mercoledì 22 febbraio 2012

Su La forza degli schiavi di William Stabile

di Vincenzo D'Alessio

I giorni che viviamo, in apertura di questi primi dodici anni del Ventunesimo secolo, sono carichi di una tensione tragica, sfibrante. L’umanità è sottoposta alla pressione dei mercati, degli speculatori, del Dio Denaro. Una ferocia che fa rabbrividire anche coloro che sono preparati alle rivoluzioni del postmoderno, delle catastrofi recessive. Sembra proprio il preludio di una Guerra Mondiale, come se non bastassero quelle già in atto e le repressioni contro le minoranze etniche. Quasi a dare ragione ai ricorsi storici annunciati dal grande G.Vico.

In questi rigurgiti di sofferenza si solleva un Inno alla Vita.

È raccolto in un poema, appena apparso sul sito di Farapoesia, che si svela nel titolo:” La forza degli schiavi”, scritto dal giovane poeta Guglielmo (William) Stabile. Mi ritorna alla mente, per assonanza, nel titolo La forza degli occhi, dell’altro poeta, meridiano, Alfonso Gatto. Entrambi hanno vissuto a Salerno per diversi anni ed entrambi hanno viaggiato tantissimo.

Il poema, prende in prestito l’immagine del medico e ricercatore D. Livingstone, della corsa intrapresa in quegli anni, a metà dell’Ottocento, alle grandi imprese per arricchire la conoscenza umana di nuovi traguardi, come la scoperta delle sorgenti del fiume Nilo. Ma il grande ricercatore si ritrovò tra quelle tribù africane che vivevano in semplicità, e sofferenze, immerse nell’imponente paesaggio naturale. Il medico prevalse sullo scienziato, di fronte all’immediata sofferenza umana. Lo stesso ha fatto William Stabile: partito con il bagaglio dello scienziato in economia, si è ritrovato nelle terre dell’America del Sud a contatto diretto con le sofferenze umane.

Non parlo soltanto dei bisogni corporali: la fame si può battere. Ma le sofferenze, senza una dovuta assistenza medica non possono essere debellate, specialmente nei più poveri. Il viaggiatore ha raggiunto, e l’aveva preannunciato nella raccolta di esordio Contrappunti e tre poesie creole (Fara 2006), la spiaggia dove il Tempo avrebbe offerto un primo approdo alla navicella della sua sete di conoscenza, avvicinandolo maggiormente ai versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti.

“Le risorse Umane” hanno preso corpo e anima in questo poema profondamente religioso; profondamente umano, troppo umano come scriveva Nietzsche, e come riportano i versi a conclusione, momentanea, del Poema: “sono io sei tu / Signore / piccolo piccolo piccolo / umano troppo umano “. La rivelazione è giunta, come per l’eretico San Paolo sulla strada per Damasco; per William lungo la difficile strada dell’impegno operativo in favore delle popolazioni dell’America Latina: un progetto abbracciato, con entusiasmo, senza esperienze precedenti.

“Finalmente ho capito”, scrive il Nostro nella prima parte, dove si passa dall’osservazione alla partecipazione integrata di fronte a “ l’umana sofferenza / dentro le disgraziate / capanne negre / che orrore! Stanley / che orrore! / tutto era profonda / tenebra”. L’uomo che vive nella falsa tranquillità dell’Occidente non conosce realmente i bisogni delle altre nazioni, dove il malessere sociale è la prepotenza dei ricchi di fronte ai più poveri, alle bidonville, alle favelas, ai trafficanti di morte. Il poeta innalza il suo canto al di sopra delle ideologie occidentali, della “sinistra che cambia il mondo”. Non c’è né destra né sinistra politica che cambi la società, c’è una sola strada che cambia tutto: l’Amore per noi stessi e i nostri simili.

La forza distruttiva dell’odio “largo / quanto un lago / del continente nero” è stata raggiunta dalla scelta di farsi da parte, volontaria o involontaria che sia, per lasciare parlare Dio: “mi feci solo da parte / e lasciai che l’alfabeto / s’incagliasse sul fondo / mio di fango”. Il viaggio, iniziato dai contrappunti della ricerca, nella prima raccolta, vede la piccola imbarcazione dell’anima incagliarsi nella limitatezza umana, di fronte all’insondabile, all’immenso non conosciuto, e l’anafora riprende nella forza del vocativo l’essenza della richiesta: “oh mio Signore / tu sei tan grande / grazie”. Quasi a ripetere le laude che negli anni difficili del Medioevo percorrevano l’Italia.

La parola, il verso, sospende l’arsura del viaggio, apre l’universo dell’ascolto, folgora la ricerca, anche solo per un momento: “ma il mondo eri tu / e la mia casa / e nell’economia / dei sensi ritrovai / la rotta del dolore / che cessava”. Non è casuale che subito dopo questi versi si riveli la storia umana del poeta; il percorso intrapreso dopo gli studi per un lavoro che gli assegnasse un futuro, un “orticello” da coltivare nella tranquilla economia dell’Occidente: “ero ricercatore urbano / & africano / non impiegato / del verso capitale”. Questa difficile condizione non dissetava l’anima del poeta che “nei sentieri cercavo / una sintassi di parole / (…) / nella favela dell’anima / nella dissenteria spirituale / nei posti dove destrutturavi / la mia emarginazione”.

Tutto quello che umanamente conta per i giovani, e meno giovani, dell’Occidente si impoverisce negli occhi di chi veramente cerca una strada d’incontro, una emergenza per liberare le sue forze migliori: “tutto contiene l’uomo / l’oro ed il fango”. C’è chi continua a cercare nel fango la propria grandezza e chi, invece, apre gli occhi sulla bellezza dell’oro offerto nel sacrificio verso gli “schiavi” del mondo cosiddetto civile.

La seconda parte del Poema, si apre con la citazione dal Poema dell’Odissea, dove Nettuno indirizza al naufrago Ulisse la frase: “l’uomo senza dei è nulla”. William Stabile cerca la sua Itaca, la rotta verso casa. Lo fa purificando il suo linguaggio alla fonte Castalia della mitologia greca, riportando in vita i versi del giovane poeta scomparso a trentadue anni: “nulla mi ostacola se / non una figura convessa / che mi somiglia”(Antonio D’Alessio, Poesie ritrovate, Edizioni Guarini 2011). Partire! Finalmente il viaggio ricomincia questa volta con gli occhi purificati dal contatto con la divinità: “emergono / versi e parole che aggrumano / presso lo scoglio la roccia / dove son significato / d’amore”. L’Amore per l’uomo ha raggiunto il suo risultato. Non più cieca fiducia nell’uomo e in quella che è la sua economia. Fiducia, invece, nell’incerto viaggio della Speranza Universale dove: “salpare partire / all’arrembaggio / sbarcare / alla prossima spiaggia / e continuare a nutrirsi / di felicità e disperazione / questo lasciarsi cadere / questo non resistere / questo essere sconfitti / e rinascere incessante”.

La grande lezione del Novecento prende un nuovo corpo, accetta il bilinguismo. L’inglese pervade inizio e fine del racconto poetico. Volutamente le metafore indicano stati d’animo e fenomeni naturali. Volutamente la velocità del pensiero si immerge in un verso breve, asindetico. Le voci marinare, anche degli oggetti, rende profondamente l’idea del viaggio e delle sue insidie su un mare inquieto. Più di ogni altra cosa c’è la passione per la parola, per i codici formali del linguaggio, per la contaminazione con le nuove sorgenti poetiche: “questo continuo ripetersi / dell’onda sulla riva / questo parlare orale / (…) questo linguaggio / primordiale / secco acuto minerale”.

Stupenda lezione della nuova poesia che mira all’essenziale, al nevralgico, al tempestivo, senza negare la lezione dell’Ermetismo e delle correnti poetiche che sono seguite. Innestando una parola poetica nuova “minerale”, che costruisce e demolisce il versificare, alla ricerca di una purezza primitiva, sostanziale, frugale. Questa è la poetica di W. Stabile, che oggi emerge nel suo Poema d’oltreoceano, musicale più avanti del contrappunto iniziale. Incarnando la voce dell’uomo Ungaretti, nella similitudine della poesia I fiumi; così il Nostro scrive: “scrivere un pentagramma / di senso / ed il corpo totalmente / avvolto immerso / in un panno d’acqua / quest’acqua tagliata / come lamina di metallo / che brucia la pelle”.

Veramente questi versi sono la voce dello schiavo che viene liberato / si libera dalle catene che l’hanno tenuto nell’oscurità della prigione voluta dagli uomini. Questo poema assurge a voce di tutti gli schiavi liberati. Una costante rivoluzione d’Amore per il genere umano. Un viaggio interminabile dove il testimone, attraverso la Poesia, continua di mano in mano a illuminare la notte della Storia.

2 commenti:

rizoma ha detto...

Gugliemo e' un vero poeta. La sua poesia e' ricerca nel senso esistenziale, dolorosa ed indispensabile.. Luca Paci

Bob W ha detto...

Davvero interessante questo post, come tutto il blog in generale. Complimenti, sarà un piacere seguirvi.
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