Ezio Settembri, D’altra luce, peQuod 2023, collana Portosepolto a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
È forte l’impronta dei giorni in questa raccolta poetica del maceratese Ezio Settembri dedicata ai genitori. Il libro è costituito dalle sezioni Padre, Madre, Fratelli, Settembri, Il mestiere del professore e dalla sezione eponima D’altra luce. Nella cristallina Prefazione Giancarlo Sissa afferma (p. 5): “È la sua una scrittura in versi colta e umile al tempo stesso – così come del resto l’autore – attentissima alle possibilità di dialogo intertestuale con scrittori e poeti importanti della tradizione italiana e marchigiana – dall’amato e compianto Francesco Scarabicchi a Ferruccio Benzoni, da Vasco Pratolini a Guido Garufi a Sandro Penna e altri (…)”
Il Nostro è, come dicevamo, pienamente immerso nel quotidiano: affetti, passioni, lavoro, interessi, relazioni… ci sono presentati con uno sguardo giornalistico ma carico di pietas, non c’è quindi il rischio dello sguardo autocentrato ma anzi l’occhio del poeta si guarda attorno, spesso con autoironia, e ci proietta oltre il singolo evento, ricordo, fatto, sentimento; oltre i confini del soggetto perché siamo tutti immersi in un mondo e in una storia di cui dovremmo, eticamente, sentirci corresponsabili, di cui dovremmo avere cura, sentendoci un po’ tutti educatori ed educandi, si cresce infatti interagendo, confrontandosi ci si conosce. Così: “Al bar il crocchio degli astanti / ha perso la scommessa. / Le mie guance scarnate / da un lungo inverno / (l’elastico della mascherina / a piagare gli orecchi) / le solcano un dolore / che non si vede. / (…)” (p. 94). O: “Bisogna concedersi / di sbagliare, qualche volta, / concedersi di aver sbagliato. / Riesumare un rimpianto / spegnendo la tv. / Non cercare la parola / che salva, tentare / di salvarne almeno una.” (p. 95).
Trovo elegante e avvolgente il suo ritmo di sensi precisi, definiti ed evocativi dove si nascondono molto bene degli splendidi endecasillabi. Ad es. i versi finali di quest’ultima poesia potrebbero essere scansionati come segue: “Non cercare la parola che salva, / tentare di salvarne almeno una.”
La dizione di Settembri è umile e chiara, ma non priva di raffinatezze lessicali (come l’aggettivo “interito” che finora non conoscevo).* Con sobrietà e semplicità ci vengono donate immagini bellissime e struggenti, pregne di una saggezza di vita che “arriva” con la sua intensa verità. Il poeta è grato “per l’infinito sapere / del respiro e delle viscere, / per l’invidia / e il castigo del limite.” (Gratitudine, p. 89). Ci apre il suo taccuino: “Non aspettarmi niente / se non lo sciogliersi di un affanno, / il suo peso specifico. / Riconoscere che quell’ombra / riflessa sulla carta / mi somiglia.” (p. 85). Ricorda la durezza del lockdown: “L’inverno più crudo / della nostra storia / è trascorso stretti / al respiro, / attraverso fantasmi / di corpi senza volto.” (Ai miei alunni, p. 73). Si confessa: “(…) / abitare il fondo nero / da cui provengo / e lasciarlo fiorire alla luce.” (p. 62); “(…) / incamminarmi al sereno / di un tempo nuovo / dove ciascun passo è la meta.” (p. 41); “Ci legava la tacita complicità / di un affetto spietato.” (p. 28); “Interito sui miei passi / il ricordo incide, rincasando / la tua voce piena: «Custodisciti».” (p. 15). Constata: “Nella casa fredda / dove trascorrerò qualche ora / hanno rimosso anche i segni / dei quadri che erano appesi/...Quante immagini premevano / a quelle pareti.” (p. 59). Si apre al paesaggio (e al suo ricordo) facendocelo palpabile: “Vorrei lasciare un segno di rimando / di quelle estati interminabili, / scendendo i greppi / che mettono nell’uliveto / ascoltare il vento / modulare la nostalgia / di quelle voci bambine.” (p. 55). Ripercorre con emozione la propria genealogia: “Vostri sono tutti quei fiati / che questa povera lingua declina, / ora che è notte, e più forte / sento stridere il male.” (p. 52); “Lascerò i fiori / prima che sia notte / ai lumicini del cimitero” (p. 18).
Ezio ci lascia alla fine del libro (p. 96) “gli esili graffi / di una lingua sconosciuta, / destinata a scomparire, / un colloquio che il mare / cancellerà con la prima burrasca.”
Quei graffi incisi da un bimbo sulla spiaggia, resteranno invece come solchi sonori nella nostra memoria – questa è in fondo la mission della poesia.
* Mi scrive in proposito l’autore: “Interito me lo ha insegnato Montale in Voce giunta con le folaghe: «si scambiano parole che interito / sul margine io non odo» guarda caso in una poesia dedicata al padre.”
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