) e risiede a Massignano (AP). Maturità classica, laurea in Scienze Agrarie, tre abilitazioni per l’insegnamento, un master di I livello. Ha seguito anche diversi corsi di perfezionamento e specializzazione. Ha fatto la ricercatrice per molti anni ma dal 2003/2004 è docente a tempo indeterminato di Scienze degli Alimenti presso l’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Carlo Urbani” – Indirizzo Alberghiero – di Porto Sant’Elpidio (FM).
IN UN UNICO AMORE
Dolce la tua voce arriva alle mie orecchie
Tenue calore entra a rassicurare il cuore
e un nodo eterno lega il mio pensiero al tuo
Piano il tuo sguardo si posa sui miei occhi
Dolce musica carezza l’anima
e un’unica visione lega gli occhi miei ai tuoi
Piano le tue mani sfiorano il mio corpo
Forte un brivido la mia schiena percorre
e un indissolubile abbraccio fonde il mio corpo al tuo
Tenue, dolce, tenero penetra il tuo cuore il mio
e una passione infinita chiude occhi dentro occhi
cuore dentro cuore
anima dentro anima
finché un sigillo le nostre vite chiude in un unico amore
«C’è una Poesia che alterna dolore e amore, presenza e assenza, rotture e ricuciture, quell’eterno vivere e morire necessari a sentire la vita nei suoi più immediati e celati respiri. La Poesia come terapia e come analgesico, la Poesia come lirismo e abbandono che tutto contiene e tutto restituisce a chi la legge. La Poesia che rivela e di certo in questa silloge nulla tace, anzi grida. Poesia che scuote – Portate via questo odore / questo odore di pena e di morte – e che fa risorgere – ridatemi il profumo / il profumo dei miei fiori. I poeti che spesso scrivono della morte sono fortemente ancorati alla vita. C’è in questi versi l’eco lontana di chi come Emily Dickinson ha fatto della contemplazione e del ricordo una luce eterna. Dammi ancora del tempo, / tempo perché non sia già morta la vita. In certa Poesia ci si riconosce immediatamente, ci si ritrova e ci si perde. La Poesia “approdo” alla riva sognata, la Poesia che cura e lenisce gli acciacchi della vita. Ascolta l’amore che non muore: felice monito per chi spesso dimentica d’amare e di lasciarsi amare. E non da ultimo: non sfiorare le mie mani / potresti toccare il mio cuore.» (Colomba Di Pasquale)
Pensieri Filosofici o filo soffici di Michele Caliano (Montoro, AV)
Abbiamo visto il futuro
il presente è arrivato
non diverso dal passato
storia ed eventi riepilogati
simili, uguali, tutti susseguiti
Il pianeta si è essiccato
l’acqua tutta evaporata
La vita è cambiata, trasformata, evoluta
i geni si sono riadattati
la vita si è allungata
gli organismi riescono a rigenerarsi
non temono alte e basse o estreme temperature
l’essere umano i suoi sensi esterni ha potenziato
metà macchina, metà biologico è diventato
anche il cervello ha modificato
non mangia più alimenti
solo energia dai solari venti
così da evitare la morte di animali ed esseri viventi
in passato torturati, ammazzati, vivisezionati
«Pensieri Filosofici o filo soffici è un maldestro divertissement simpaticamente cafone. Si muove tra il triviale e l’ironico, come il racconto di un cantastorie impacciato e burlone. Ha l’onestà, questo va riconosciuto, di esplicitarsi per ciò che è, senza pretese. Meglio sicuramente di tanta poesia che maschera la goffaggine con verso noiosi e altisonanti.» (Andrea Biondi)
«Pensieri filosofici o filosoffici può assumere maggiore scioltezza liberandosi da alcune concettuosità che frenano un po’ la lettura.» (Michele Brancale)
Canzoni di Diego Pederneschi (Cremona)
Diego Pederneschi (Cremona 1973) svolge l’attività di Insegnante di musica, ha pubblicato le raccolte poetiche: Concertino (Ensemble 2016), Bagatelle (Rue de la fontaine 2017), Cadenze d’inganno (Oèdipus 2019), partecipa a reading organizzati dal circolo poetico Correnti con il progetto “Poesia a parole note”.
dalle cose
Che una foglia
cada,
lo fa titubando
e il ripudio
scatta l’attimo
prima del bacio.
Al vino
che si spande
sulla tovaglia
una voglia
con grazia
di dire.
«Musica e parola viaggiano insieme, nella silloge monostrofica Canzoni, in un ritmo coeso ed intenso: Il ramo / accarezza la stella, / o la spela, / di norma, / senza coraggio, / senza un amo. In tutte le poesie, l’eufonia non comprime mai il contenuto: Succhiato / dal fondo del letto, / preso nel blu / del lenzuolo, / è d’uopo / l’eterno. Nella silloge, la partitura sembra farsi verso ed il verso diffonde note. Sillaba, suono e senso si fondono nelle assonanze: Un uomo/con grande/spreco/di sbieco/s’è sparso/in suono. A volte, si fanno piccoli quadri del quotidiano: Pelli e case/aperte / al mattino / con sonni / rimasti/nei vetri. Qualcuna, infine, lascia intravedere un sorriso ironico, saggio: Nell’aia / e nell’aiola / tizi / in posa / da nobile / fiore.» (Elena Varriale)
«Canzoni sono epigrammi, quasi fotografie, che rivelano possesso di linguaggio e capacità di declinazione.» (Michele Brancale)
Segnalazione
Ho visto una luce lontana di Maria Finco (Cittadella, PD)
Maria Francesca Romana Finco, nata a Roma il 12.04.1958, laureata in Scienze della Formazione a Padova, Specializzazione: Diritti Umani e Disabilità, Insegnante di Tecniche di Animazione. Lavora nell'area della Disabilità occupandosi di progetti di inclusione sociale. Scrive poesie dall'infanzia esprimendo la realtà della sua vita filtrata attraverso una luce interiore.
LA PACE NASCOSTA
Io e te… Amore
Nascosti dietro il letto
Per difenderci dagli inopportuni
Ti abbracciavo forte
E tu dormivi
Piano piano le voci
Al pian terreno se ne andavano
Ti annusavo dolce di me
Il tuo respiro era il mio
Appoggiavo le mie labbra
Sulla tua fronte, figlio!
Dormivamo così!
Tra un sussulto e l’altro
Nel silenzio rotto dagli inopportuni
Non c’era tempo per le lacrime
Ma solo per un piccolo sogno.
«Ho visto una luce lontana è una raccolta che nell’ultima parte esprime cura e compattezza al contrario della prima parte. È auspicabile una limatura che renda la raccolta più organica ai fini di una sua pubblicazione.» (Michele Brancale)
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