Ringraziamo di cuore i giurati – Colomba Di Pasquale, Eleonora Rimolo, Filippo Amadei, Francesco Filia, Gregorio Iacopini e Raffaela Fazio – della sez. Poesia (per la sezione Narrativa/saggio v. qui) del Narrapoetando 2022 che dopo attenta valutazione hanno così deliberato:
di Marco Marchi (Longiano, FC)
Marco Marchi è nato a Longiano (FC) il 10 giugno 1944. Ha scritto 5 romanzi: Quelli dell’Eldorado (Longo 1986), Il gelato è una cosa seria (Diabasis 2004), Terra e Destino (Perdisa 2008), Quelli dell’Eldorado (ripubblicato con Perdisa Editore nel 2007), Sulle Orme di Rocky Marciano (Ed Europa 2017), Gianni Di Bologna (vita e follie di un grande gelatiere) (Persiani Editore 2019). Poesie dialettali: OS-CIA! (Ponte Vecchio 2020)
«Dal profondo della lingua natia emerge una visione di un mondo che assume senso attraverso la continuità e le generazioni che si passano la parola e i gesti della loro quotidianità. Ma al tempo stesso la raccolta riesce a esprimere la parola dialettale senza mai cadere nel bozzettistico. È presente una sapienza profonda e familiare nei versi di queste poesie, che illumina e consola, attraverso un dettato che si apre sia alla dolcezza che all’asperità dei suoni.» (Francesco Filia)
«La raccolta è ben compatta per tema e stile, l’uso del dialetto la connota e la colloca nel contesto dialettale, particolarmente vivace e ancorato alla descrizione una realtà solida, fatta di immagini poetiche chiare e di impatto emotivo.» (Eleonora Rimolo)
«È sempre esistita una poesia semplice ed autentica: quella che racconta le genti (ritrat), la pianura (Longiano), le stagioni e le incertezze dell’anima. In I sarèm sèmpra ci si imbatte in epitaffi che ricordano una Spoon River tutta romagnola ossia Longiano: il luogo in cui tutto accade e intorno al quale si dipana la poesia da sotto la nuda terra fino ad affiorare sopra la terra per arrivare Dòentra l’amna. Il ritratto preferito è La mi moi: sagace fotografia di certe verità coniugali. Ma l’ironia cede il passo alla morte che presenzia alla vita, quella vita che non è tale senza il Sanzvoès. Sul finale il poeta, dopo averci fatto viaggiare tra le vie di Longiano, nella pianura e nell’animo romagnolo, ci lascia con una poesia dal titolo La è dóura che è una sorta di invito a vivere nonostante tutto. Questa silloge ci restituisce una lingua ancora viva e pulsante: il “romagnolo” dagli orizzonti sconfinati, allegro e che non si arrende mai.» (Colomba Di Pasquale)
«La dimestichezza col dialetto non è indispensabile per sospendere il nostro posto e immergerci in un altro tempo e in un altro luogo, in mezzo a tanti personaggi curiosi e un paese tornato alla vita. Ci hanno dato un cesto di ciliegie e noi ne siamo così parsimoniosi che le facciamo marcire. A Ferrara uno sguardo tenero ci dice come assimilarne la dolcezza: allora, davanti all’impressione delle cose che spariscono, potrà più convincerci il canto del ricordo - “Ci saremo sempre”.» (Gregorio Iacopini)
«Una sorta di originale Spoon River romagnola in cui la forza espressiva del linguaggio dialettale ci riporta come un vento la vita di una volta, che parla profondamente alla vita odierna di tutti noi.» (Filippo Amadei)
II class.
Devarìm ‘acherìm” (Parole altre)
di Gianpaolo Anderlini (Fiorano, MO)
Nato nel modenese, ove tuttora risiede, Gianpaolo Anderlini si dedica da quarant’anni a studi sull’ebraismo e ha focalizzato il suo interesse sull’interpretazione ebraica dei Salmi. È redattore della rivista QOL che si occupa del dialogo ebraico-cristiano. Tra i libri pubblicati: Parole di vita (Giuntina 2009), Ebraismo (EMI 2012), I quindici gradini. Un commento ai Salmi 120-134 (Giuntina 2012), Per favore non portateli ad Auschwitz (Wingsbert 2015), Qabbalàt Shabbàt. Meditazione sui salmi del Sabato (Aliberti 2017), Giobbe. Opera in versi (Fara 2018), Distopie (Fara 2020), Versi di/versi. Diario poetico ai tempi del coronavirus (Fara 2020), Angelo Fortunato Formíggini. Uno dei meno noiosi uomini del suo tempo (Aliberti 2021), Variazioni (poesie, Fara 2021).
«La raccolta Devarìm ‘acherìm (Parole altre) è compatta, articolata e curata, sia stilisticamente che a livello di contenuto. Le poesie si susseguono come frammenti indipendenti eppure in dialogo tra loro, con richiami incrociati e rimandi a temi contigui. Il ritmo cadenzato è reso dagli endecasillabi in cui il testo si articola, discorsivo e al tempo stesso lirico, fino al verso finale, staccato dal resto, che, pur risultando perentorio, suggella la natura irrisolta dell’esistere. Costante è la tensione verso una Voce che rimane muta, ma che è incessantemente interpellata e che, per questo, non cessa di essere Presenza. Questa tensione pare intensificarsi proprio là dove il tono si fa provocatorio: la poesia diventa una sfida che, lanciata a chi forse non risponderà, non rinuncia a se stessa e non esita a smascherare l’illusorietà di alcuni paradigmi (l’unicità dell’Uno, la giustizia del diritto, la possibilità di definire in maniera dicotomica la realtà…). Lo sguardo che traspare è lucido, amaro, ma mai rassegnato. E il canto (perché di canto si tratta, modulato intorno a nuclei di immagini archetipiche) fa riecheggiare l’inquietudine che aveva animato il lamento stesso di Giobbe, un lamento sia sovversivo che amoroso.» (Raffaela Fazio)
«Le liriche sono coese e raccontano la storia di una vita che può essere intesa come la storia dell’umano in generale.» (Eleonora Rimolo)
«La poesia può dare la sua voce all’amore, alla morte, alla vita, alla religione come in questa silloge che utilizza realmente Parole altre, quelle delle feste o del pensiero ebraico contenute nel Talmud. E lungo la strada del lunario si passa dall’esilio alla luce, dal deserto all’oasi. Non dimentica il poeta la Shoah. In Galùt dà il nome alla memoria di tante vittime: Il cielo dell’esilio piange stelle/ gialle, cucite a doppio filo sulla/ pelle. E ancora in Dim’ot: piango per te per chi non ha laggiù / una tomba. Sembra quasi di leggere Salmi al tempo del Covid: Mi ritrovo/a volteggiare a vuoto sulle spalle/di un presente che passa senza Dio. Trattasi di una salmodia incessante con un interno ed esterno, con un io parlante/narrante che ha una voce silenziosa, quella della mente, quella che non si ode. Questa silloge ha molto dell’ebraismo come religione, come etica, come folklore, come giustizia, come discutere intorno a Dio e alle cose di Dio, alle speranze messianiche, all’al di là, alla natura e alla vita umana. Parole altre ci fa scoprire il rispetto verso ciò che è poco noto ma che ha una profondità di significato impari. Qui le farfalle volano di nuovo.» (Colomba Di Pasquale)
III class.
I MONOLOGHI DELLA BAMBOLA VUDÙ
di Silvia Favaretto (Marcon, VE)
Silvia Favaretto è dottore di ricerca in studi iberici e angloamericani, insegnante, traduttrice e Presidente dell’ass. culturale Progetto 7LUNE. Giurata dei concorsi internazionali di poesia Castello di Duino e Premio di poesia Altino. Ha pubblicato 13 libri tra poesia e prosa e ha partecipato a Festival internazionali. Tra i premi ottenuti in poesia, nel 2007 è risultata vincitrice del Concorso della Ibiskos Editrice con conseguente pubblicazione del suo terzo libro Parole d’acqua. Una sua raccolta edita in Messico da Morgana Editrice E vissero infelici e contente ha ottenuto la menzione d’onore al premio Il Paese delle donne 2019. Nel 2020 ha vinto il premio Torresano della Gilgamesh edizioni grazie al quale pubblica La notte dei corpi.
«Lo stile è originale, l’opera risulta compatta, declinando, all’interno di una cornice sempre fedele a se stessa, tutta una serie di temi collaterali, attuali e ben proposti.» (Eleonora Rimolo)
«Fu Diotima che mostrò a Socrate la via dell’amore. Ascoltando quest’opera abbiamo la possibilità di farci illuminare un’altra via (è un’altra via?), la via del dolore, da una bambola vudù. E forse Diotima era in Socrate come in noi la bambola, che dalla nascita conosce quanto questi nostri tempi ci hanno trovati impreparati a ricordare: che siamo nudi e soli e che già nel nostro venire al mondo facciamo l’esperienza del sangue e del dolore. Quest’immagine misura la nostra misteriosa responsabilità. Ci sono due strade che molto probabilmente non sono due strade, che molto probabilmente sono la stessa strada e due modi di percorrerla, come in più modi possiamo reagire al blackout. La luce se ne va e possiamo arrabbiarci, possiamo angosciarci, possiamo chiamare i fornitori della corrente e l’amministratore del condominio o perdere tempo a cercare quelle pile che non sbucheranno mai. Potremo poi, o alla fine dovremo, accettare il fatto che, semplicemente, ci sono giorni in cui la luce se ne va. Che questi spilloni, che continuamente ci trafiggono, esistono, che esiste il dolore e la sofferenza, oltre ogni ogni nostro perché. E anche se lo sentiamo che senza il chiarore, senza la luce che manca, questa vita è impossibile, nessun tentativo di spiegare il black out la farà tornare. Allora piangeremo di paura senza sapere come fare. Questa è la strada e accettarla, piano piano, ci dice la bambola, ci porta a un’altra luce, diversa. La poesia “Blackouts”, come tante altre poesie di quest’opera, è un piccolo manuale di sopravvivenza, un esercizio di consapevolezza, che ha senso tenere in tasca in questi giorni o anni, o in questa vita. Perché ascoltare la bambola vudù è anche fare amicizia con quella voce di creatura sorda e indefessa che è la talpa, è annusarla la luce, oltre gli occhi, oltre la nostra paura della solitudine, oltre il nostro desiderio di chiarore. La bambola vudù per mano ci porta a scoprire che dentro questa luce, oltre questo buio, attraverso una fedeltà incomprensibile, esiste un’altra luce e non dobbiamo aver paura, perché il nostro straccio di corpo sa ricevere ogni ago e questo è importante, perché tutti i nostri incontri avranno uno spillone in mano e sempre crediamo di sapere cosa ci aspetta, eppure accadde un giorno che la bambola vudù incontrò una mano con un ago, e un filo d’oro, e non fu infilzata; la mano si dispose a ricucirne ogni parte rotta e ne fece un crogiolo di cicatrici dorate. Così anche le opere, i libri, come ogni esperienza, nascondono nell’incontrarle un ago. La bambola vudù con sé per noi si porta dietro un filo d’oro. Ho voluto ringraziare la voce della bambina saggia con un briciolo di quanto mi ha insegnato.» (Gregorio Iacopini)
Altre opere votate
Scrivere frusta il nervo
di Sebastiano Adernò (Varese)
Sebastiano Adernò è nato ad Avola nel 1978. Si è laureato in lettere moderne a Milano. Nel 2010 vince il Premio “Ossi di Seppia” e si classifica terzo al Premio di poesia “Antonio Fogazzaro”. Dopo la sua opera prima Per gli anni a venire (LietoColle 2011), ha pubblicato Kairos (Fara Editore 2011). Nel 2012 è uscita una raccolta di testi civili dal titolo In luogo dei punti per Thauma Edizioni e un romanzo con Leonardo Caffo, Luci sulle lucciole (Edizioni Montag). Per la Nuova Editrice Magenta, ha pubblicato la raccolta Ossa per sete (2012). Successivamente ha partecipato al progetto di Nuova Vandea (2013). Dopo una lunga pausa è uscito Lunario (2021) per Gaele edizioni. Notevole, negli ultimi anni, la sua attività come artista visivo, con numerose partecipazioni a eventi, reading e festival.
«C’è una perdita che origina il dire poetico, che cerca di porre rimedio attraverso la parola una ferita immedicabile. Eppure nell’atto stesso del poetare, sobrio ma visionario, vi è quel barlume di luce, uno stupore che rimette l’io lirico in relazione profonda col mondo, con l’esistenza.» (Francesco Filia)
«Per la misura del verso tagliente che porta il testo su molteplici piani di significato.» (Filippo Amadei)
L’orizzonte degli eventi
di Diomira Gattafoni (Pescara)
Nata a Vasto nel 1987, Diomira Gattafoni è docente di ruolo di Materie letterarie e latino presso il Liceo “G. Marconi” di Pescara, città in cui risiede. La sua opera prima in versi Occasus (introduzione di Antonio Sorella, Edizioni Tracce, 2019) ha ricevuto il secondo premio per la poesia edita alla X edizione del Premio Il Meleto di Guido Gozzano ed è stata segnalata alla XI edizione del Premio "Città di Grottammare" e alla XXI edizione del Concorso "La Gorgone d’Oro"). Malachite (Robin Edizioni 2021) è la sua seconda raccolta di pensieri in versi. Varrone accademico e menippeo è la sua prima monografia a carattere scientifico (introduzione di Paolo d’Alessandro, Prometheus 2021, I vol. della Collana di Studi classici).
«Poesia sapienziale che incontra accenni di narrazione didascalica. Le due dimensioni della verticalità del dettato poetico e dell’orizzontalità dello scorrere del tempo si alternano e si incrociano senza mai sovrapporsi. Il verso cerca di cogliere l’attimo che apre al senso dello stare al mondo e dello stesso dire poetico, che è in continuo dialogo con la storia e con la tradizione, attraverso i momenti archetipici della nostra civiltà, come si evince da molti titoli dei testi presenti nella raccolta.» (Francesco Filia)
La mia Gerusalemme non fu mai liberata
di Cesare Cuscianna (Caserta)
«Non è una coperta calda questa silloge ma un sentiero, una rotta di mare, un strada maestra, uno squarcio di cielo ma anche un viaggio dell’anima a tratti sentimentale, a tratti metafisico, a tratti surreale e reale anche. Ammalia il verseggiare ricercato e i versi sono fluidi e armonici. Poesia che narra e si fa strada da sola. Ad ognuno la libertà di percorrerla. Il navigare in questo mare di poesia è piacevole, è un vortice lieve e al tempo stesso tempestoso. L’uomo ha bisogno dei pericoli che la navigazione riserva, lo rende vivo. Poesia che vibra e scuote, non corrompe, anzi incanta. Un viaggio in versi nelle insidie della vita. Sempre quando ci ha superato si affaccia la felicità » (Colomba Di Pasquale)
TRA GLI ALBERI E IL CIELO
di Tomaso Marazza (Fonte Avellana, PU)
Tomaso Marazza nasce a Milano nel gennaio 1963 ove vive per i primi trent’anni circa. Dopo aver conseguito maturità classica si iscrive alla facoltà di Medicina di Milano con conseguimento della laurea nel 1989. La vita è stata improntata dalla professione medica con le sue diverse attività tra cui quella di medico palliativista di pazienti oncologici e di medico di medicina di urgenza presso ospedali dell’hinterland milanese e del capoluogo lombardo. Al momento vive in qualità di postulante presso il Monastero di Fonte Avellana (PU) con i monaci benedettini camaldolesi avellaniti. Ha pubblicato nel 2020 il libro di poesie Con te me ne andrò (Book Sprint ed.). Nell’estate scorsa partecipazione alla kermesse di poesia con titolo Il muro presso Fara Editore.
«Sono barbagli e improvvise esplosioni di luce ad accenderci di stupore in questo canto. Cos’è la poesia? Due lasciti: accorgerci del nostro respiro ancora e sempre presente – saper attendere gli occhi di chi della nostra sete ha sete.» (Gregorio Iacopini)
La gente quassù è nemica
di Andrea Biondi (Treia, MC)
«Per il linguaggio che, partendo dal vissuto quotidiano, si alza e si abbassa cogliendo il saliscendi della vita.» (Filippo Amadei)
Nessun commento:
Posta un commento