sabato 29 aprile 2023

“… quell’ombra / riflessa sulla carta / mi somiglia”

Ezio Settembri, D’altra luce, peQuod 2023, collana Portosepolto a cura di Luca Pizzolitto

recensione di AR

È forte l’impronta dei giorni in questa raccolta poetica del maceratese Ezio Settembri dedicata ai genitori. Il libro è costituito dalle sezioni Padre, Madre, Fratelli, Settembri, Il mestiere del professore e dalla sezione eponima D’altra luce. Nella cristallina Prefazione Giancarlo Sissa afferma (p. 5): “È la sua una scrittura in versi colta e umile al tempo stesso – così come del resto l’autore – attentissima alle possibilità di dialogo intertestuale con scrittori e poeti importanti della tradizione italiana e marchigiana – dall’amato e compianto Francesco Scarabicchi a Ferruccio Benzoni, da Vasco Pratolini a Guido Garufi a Sandro Penna e altri (…)” 

Il Nostro è, come dicevamo, pienamente immerso nel quotidiano: affetti, passioni, lavoro, interessi, relazioni… ci sono presentati con uno sguardo giornalistico ma carico di pietas, non c’è quindi il rischio dello sguardo autocentrato ma anzi l’occhio del poeta si guarda attorno, spesso con autoironia, e ci proietta oltre il singolo evento, ricordo, fatto, sentimento; oltre i confini del soggetto perché siamo tutti immersi in un mondo e in una storia di cui dovremmo, eticamente, sentirci corresponsabili, di cui dovremmo avere cura, sentendoci un po’ tutti educatori ed educandi, si cresce infatti interagendo, confrontandosi ci si conosce. Così: “Al bar il crocchio degli astanti / ha perso la scommessa. / Le mie guance scarnate / da un lungo inverno / (l’elastico della mascherina / a piagare gli orecchi) / le solcano un dolore / che non si vede. / (…)” (p. 94). O: “Bisogna concedersi / di sbagliare, qualche volta, / concedersi di aver sbagliato. / Riesumare un rimpianto / spegnendo la tv. / Non cercare la parola / che salva, tentare / di salvarne almeno una.” (p. 95).

Trovo elegante e avvolgente il suo ritmo di sensi precisi, definiti ed evocativi dove si nascondono molto bene degli splendidi endecasillabi. Ad es. i versi finali di quest’ultima poesia potrebbero essere scansionati come segue: “Non cercare la parola che salva, / tentare di salvarne almeno una.”

La dizione di Settembri è umile e chiara, ma non priva di raffinatezze lessicali (come l’aggettivo “interito” che finora non conoscevo).* Con sobrietà e semplicità ci vengono donate immagini bellissime e struggenti, pregne di una saggezza di vita che “arriva” con la sua intensa verità. Il poeta è grato “per l’infinito sapere / del respiro e delle viscere, / per l’invidia / e il castigo del limite.” (Gratitudine, p. 89). Ci apre il suo taccuino: “Non aspettarmi niente / se non lo sciogliersi di un affanno, / il suo peso specifico. / Riconoscere che quell’ombra / riflessa sulla carta / mi somiglia.” (p. 85). Ricorda la durezza del lockdown: “L’inverno più crudo / della nostra storia / è trascorso stretti / al respiro, / attraverso fantasmi / di corpi senza volto.” (Ai miei alunni, p. 73). Si confessa: “(…) / abitare il fondo nero / da cui provengo / e lasciarlo fiorire alla luce.” (p. 62); “(…) / incamminarmi al sereno / di un tempo nuovo / dove ciascun passo è la meta.” (p. 41); “Ci legava la tacita complicità / di un affetto spietato.” (p. 28); “Interito sui miei passi / il ricordo incide, rincasando / la tua voce piena: «Custodisciti».” (p. 15). Constata: “Nella casa fredda / dove trascorrerò qualche ora / hanno rimosso anche i segni / dei quadri che erano appesi/...Quante immagini premevano / a quelle pareti.” (p. 59). Si apre al paesaggio (e al suo ricordo) facendocelo palpabile: “Vorrei lasciare un segno di rimando / di quelle estati interminabili, / scendendo i greppi / che mettono nell’uliveto / ascoltare il vento / modulare la nostalgia / di quelle voci bambine.” (p. 55). Ripercorre con emozione la propria genealogia: “Vostri sono tutti quei fiati / che questa povera lingua declina, / ora che è notte, e più forte / sento stridere il male.” (p. 52); “Lascerò i fiori / prima che sia notte / ai lumicini del cimitero” (p. 18).

Ezio ci lascia alla fine del libro (p. 96) “gli esili graffi / di una lingua sconosciuta, / destinata a scomparire, / un colloquio che il mare / cancellerà con la prima burrasca.”

Quei graffi incisi da un bimbo sulla spiaggia, resteranno invece come solchi sonori nella nostra memoria – questa è in fondo la mission della poesia.

* Mi scrive in proposito l’autore: “Interito me lo ha insegnato Montale in Voce giunta con le folaghe: «si scambiano parole che interito / sul margine io non odo» guarda caso in una poesia dedicata al padre.”

venerdì 28 aprile 2023

“La fine di ogni colpa è tutto ciò che resta.”

Mara Venuto, Vora, peQuod 2023
collana Portosepolto a cura di Luca Pizzolitto

recensione di AR


“Uno accanto all’altro sui cavi telefonici / i rondoni nel panorama / chissà come scelgono il posto, / l’ordine dei richiami, / austeri come morti in equilibrio sul filo / tra il vuoto e il vuoto.” (p. 22).
Come ci informa Giovanni Laera nella sua bella Prefazione, vora in pugliese indica una voragine. La scrittura di Mara Venuto in effetti ci inghiotte: “Il giorno della mia nascita / rapirono Aldo Moro, / una croce sul foglio di giornale / a dire che è importante / una vita fra tutte.” Sono i versi che chiudono la raccolta (p. 64). Risalendo a p. 63, troviamo questa folgorante terzina: “L’attesa evoca l’origine / sepolta nei ricordi degli altri, / un’incarnazione lunghissima.”
È come essere pro-vocati: affacciarsi sul baratro, o magari sprofondarci in questo magma poetico così asciutto e rifrangente?
Eccoci attirati da immagini splendidamente sferzanti: “I nostri borghi pieni di orgoglio, / l’intonaco sputato dal vento” (p. 61); “Gli altri, / una parola e la sua voragine, / una mortale separazione.” (p. 60); “Morire senza essere chiamati, scossi / un vivere monacale con Dio attorno.” (p. 59); “Il luogo eravamo noi e / poi l’abbandono.” (p. 51).
Il verso che abbiamo utilizzato come titolo di questa recensione chiude la poesia a p. 46 che inizia così: “Il perdono della casa si rintana / dove deposita il gocciare dei verti, / lavanda nelle fughe nere.” Si nota una personificazione de sentimenti, una vitalizzazione degli oggetti, una tensione emotiva dei significati che ci pone in stallo, ci interroga e, certamente, non ci lascia “tranquilli” e ci trasporta a un livello di consapevelezza maggiore, a volte spiazzante. Continuiamo la nostra compulsazione: “Sotto la nicchia che nasconde tutto, / il corpo e il dubbio, l’amore e l’impulso di oscurare, / si aduna un cane di passaggio attorno a qualcosa. / Resta il vuoto umano in questo transito.” (p. 40); “Lasciarsi scomparire.” (p. 38); “Sulla tua bocca / le strade della città di notte, / il silenzio della neve prima che soffra / un’orma scura sull’innocenza.” (p. 37); “Negli armadi / mostravamo i denti, / le bocche aperte sul buio. / Nelle vecchie foto di casa / in posa come non siamo, / ci scopriamo finiti nei gesti / ancora mossi i contorni.” (p. 29).
Il poeta ha recettori molto sensibili e preveggenti, il tempo ha sì una linearità ma la poesia la fa oscillare e riesce anche con un gesto elastico a riportarci vibrante il vissuto come pure a proiettarci già nel non-ancora e in qualche modo a “costruirlo”, Mara Venuto esprime molto bene questa vis profetica per cui un particolare somatico o un  elemento magari trascurabile del paesaggio o un evento effimero ci introducono in altre dimensioni: “Raccontare di un parto / come dell’avvento di Cristo / e crocifiggere sul nascere l’umanità / di quel figlio.” (p. 31); “La luce del lampione / è una bocca aureolata sul buio della strada, / dalla finestra pregano gli occhi / rivolti a quella mistica pochezza. / Non desiderare altro, / se non di affratellarsi / alla vita lucidata dall’acqua di scolo, / alla grazia che piove dal cielo” (p. 28), “Esporsi con la fronte al soffio / dove arriva più forte, / mentre il carnefice alle spalle / è già debole, e resta vocale morente.” (p. 26); “due chiavi rose di ruggine / aprono il reliquiario delle nostra ossa comuni.” (p. 24); “sui talloni il peso del domani e il suo travaglio, / la lucida sapienza delle viole.” (p. 15).
Sottoscriviamo, alla fine di questo nostro piccolo viaggio nella Vora, quanto dice Giovanni Laera (p. 11): “Ai lettori il compito di accogliere il dono di questa voce come un trasalimento.”     

IT'S FRIDAY! Tre poesie inedite di Alessandro Barbato

 


It's friday è una rubrica poetica a cura di Luca Pizzolitto



Non è pace, no, la luce
se ci brucia le pupille,
se arde lucida planando
più lontano d'ogni sogno.
Non è pace, no, ma vita
che ramifica di fiamme,
passa lieve i resti d'ombra
che ora paiono silene
profumate nelle notti
mie in attesa d'un prodigio
che rovesci il giorno e il mondo,
quando scalda i corpi vuoti
di elettricità di sensi.
Non è pace, mai, la luce
quando viaggia sul tuo volto,
se procede dalle dita
tue che scavano il mio buio.

Silene


**


Ritiro i pensieri e i respiri
accecati di troppe parole
nel palmo di nebbia che ancora
rimane a riparo dal vento
solare che soffia sul mondo,
tra i poveri sguardi dei nostri due
corpi. Riposino lievi, sepolti
dal tempo che sempre ci manca,
tra i pochi frammenti che salvano
un giorno, da quando ogni passo
è un pontile interrotto tra grumi
di senso che illudono gli occhi.

Quattro passi


**


Bisogna d'acqua questa terra antica
di vigne, ulivi e muriccioli a secco,
di odor di nafta dai trattori accesi
tra mani grandi e volti abbrustoliti.
Bisogna d'acqua e un giorno pioverà,
ma noi saremo persi per i vicoli,
lontano, o in autostrade che ci scavano
la mente, tra le smanie del tuo inverno.
Dovrà servire in fondo il solleone
che manda in fumo le sterpaglie e i rovi,
se il mondo intero intorno non si muove.
Sì, servirà a qualcosa anche aspettare:
la tua cicala canta ed ha ragione,
tra quel che a maggio fu lavanda al Sole.

Provenzale





Alessandro Barbato (Roma, 1975) dopo la laurea in lettere, ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in antropologia sociale presso l’EHESS di Parigi dedicandosi allo studio dei rapporti tra
nuove scienze umane e letteratura, in particolare nell’opera di Michel Leiris e Pier Paolo Pasolini.
Ha pubblicato su tale tematica diversi saggi, in lingua italiana e francese, e una monografia. Ha pubblicato anche poesie su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge “Il fiore dell’attesa”, confluita nel 2020 nella raccolta “Solamente quando è inverno”, pubblicata in formato ebook da Ali Ribelli Edizioni. Nel 2022 ha visto la luce la sua ultima raccolta di versi, “La mimica dei mondi (qualche poesia fuoritempo)”, edita da Controluna – Edizioni di poesia.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma. 

giovedì 27 aprile 2023

Silvia Favaretto finalista al Concorso Impavidarte di Nicosia (EN)

Complimenti e in bocca al lupo a Silvia Favaretto meritevole di menzione e finalista al Concorso Impavidarte – la biennale della cultura con I monologhi della bambola vudù. Ad maiora!





In sintonia con l’anima del mondo

La milionesima notte di Carla Malerba

recensione di Gemma Mondanelli



Carla Malerba, poetessa aretina, ci ha regalato il suo sesto libro, una silloge edita da Fara Editore che non ci conduce in un mondo di favola, fantastico da mille e una notte, come il titolo ci farebbe pensare, bensì ad un lungo periodo di anomale solitudini e di sofferenze che abbiamo da poco lasciato alle spalle.

Ciò non significa che questo sia un libro triste, pieno di immagini funeree e lunghi veli da lutto bensì, con le parole che sgorgano da una poesia interiore, si rielabora un periodo dell’animo in cui le angosce si sono mischiate e confuse con immagini della propria interiorità e con quelle di una vita isolata, per ovvi motivi scarsamente comunitaria, dove il proprio io lirico ha ritrovato sé stesso, nella piena consapevolezza dei turbamenti che suscitano pericoli imminenti e incombenti.

Nella sua brevità il libro è molto denso di significati, va letto con lentezza quasi ad assaporare le immagini di un mondo in subbuglio che aveva perso le sue certezze e le sue verità, ma che in nuce aveva le risorse per ritrovare il sole della vita, e per godere con pacata meraviglia i paesaggi esteriori e interiori, perduti forse nella ovvietà di una vita troppo consueta per immaginarne la fine.

Emerge ancora, come nei libri già editi della poetessa, il racconto di chi vive in sintonia con l’anima del mondo, che conosce, sa, trema e si apre al sorriso e all’ironia salvifica. Chi scrive non è una donna banale (se esistono donne banali), ma una persona che scandaglia ciò che la circonda, non accontentandosi delle apparenze, nel bene e nel male, proiettando sempre il suo sentire al di là degli ostacoli. C’è una siepe anche davanti all’orizzonte di Carla che perfino nel male, con coraggio, riesce a immaginarsi un infinito pieno ancora di sorprese verso cui incamminarsi.

La silloge è divisa in sezioni: Attese, Segnali, La milionesima notte, Tracce.

È dedicata ai suoi compagni di strada ed infatti è una raccolta che si condivide con estrema facilità, perché la sensibilità della poetessa trascina in un cammino (già vissuto forse da molti in maniera nebulosa) che chiarisce in modo esemplare l’accavallarsi caotico del tempo e interpreta con mano sapiente e delicata i moti dell’animo, vanificando le incertezze e aprendo nuovi orizzonti di senso: ”Che buone cose / certi incontri, / aiutano/ quando ci si volta / a scorrere / la turpitudine dei tempi / di mille e mille anime / la storia / ad ogni pagina scritta.”

Il torpore dovuto alla paura della malattia mortale si incontra con il desiderio del rumore, del vociare, del rombo delle motociclette si apre al ricordo delle estati passate, dei sandali indossati, del fruscio degli eucalipti, dei balli… E allora: “… guardarci attorno / non ci basta a vivere.” E ancora: ”Muore ancor prima di nascere, / l’estate.”

Ma nella solitudine di giorni bui c’è tempo perché riaffiorino i ricordi struggenti eppure ancora così importanti per il presente. La figura del padre si materializza: “Quante volte non ci siamo parlati / (…) / Ma prevalevano gli sguardi, / i tuoi azzurri di sempre / investono ancora la mia mente.”

Dopo la sezione Attese, in Segnali ci sono speranze di nuova, più serena vita: “Da un prato – un sempreverde prato – / avanza una fanciulla / ha un abito intessuto / di fiori e di ghirlande / muove i bei veli / un vento leggero.” E il mare con ”le isole belle / che l’acqua pareva trasportare” diventa meraviglia, inizio di rinascita, “assoluta azzurrità”.

Nei segnali di rinascita non può mancare un nuovo atto di amore verso la Poesia, sempre presente nell’animo  della scrittrice: “Quello che resta in fondo / è la poesia.” 

La poesia, come quella tenera e nostalgica che arriva dritta alla luce, come i girasoli: “L’oro dei girasoli / mi hai portato / invade la stanza / riverbera di luce / tra pareti che sanno / quanto vorremmo / per un giorno almeno / essere girasoli / in mezzo a un campo.”

Nella sezione La milionesima notte si intrecciano metafore di luoghi visti o sognati con il ricordo di chi ha praticato la poesia con animo sensibile (vedi pag. 40 a Fuad Kabasi) o con la suggestiva visita a Villa Mancini per cercare invano il ricordo di un passionale, disperato e tragico amore: ”… polvere e terra ormai / i loro cuori / 

neppure due sillabe intrecciate / a segnarne la storia.”

E poi, in questo lungo percorso… la luna, una luna leopardiana. Assente.


Nella milionesima notte

il plenilunio rischiara

l’astro trafitto

da un nero ramo.

L’ombra percorre i fossati

scivola lungo gli argini:

troppo lieve la speranza

i gesti ormai racchiusi

nei fardelli della memoria

nei rigagnoli di neve

di un maledetto febbraio.


Un maledetto febbraio che di certo lascerà Tracce.

Così nell’ultima sezione esse si uniranno a quelle lasciate dal passato:


Sul cuore ho tracce

di millenni di tenerezze

madre compagna

sorella sposa

respiro parole

che sanno di levante e di ponente

e di lidi da dove si dipartono

strade verso il deserto.


Qui non odo fragori di guerra.


E ritorna sempre la poesia a emozionare il cuore con echi leopardiani: La solitudine dell’anima si allarga / eppure è solitudine compagna. / Saremo soli nella nebbia e nel sole / in questo percorso vano e breve / che è il nostro vagare / sulla terra / anch’essa come noi / metà ombra e metà luce.”

La Poesia, grande protagonista palese od occulta, di questo racconto di un periodo di vita difficile, inusuale e sofferto è la protagonista anche dell’ultima composizione: ”… Al buio scrivo parole / che la mente illumina / e guida la mano / il pensiero del nulla che siamo.”

La raccolta termina con il pensiero del nulla che comunque non è costrittivo, ci sono spazi per la luce, per il sogno, per l’amicizia, per l’amore, non c’è nella vita una “assoluta azzurrità” ma tanti piccoli specchi di azzurro che rincuorano e rischiarano le nebbie e il buio anche nei periodi più difficili di angoscia cosmica che sembra indicare la fine di tutto. Carla nella sua silloge ci dà la speranza di chi crede in sé stessa e può ancora usufruire dei tanti doni che le ha regalato la vita.


mercoledì 26 aprile 2023

Una parola nuova e incisiva

recensione di Eleonora Bellini ne Le letture di don Chisciotte 19 aprile 2023

Apologhi in fotofinish, di Maria Lenti

L’apologo, recita il dizionario Treccani, è un “tipo di favola caratterizzato da uno spiccato senso allegorico e morale” e cita come esempio la favola dello stomaco e delle membra del corpo con la quale si narra che Menenio Agrippa avrebbe convinto i plebei ad abbandonare la secessione sull’Aventino nel 494 a.C. Il fotofinish, invece, designa con recente vocabolo di importazione anglosassone, la fotografia o la ripresa filmata del momento dell'arrivo al traguardo di una corsa. Tradizione antica e parola nuova si uniscono così nel titolo di questa raccolta di racconti e incuriosiscono, attraggono l'attenzione, creano aspettative su contenuti e significati dell'opera. Il libro, dopo l’illuminante prefazione di Manuel Cohen (che si intitola “L’Ethos di Maria Lenti” alludendo a radici lontane e ben salde) si compone di tre parti: Racconti, Dintorni, Scritti diversi. I racconti sono brevi, arguti, legati ad episodi minuscoli, ma sapidi, di vita quotidiana del presente o del passato. Rimangono vivamente impressi, quasi come spezzoni di film: “Gelosia”, ricordo di una gita d'infanzia in bicicletta con i genitori; “Il segreto di Giovanni”, narrazione dell'inatteso posizionamento dell'autrice in una graduatoria di “migliori cuoche”; “Fortuna”, scoperta e forzato abbandono del bar ideale; “Visite”, incontro in ambiente monastico a raccontare persone e fatti del passato.

Continua su Le letture di don Chisciotte


martedì 25 aprile 2023

“ieri c’era il futuro”

Francesca RibacchiQuadreria, Collana Poesia Lab a cura di Luca Ariano, Bertoni Editore 2023

recensione di AR

“Tempo è Poeta è Tempo” (Misura del Tempo, a Valerio C., p. 22).

Il titolo di questa recensione è l’ultimo verso della poesia La Memoria (p. 43) che fa parte della sezione “Allegorie”, al centro di questa Quadreria che si apre con “Ritratti” (dedicati ad amici e con un autoritratto finale) e si chiude con “Paesaggi”. 

Senza infingimenti, facciamo con dolcezza verità, sembra suggerirci Francesca Ribacchi, esperta di storia, di miti, di arte, di letteratura… che così si descrive in Un consiglio (p. 34): “con pensieri senza cammino / impaurita sfibrata fiaccata / ho corso in anni piegati / piagati dal sangue rappreso / stretto in respiri in mani / coppe di quotidianità”. È il suo un invito all’attenzione weiliana per la realtà che viviamo (mai soli ma sempre in relazione con gli altri): una realtà che ha la sua storia (spesso negletta e trascurata) e che ci informa, ci condiziona; una realtà che possiamo rendere più umana e più com-passionevole, nel senso etimologico di questo aggettivo che ci spinge ad agire, a non “distrarci”, a dare il nostro contributo per renderla migliore. Così nei “Ritratti” abbiamo dediche in versi intime e fragranti di amicizia che svelano con elegante discrezione alcuni “segreti” di anime affini (fra cui quella del sottoscritto). Nelle altre sezioni i quadri ci presentano storie che lasciano trapelare ferite, anche importanti, Allegorie “che narrano la tensione attiva della moralità e il conflitto eterno tra giustizia e violenza, con il quale la poesia incessantemente si misura” (dalla prefazione dell’autrice, p. 11). Infine nei “Paesaggi” abbiamo “la dimensione mitica, evocatrice lirica della concordanza atemporale dei desideri del profondo e dell’abbandono dell’anima, accolto nell’equilibrio naturale” (ivi).

Queste pagine sono tele poetiche dai colori al tempo stesso soffusi e vibranti che ci restano impressi: “A volte / le nubi scompaiono // e Dike / illumina / con la spada dorata” (Dike, p. 57).  

“Il mondo ha grandi doni / per chi ne ha desiderio.”

Raffaela Fazio, Gli spostamenti del desiderio, Moretti&Vitali 2023, Prefazione di Alfredo Rienzi

recensione di AR


“Non sono un poeta. / Ma ho dentro / un pezzetto di Dio / che può farsi poesia.” (p. 159, dalla sequenza Etty Hillesum, ultima della sezione “Tra occhio e parola” che chiude la raccolta)

“(…) / in noi stessi estirpare quel buio / di cui soffre la terra / quel male / che si vede nell’altro.” (ivi, p. 157)

Un indice di intensità sempre elevato è riscontrabile nella poetica di Raffaela Fazio e questi Spostamenti alzano ulteriormente l’asticella. Questioni di vita e di morte (“vedi, non mi è concesso / dire addio al tuo corpo”, p. 34; “un corpo con pelle muscoli vene / l’ho stretto / e ora / è l’unica cosa fuori dal fluire / è l’unica cosa che non mi appartiene.”, p. 37), di ardenti passioni fisiche e spirituali, di coinvolgimenti e disillusioni, di valori e sentimenti in cui grano e zizzania sono inestricabilmente in contesa per occupare porzioni della nostra anima: “(…) Su me ho caricato / il male che ho potuto / e il bene l’ho difeso da assassina.” (La moglie del medico “Cecità di José Saramago, p. 68).

Constatare i nostri limiti, alimenta il desiderio di superarli, con umiltà, non da soli. Il desiderio esistenziale non può essere soddisfatto da fiammate effimere, richiede l’accoglienza della propria zizzania e la disponibilità ad aprirsi, a sentirsi desiderati in massimo grado proprio nei momenti in cui ci sentiamo più manchevoli, sconfitti, abbandonati: “Sono soltanto / il tempo che mi presti / la cura con cui vesti la mia non-adesione / il modo in cui mi vedi / oltre lo sbaglio.” (Perfetto “Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, p. 83). 

Lo sguardo di Raffaela è spesso apparentemente distaccato, diremmo scientifico gnomico sapienziale,  ma lo sentiamo vicino, ci penetra e fa vibrare le corde più vere: “da lontano vedremo chi siamo: / non più noi / solo quello che amiamo” (Vedremo chi siamo, p. 141); “Non inseguire il tempo. / Digli addio.” (p. 119); “Il tempo infine scuoia / e tiene in mano / il niente / che siamo.“ (Retrospettiva, p. 111); “Sei solo tu il pertugio – anello rotto / da cui avverrà il trapasso / del confine.” (Wormholes III, p. 88).  

Immersi in questa (auto)analisi chirurgica, ci sentiamo coinvolti da versi tremendamente inquietanti e al contempo capaci di una musica che profuma di preghiera e ci tira su: “Nessuna cosa immaginata / torna indietro. / Appena concepita / entra nel tempo, si dilata / (…) / si fa muta / eppure mai si sveste / di un’anima sottile / di stupore.” (Anamorfico II, p. 54); “Nel mondo è il dolore più profondo / che insegna a non spezzarsi.” (p. 47); “e ogni assaggio di ombra / rivela un privilegio / o forse solo aiuta / (…) / a scendere piano / incontro al destino.” (p. 44).

Questo libro è anche una struggente epilogia sugli affetti che se ne sono andati, sulle persone care e/o prossime che ci hanno disegnato, come noi a nostra volta abbiamo disegnato loro, e che la morte o la distanza ha sottratto ai luoghi comuni, ai tempi condivisi, lasciando quelle cicatrici che fanno sussultare le dita immaginarie ma sensibilissime e invasive del nostro ricordare che è un po’ rivivere quei tempi, quei luoghi, quelle relazioni: “È il cuore che detta / la prima visione. / (…) / Ha il difetto di vedere / ciò che è suo / solo come vivo.” (p. 33); “Non trovo la misura / del tempo che fu nostro. / Mi pare cambi peso nel pensiero.” (p. 27). Ma la voce poetica di Arezzo non è più  “da sola” né l’ ”unica guardiana” (p. 259)  del suo lutto, avendone condiviso con noi il ricordo con il suo canto che ci sospinge al fondo ma mai dimentica di porsi le domande che spostano più in alto il desiderio: “L’amore in che consiste? / E in cosa la presenza?” (Aggiornamento del sistema “Her” di Spike Jonze, p. 79). 


PS Il distico posto a titolo di questa recensione è tratto da Sophie Scholl, p. 147.

domenica 23 aprile 2023

Tre poesie da Terra magra (Il Convivio Editore) di Gabriela Fantato

 


Da "Terra magra" (Il Convivio Editore, 2023), prefazione di Ivan Crico

 

 

Seconda elementare

 

 

Ancora qualcuno cerca

il nome, il suo nome

e sapere cosa fosse

quello strano esistere 

come un monaco

o l'ape al fiore.

 

Qualcuno avanza tra le ore

in perdita o in avanzo,

qualcuno prega il suo dio,

altri lo hanno perso 

un giorno senza volerlo,

senza neppure dire - addio.

 

Resta il ricordo di quel

disegno intero, 

un cerchio fatto con il gesso,

in seconda elementare.

 

Dedizione


C’è un unico modo

di perdersi e trovarsi

la dedizione,

immergersi nel flusso

                               e svanire

 

C’è un attimo intero - solo uno, 

dove si prende la parola

per fare cose buone

un attimo dove è esatta

la staffetta in eredità.

 

 

 

 Cari morti che ci siete



Sono qui e cerco di parlare

coi miei morti, quelli che facevano

della vacanza al mare una festa,

come fosse andare in capo all'Everest,

ma resto ferma tra le linee del quadro

che conservo ancora.



Tengo stretta la loro voce dentro la testa,

un catalogo di echi che si gonfia la sera

e sparisce ad occhi aperti.

Sembra una scena assurda, eppure

ci tento e ci riesco, sempre meno,

sempre meno.



Il mondo sta morendo intanto,

non vedo le api, neppure

i sorrisi di un tempo,

sembrano tutti vivi, forse sono

già in un aldilà che non saprei.



Invece ho fame, mi vesto,

guardo la TV, tutte cose da vivi

e ci sto bene, ma il tempo

non lascia tregua,

si incunea tra i capelli, li fa sottili,

sembrano in volo

e invece invecchio, come era ieri

per loro, i miei cari morti che adesso

mi guardano dai bordi

e la foto la metto

nel mio personale archivio,

senza un ordine, senza pretese,

ma anche stasera

ci proverò.





Gabriela Fantato, poetessa, critica, saggista. La silloge A distanze minime è in “Almanacco de Lo Specchio” (Mondadori, 2009), un’altra silloge è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012, Milano). Tra le raccolte poetiche: Terra magra ( Il Convivio editore, 2023); La seconda voce (Transeuropa, 2018), L’estinzione del lupo (empiria, 2012);  The form of life, trad. E.Di Pasquale (Chelsea Edition, New York, 2011); Codice terrestre (La Vita Felice, Milano, 2008). Ha curato la raccolta di saggi Con la tua voce, incontro con dieci grandi poetesse del Novecento (La Vita Felice,2010) e con Luigi Cannillo La biblioteca delle voci, interviste a 25 poeti italiani (Joker, 2006). E’ presente in varie antologie, tra cui: Bona Vox, la poesia torna in scena, a cura di R. Mussapi (Jaca Book, Milano, 20101). Ha ideato e diretto la rivista “La Mosca di Milano”. Dirige la collana di poesia Radici, Il Leggio editore (Chioggia).

 


venerdì 21 aprile 2023

Le quattro stagioni dell’inverno nello Studio Angelo Brusco di Cavriana (MN) 9 maggio 2023

Martedì 9 maggio 2023 alle ore 20:30 Dante Zamperini, poeta ed artista, presenta Le quattro stagioni dell’inverno nel suo studio dedicato ad Angelo Brusco, luogo vivace e partecipato di incontri con poeti, cineasti, pittori, narratori, operatori culturali, esploratori e altro ancora. Per info e adesioni: dantezamperini@yahoo.it




Raccolta ponderata e sensibile di Alessandro Ramberti

recensione di Vincenzo Capodiferro pubblicata su Insubria Critica







È uscita alle stampe la raccolta poetica Enchiridion celeste dell’autore Alessandro Ramberti, Fara Editore, Rimini 2022. È una raccolta che si sviluppa in terzine, prototipo dantesco, anche se a schema libero, senza rima. È una raccolta ponderata, sensibile ai temi del tempo, dello spazio e dell’amore. Vi è un riferimento costante al “Clementissimo”. I componimenti si ergono come preghiere, brecce nel cuore, flessi di mondo. Vediamo:

Il Dio di Abramo e Isacco
ci interroga, ci scuote
dal torpore, ci dona …


Come diceva Pascal: “il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe non è il Dio dei filosofi”, è un Dio reale, col quale entriamo in contatto. È il Dio che da dentro ci sprona, è il “maestro interiore” di Agostino che ci parla dal fondo dell’anima, perché il fondo dell’anima, come ci insegnano i mistici tedeschi, è Dio stesso, è l’abisso.

Cosa ti anima quando
resinosi cipressi
sconvolgono i ricordi …


Il cipresso è simbolo della morte, ci ricorda i Sepolcri foscoliani, ma anche i cipressi carducciani “che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar”.

Puoi cogliere la mano
che aleggia sull’abisso
con fedeltà assoluta?


È quel salto pascaliano nel vuoto che si giustifica solo con una fede cieca, è quel salto al terzo stadio di Kierkegaard, quello religioso: dal don Giovanni al consigliere Guglielmo, dal consigliere Guglielmo ad Abramo, nostro padre nella fede.

Alessandro Ramberti, laureato in Lingue orientali a Venezia, ha pubblicato: Racconti su un chicco di riso (Pisa 1991); Vecchio e nuovo (2019); Faglia (2020); Medèla (2021); La simmetria imperfetta (2022).


Giornate del pensiero, Pero 16-17 aprile 2023

Cronaca in versi di Carlo Penati dell’iniziativa di cui al post giornate-del-pensiero


Sotto il glicine, Giuseppe


dai bronchi parte

   la nera linea di parole

   nascosta luce del respiro

che stenta per l’impervio giudizio

   dei margini che la contengono


la cascata di versi

che mi parla addosso scivola

sulla spalla degli uomini

col caldo caffè dell’eterno

che morde la mia mortalità


omesso dalle storie d’amore

è il seguito rugoso del tempo


angeli sapienti vorremmo

che da un angolo alto e chiaro

si sciogliessero in poesia


di sei mesi in sei mesi

Persefone risorge col tiepido sole

ed espande l’anima

che “solleva alberi e fiumi”

nella Sicilia sconvolta

di inatteso e di bellezza


senza ragione svolgo il mio tema,

né inizio né fine trattiene

il fluido caldo dell’inconscio

che dalle stanze ingombre di mobilio

sfugge ai sacchi neri dei rifiuti

dove quello che non sono appare

da un sipario che s’apre quando vuole


e soltanto quando 

l’insaputo preme

e finalmente acqua pura affiora

ed esiste perché si fa presto

memoria


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Indomita, Valeria


Scardina la poesia i sistemi

libero atto disossato

che vive da sé nel mondo

in danze di suoni e relazioni

che di tanto in tanto addensano

versi di puro piacere

per la libertà di cogliere

ciascuno ciò che prova


sfinita, la parola rianima

nuovi verbi sconosciuti

che disegnano rammendi

e spaziosi termini di tempo



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Ri-meditando


Il fascino del Totale m’acceca,

bambino incorporeo che piange

l’ombelico tranciato e mai solo


Noi siamo corpo immenso

che all’estremo del mondo si disfa


Non c’è niente che io faccia

che non voglia già accadere

Mentre scelgo con cura le parole

perché si posino nel verso giusto



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Sovrapposte voci, Sara e Valeria


magro e acerbo il frutto

nell’incavo del giorno che sfuma

e nudo s’offre per benestare

nella solitudine di terra

che brontola dalle sue viscere


disordine di cucina che danza

per l’umiltà di parole

che sfuggono senza ferire

e senza padre s’allontana il tempo

su pagine prive di vento

impallidite

senza suoni e ridondanze

e profumi di rugiada 

si effondono vivi da madri

che sprofondan le radici

nei secoli dei secoli


e nuovo appare il mio nome

perché rimanga ardente

e generi figli generosi

nell’ipogeo di acque curative


montagna piena,

prima mare scomposto ed ora fuoco 

sulla soglia del tramonto

nell’onda nuda della creazione



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Ri-meditando, ancora


Colano ruggini gocce

che la terra non assorbe

E permangono vibranti

Sotto scheletri di industrie

che furono pane

e luoghi inattesi 

di umanità piena




Se m’allontano dipendo

Se m’avvicino rimando

   a libertà infinita

   in cui amo fuggire

mentre mi dico che non è fuga

ma risoluzione




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È Fernanda, Rosangela


La piccola allodola è canto

che quando apre le ali

giganteggia, in piena orchestra



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Estroversa, Cinzia


i luoghi d’origine bussano

alle porte segrete dell’anima

incidenti nello scorrere lento

dimentico dell’antica alfa


simulacri di mare immaginato,

i corpi abbracciati sulla sponda

sordi alla crescita lunga

mano nella mano sul fondo,

ai bordi di campi di menta


figli di silenzio lasciato alle spalle,

gli occhi slanciati lontano

innocenti ancora sulla linea

di un davanzale che danza di voci


prima che la pioggia sciacqui,

con i brutti ricordi, la notte

che incombe


stretta la porta su ampi spazi

vuoti

persa la chiave per sempre

della stanza in cui averti al mio fianco


tutto si fa acqua e scorre


guardo un mare senza orizzonte

che è sogno, apparenza, ed è vero



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Un padre antico, Gianni


L’albero del Carmine

scavato in spirito e sapienza

genealogia lunga 

del veneto cristiano

conserva le nostre biografie 

giorno dopo giorno ospitando

ciò che abita i nostri misteri



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Leradiciiltroncoirami, Nino


Ingemmati di pensiero riflesso

patiamo la nostra insufficienza

devastando ciò che ci circonda

senza nulla sapere

del principio e della fine

nostra e di tutto il cosmo



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Ri-meditando, ancora ancora


“come saremo felici è la misura”

   - dicevi col tuo sguardo di cielo


Dovremo ricordarcelo ogni volta

che ci sarà nebbia e bitume

E più non ci riconosceremo 



“se siamo stati felici una volta assieme

lo saremo per sempre”

   – dicevi col tuo sguardo di cielo


Riandare lì sana le ferite

E ci renderà cavalli allegri

in corsa nei prati assolati

noi stessi vento che,

dal nostro piccolo nulla,

sconvolge l’universo