Le rose e il deserto (Luca Cassano), Nodo antico, peQuod, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto, Postfazione di Alessandro Pertosa
recensione di AR
“Sono così simili / Lotto e lutto: / Realizzare che quel buio / Dentro al petto devi riempirlo / Da solo, prima che il vuoto, / Prima che il gelo, / Ci facciano cadere dentro il cielo / Tutto intero.” (L*tto, p. 60).
La vita è costellata da situazioni spesso ingarbugliate, difficili da accettare, da elaborare. Fra quelle più complicate ci sono i lutti, la perdita di persone care e vicinissime che, quando se ne vanno sembrano, trascinare con loro pezzi anche fisici di noi. Luca Cassano racconta in queste pagine il suo rapporto con la madre (in particolare il suo accompagnarla all’estremo confine), madre di cui solo nell’ultima poesia ci rivela il nome, Clotilde (p. 95): “Poterlo pronunciare finalmente / Il tuo nome, / Senza che mi cedano la gambe: Aprire la finestra / (…)”.
Scrive con lucida empatia Alessandro Pertosa (p. 97): “Ogni poesia è una scheggia di vetro emersa dopo una frana, un reperto affettivo e spirituale che taglia e insieme illumina.” E più avanti (p. 98): “La perdita non è mai del tutto compiuta. È uno spazio abitato, un’assenza che fa eco.” E ancora (p. 98): “Non si tratta di «superare» il lutto – verbo impossibile da incarnare – ma di abitarlo, di dargli una forma, di continuare a vivere anche con lo strazio dell’assenza.”
Lasciare andare è impegnativo, ci pone sulla soglia, ci ricorda il nostro trapasso, “… la paura / Di trovare un altro / Sono.” (Novembre, p. 58). Ma “Forse un dolore finisce / Quando inizia / La manutenzione quotidiana dei ricordi.” (Vacanza, p. 62).
La poesia, con le sue ondate di senso e di suono (il Nostro è un cantautore) può rendere più penetrante quel dolore ma al tempo stesso curarlo, magari con un lieve tocco di ironia, come in Dicembre (p. 88): “Occorrono poesie per nascondere / Che dicembre senza mamma / È un mese insulso: passo / Da un giorno al successivo / Come un capotreno / Senza più fermate; (…)” O come nel distico posto a titolo di questa recensione tratto da Neretto (p. 87). O in Segreto (p. 82): “Io facevo un passo oltre la soglia / E tu, sorridendo, mi guardavi / Come chi a fatica trattiene / Un segreto, come chi organizza / Un’evasione / All’improvviso.” O in Scorta (p. 64): “Sarebbe bello avere / Una mamma di scorta / (…)” E ancora in Tenere il tempo (p. 26): “Per fortuna ci sono le cicale / E il vento fresco / A tenere il tempo ai morti / Al cimitero.”
Le persone care incidono profondamente la nostra memoria emotiva e solo le parole che si fanno poesia riescono a “esporla” in modo che pare quasi sospendere il flusso cronologico, In fondo (p. 83): “Sapere che negli occhi, / In fondo in fondo, / Conservo disegnato / Il sorriso di mia madre; / Avere la certezza che a parole, / Con la punteggiatura, posso / Fermare il tempo.”
Efficace l’uso di immagini “naturali”, “casalinghe”, corporali o correlativi oggettivi che creano un’eco potente e persuasiva al concerto dei versi. In Siberia (p. 80), ad esempio: “Certi giorni dentro / Nevica / Come fosse silenziosa / L’anima, / Come se in petto avessi / La Siberia.” Si veda anche il flash folgorante di Una castagna (p. 56): “Mentre sbucciavo una castagna / Ti ho vista smettere di essere / Mamma / E diventare per un istante / Un tuffo negli occhi, / Un sorriso.” O Ponente (p. 51): “Il vento di ponente / Portava le sillabe / Per i nostri dialoghi segreti: / Io strappavo millimetri alle nuvole, / (…)” O ancora Anestesia (p. 29): “Certe sere / Il vento di montagna / Sussurra racconti / Lungo la spina dorsale.”
Il nodo si può iniziare a sciogliere a partire da piccoli gesti di attenzione e leggere questa raccolta ci aiuta a coltivarla, nella prossimità che si immedesima, Quadrato (p. 12): “Aspetti il mio unico gesto / Di riconoscenza / Chiuso dentro / Una tazza di caffè.”

Nessun commento:
Posta un commento