La milionesima notte di Carla Malerba
recensione di Gemma Mondanelli
Carla Malerba, poetessa aretina, ci ha regalato il suo sesto libro, una silloge edita da Fara Editore che non ci conduce in un mondo di favola, fantastico da mille e una notte, come il titolo ci farebbe pensare, bensì ad un lungo periodo di anomale solitudini e di sofferenze che abbiamo da poco lasciato alle spalle.
Ciò non significa che questo sia un libro triste, pieno di immagini funeree e lunghi veli da lutto bensì, con le parole che sgorgano da una poesia interiore, si rielabora un periodo dell’animo in cui le angosce si sono mischiate e confuse con immagini della propria interiorità e con quelle di una vita isolata, per ovvi motivi scarsamente comunitaria, dove il proprio io lirico ha ritrovato sé stesso, nella piena consapevolezza dei turbamenti che suscitano pericoli imminenti e incombenti.
Nella sua brevità il libro è molto denso di significati, va letto con lentezza quasi ad assaporare le immagini di un mondo in subbuglio che aveva perso le sue certezze e le sue verità, ma che in nuce aveva le risorse per ritrovare il sole della vita, e per godere con pacata meraviglia i paesaggi esteriori e interiori, perduti forse nella ovvietà di una vita troppo consueta per immaginarne la fine.
Emerge ancora, come nei libri già editi della poetessa, il racconto di chi vive in sintonia con l’anima del mondo, che conosce, sa, trema e si apre al sorriso e all’ironia salvifica. Chi scrive non è una donna banale (se esistono donne banali), ma una persona che scandaglia ciò che la circonda, non accontentandosi delle apparenze, nel bene e nel male, proiettando sempre il suo sentire al di là degli ostacoli. C’è una siepe anche davanti all’orizzonte di Carla che perfino nel male, con coraggio, riesce a immaginarsi un infinito pieno ancora di sorprese verso cui incamminarsi.
La silloge è divisa in sezioni: Attese, Segnali, La milionesima notte, Tracce.
È dedicata ai suoi compagni di strada ed infatti è una raccolta che si condivide con estrema facilità, perché la sensibilità della poetessa trascina in un cammino (già vissuto forse da molti in maniera nebulosa) che chiarisce in modo esemplare l’accavallarsi caotico del tempo e interpreta con mano sapiente e delicata i moti dell’animo, vanificando le incertezze e aprendo nuovi orizzonti di senso: ”Che buone cose / certi incontri, / aiutano/ quando ci si volta / a scorrere / la turpitudine dei tempi / di mille e mille anime / la storia / ad ogni pagina scritta.”
Il torpore dovuto alla paura della malattia mortale si incontra con il desiderio del rumore, del vociare, del rombo delle motociclette si apre al ricordo delle estati passate, dei sandali indossati, del fruscio degli eucalipti, dei balli… E allora: “… guardarci attorno / non ci basta a vivere.” E ancora: ”Muore ancor prima di nascere, / l’estate.”
Ma nella solitudine di giorni bui c’è tempo perché riaffiorino i ricordi struggenti eppure ancora così importanti per il presente. La figura del padre si materializza: “Quante volte non ci siamo parlati / (…) / Ma prevalevano gli sguardi, / i tuoi azzurri di sempre / investono ancora la mia mente.”
Dopo la sezione Attese, in Segnali ci sono speranze di nuova, più serena vita: “Da un prato – un sempreverde prato – / avanza una fanciulla / ha un abito intessuto / di fiori e di ghirlande / muove i bei veli / un vento leggero.” E il mare con ”le isole belle / che l’acqua pareva trasportare” diventa meraviglia, inizio di rinascita, “assoluta azzurrità”.
Nei segnali di rinascita non può mancare un nuovo atto di amore verso la Poesia, sempre presente nell’animo della scrittrice: “Quello che resta in fondo / è la poesia.”
La poesia, come quella tenera e nostalgica che arriva dritta alla luce, come i girasoli: “L’oro dei girasoli / mi hai portato / invade la stanza / riverbera di luce / tra pareti che sanno / quanto vorremmo / per un giorno almeno / essere girasoli / in mezzo a un campo.”
Nella sezione La milionesima notte si intrecciano metafore di luoghi visti o sognati con il ricordo di chi ha praticato la poesia con animo sensibile (vedi pag. 40 a Fuad Kabasi) o con la suggestiva visita a Villa Mancini per cercare invano il ricordo di un passionale, disperato e tragico amore: ”… polvere e terra ormai / i loro cuori /
neppure due sillabe intrecciate / a segnarne la storia.”
E poi, in questo lungo percorso… la luna, una luna leopardiana. Assente.
Nella milionesima notte
il plenilunio rischiara
l’astro trafitto
da un nero ramo.
L’ombra percorre i fossati
scivola lungo gli argini:
troppo lieve la speranza
i gesti ormai racchiusi
nei fardelli della memoria
nei rigagnoli di neve
di un maledetto febbraio.
Un maledetto febbraio che di certo lascerà Tracce.
Così nell’ultima sezione esse si uniranno a quelle lasciate dal passato:
Sul cuore ho tracce
di millenni di tenerezze
madre compagna
sorella sposa
respiro parole
che sanno di levante e di ponente
e di lidi da dove si dipartono
strade verso il deserto.
Qui non odo fragori di guerra.
E ritorna sempre la poesia a emozionare il cuore con echi leopardiani: “La solitudine dell’anima si allarga / eppure è solitudine compagna. / Saremo soli nella nebbia e nel sole / in questo percorso vano e breve / che è il nostro vagare / sulla terra / anch’essa come noi / metà ombra e metà luce.”
La Poesia, grande protagonista palese od occulta, di questo racconto di un periodo di vita difficile, inusuale e sofferto è la protagonista anche dell’ultima composizione: ”… Al buio scrivo parole / che la mente illumina / e guida la mano / il pensiero del nulla che siamo.”
La raccolta termina con il pensiero del nulla che comunque non è costrittivo, ci sono spazi per la luce, per il sogno, per l’amicizia, per l’amore, non c’è nella vita una “assoluta azzurrità” ma tanti piccoli specchi di azzurro che rincuorano e rischiarano le nebbie e il buio anche nei periodi più difficili di angoscia cosmica che sembra indicare la fine di tutto. Carla nella sua silloge ci dà la speranza di chi crede in sé stessa e può ancora usufruire dei tanti doni che le ha regalato la vita.
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