lunedì 13 dicembre 2010

Il volto epifanico della poesia in Domenico Cipriano

di Vincenzo D'Alessio

Durante la presentazione dell’ultima raccolta poetica di Domenico Cipriano, poeta irpino, dal titolo Novembre, ispirata dagli eventi del terremoto del 23 novembre 1980, il noto critico letterario Paolo Saggese, faceva notare, come i versi raccolti in questo poemetto, sono stati scritti in tempi diversi, successivamente riveduti, e selezionati per divenire il racconto del terribile avvenimento vissuto dal poeta all’età di dieci anni. Voleva lasciarci intendere il lungo lavoro che il Nostro esercita suli suoi versi.
Assumo, a modello della mia tesi, dagli scritti di Piero Bigongiari: Il critico come scrittore (ediz. Il battello Ebbro, 1994), il concetto storico che l’Autore dà della Poesia nel tempo: “Per la storia non preesiste alcun linguaggio, la storia è infine un linguaggio con la purezza di se stesso: esso non può che darci l’evidenza di una continua dialettica tra essere e non essere. La storia è una continua creazione di personalità, cioè una assoluzione di dati logici: un continuo superamento di se stessa in solitudine. Il tempo, imitazione dell’eterno, è passibile di storia proprio in questa sua imitazione, cioè nella volontà continua di evadere da se stesso percependosi totalmente” (pag. 13).
La totalità del tempo, percepita e trasmessa nei versi. Una componente della poetica di Domenico Cipriano. Come nella scrittura di una partitura musicale, il pentagramma è rigo universale per la successiva lettura , mentre le figure, unite alle pause , al tempo e alla chiave musicale, permettono a qualsiasi musicista di leggere il brano. Poi, l’esecuzione maggiormente fedele all’opera scritta, resta affidata alla sensibilità dell’esecutore. Così, il critico, posto di fronte all’intero complesso di opere di un autore, percepisce e si pone sulla “Frontiera del sentimento”: “Uomini in uno spazio e in un tempo, per non fermarci a una solitudine irrelata, ci siamo volti ad accettare tempo e spazio come letto fluviale della nostra oscurità di origine, di un’attesa divina” (Piero Bigongiari, ib., pag. 33).
I versi dell’ultima raccolta, in ordine di tempo, di Cipriano ci introducono alla rivelazione della tesi che cercheremo di dimostrare:

ti guardo con occhi
diversi parola risorta
ogni notte udendo
la voce degli uomini
senza più voce, lontani
sfuggiti dai luoghi.
torni di notte, distante
un respiro e lì germini
frasi distorte che
modifico in vita.
poi credo e non vedo. (da Novembre, Transeuropa, 2010, pag. 11)

Il presente “ti guardo” è l’attualità del poeta che scrive. I suoi occhi, senza tempo, perciò “diversi”, accolgono la “parola risorta”, la testimonianza di “uomini senza più voce”. In questo modo,il poeta, reitera “frasi distorte” riportandole nell’attualità della vita e della storia degli uomini. Un metro sintattico fluido che conduce il lettore al “credo” senza vedere. Quindi ad una verità accettata attraverso il mistero. Poiché il mistero è funzione della fede nella parola scritta e tramandata. Ancor più nella parola rivelata, a chi crede. Una delle funzioni della poesia.
Quando, la forza della Poesia, ha tracimato il contenitore umano per rivelare l’epifania di se stessa?
Temporalmente, suppongo, quando il Nostro ha avuto la rottura delle acque materne poetiche ed ha emesso il suo primo vagito:

Sono figlio
della libertà dei popoli
amo il rispetto
della gente, della fede.
Dell’infinità di questi luoghi
vesto profumi e parvenze
ti attendo, ispirazione, a denudarmi. (Il continente perso, Fermenti, 2000, pag.15)

D’altronde, a leggere oggi questa raccolta d’ingresso nel mondo della Poesia, a cavallo tra “Secolo Breve” e Nuovo Millennio, si potrebbero includere, a nostro testimone, i versi d’epigrafe di Elio Pagliarani, scelti dal Nostro autore:

Quanto di morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in vita per esistere
è diamante sul vetro, svolgimento
concreto d’uomo in storia che resiste
solo vivo scarnendosi al suo tempo
quando ristagna il ritmo e quando investe
lo stesso corpo umano o mutamento.

Accostiamo, in questa trasfigurazione storica, il verso di Pagliarani: “solo vivo scarnendosi al suo tempo” con il verso di Cipriano: “ti attendo, ispirazione, a denudarmi”. Entrambi i poeti purificano i loro versi, macerandoli in forza d’ispirazione sempre viva, permettendone la fluidità e l’intensità immutabile, per resistere al tempo. Tempo che appartiene alla Storia e all’Umanità.
Quanto vera e faticosa è l’Arte suprema di rendere il tempo, la storia, in versi lo dicono, ancora per questa nostra considerazione, i versi tratti dalla raccolta: In paese (Racconti in versi, 2001):

(…) ma il fascino
è nel silenzio che ci porta a pensare,
forse per questo per molti è fastidioso
asciugare le lacrime che ci bagnano dentro
come il gocciolare della cantina, l’umidità
utile per conservare fresco il vino. (pag. 16)

Per riportarmi al senso storico, ricalco i termini poetici affidati all’enjambement, di questa strofa: “come il gocciolare della cantina”. la persistente forza della purificazione del verso, è nel Nostro autore, il senso più vivo e drammatico della sua ars poetica. Ne trovo conferma nella richiamata raccolta Il continente perso, quando scrive:

(…)
Siamo pochi
rimasti a guardare
questo mare.
Scompare
a Mezzogiorno
quando la bassa marea
assorbe le sue nuvole. (op. citata, pag. 57)

Domenico Cipriano si rivela poeta. Quando si riconosce in quei pochi che sanno guardare il mare che ci circonda: l’Umanità nel suo divenire. Codici ontologici di un “continente smarrito nel tempo della Storia”. Storia che appartiene alla solarità del Mezzogiorno, cantato dal premio Nobel Salvatore Quasimodo, da Scotellaro a Sinisgalli, alla voce pura di Alfonso Gatto. Direbbe, oggi, il critico letterario Paolo Saggese, poesia meridiana e meridionalista. Parallelo di fuoco che crea, senza finzioni e orpelli, la geopoetica del nuovo secolo.
Cos’è più leggero di una nuvola? Il pensiero poetico, rispondiamo in questo caso, riprendendo i versi del Nostro autore. Quanto dureranno le nuvole? Quanto durerà il pensiero poetico? Finché qualcuno avrà voglia di navigare, nel mare insidioso e tormentato della poesia, per approdare, nella Storia vissuta dell’Umanità.
Abbiamo cercato di eseguire uno spartito, difficile, luminoso, seguendo il libero arbitrio del pensiero critico; che si estrinseca: “Noi cioè dobbiamo porre l’assoluta esigenza del critico come scrittore, posta l’autonomia della critica come fenomeno letterario. Non esiste il vero critico, e la vera critica, se non esiste lo scrittore, e un’arte letteraria con le sue leggi logico-fantastiche sufficienti a crearne l’autonomia: a creare cioè, infine, una verità. Solo una “verità” autonoma, insistente proprio nell’opera critica, può verificarci una verità nell’opera criticata” (Piero Bigongiari, op. citata, pagg. 8,9).

Nessun commento: