giovedì 6 ottobre 2011

Su Dove il vero si coagula di Caterina Camporesi

recensione di Marcello Tosi

Dove il vero si coagula di Caterina Camporesi (Raffaelli editore) è testo poetico che si offre, come dice la frase di Octavio Paz posta a introdurre la raccolta, come “il transito fra un silenzio e l’altro / fra il voler dire e il tacere che fonde volere e dire”.

Un discorso veggente sulla poesia che si fa “porto ai sé nascenti”, cartografia appassionata di possibili mondi poetici, in cui entrare per scardinare serrature di mondi, subire gli assalti di memorie, scendere lungo sciamanici pendii che conducono ad abissi estatici.
Un grembo di parole per rigenerarsi come in un’acqua lustrale, acqua di battesimo, che corre lungo vene aurorali, giogaie inneggianti al cielo, attraverso “cunicoli stratificati di inquiete presenze”.
Angoli d’anima che si schiudono per dare forma alla parola innamorata, a trame ed armonie che nascono da profondità di suono, che sono come venti che sibilano antichi, e fanno riemergere antichi mondi lungo traiettorie a spirale, fatte di corsi e ricorsi. Il compito è rimarginare nessi lungo i ponti precari della parola: “alla base del mio atto poetico – dice l’autrice – c’è sempre un domanda di comprensione, scambio, incontro, fusione con il lettore, lavoro a lungo sul testo anche per raggiungere una forma di comunicabilità soddisfacente”.
Sono mappe, atlanti dell’anima che rimodellando forme, aiutano “a scavare incertezze scovando certezze”. Si fa radar la mente che registra moti lunghi come calanchi circolari, derive oniriche, ed è assalita “dall’attesa di poter dare forma al possibile”, conscia che è dall’assenza che nasce il senso (“se non ora… mai?”). Una embriogenesi d’inedite sapienze che si ricompongono, si amalgamano come arcane presenze: “diventa segno in tempo ciò che ancora è… essere il tutto nel nulla che ci circorda”.
Per la poetessa soglianese, tra psicologia e poesia, essere poeta significa soprattutto, fare risuonare dietro le parole la parola primordiale, rianimata dal processo creativo. La poesia ha la possibilità, come l'inconscio, di “dire l’indicibile”. È solo immergendosi in una mitologia inconscia che il poeta può raggiungere una pienezza di senso che vada oltre la singolarità, sino a coinvolgere l'intera umanità. Allorquando l'inconscio diventa esperienza, sposandosi con la coscienza del tempo, l'atto creativo rivela qualcosa dell'epoca in cui si manifesta. Ogni parola che nasce è un'apertura all'ignoto. La scrittura mette in scena il noto e l'ignoto.
Verità sepolte danno pertanto la capacità di individuare quel ritmo del suono poetico che eterna il senso. Per scelta oculata “l’io nomade brama erranza”. Schiudere la porta alla parola, al lampo che la esplora, è come ritornare nel giardino dei Getsemani ad intonare salmi, mentre si attende l’ora della resurrezione.



[v. anche farapoesia.blogspot.com/2011/09/dove-il-vero-si-coagula-videointervista.html
farapoesia.blogspot.com/2011/04/barberi-squarotti-su-dove-il-vero-si.html
farapoesia.blogspot.com/2011/06/dove-il-vero-si-coagula-intervista-su.html
farapoesia.blogspot.com/2011/07/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina.html
farapoesia.blogspot.com/2011/03/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina_12.html
farapoesia.blogspot.com/2011/05/su-dove-il-vero-si-coagula-di-caterina_09.html ]

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