sabato 3 febbraio 2007

Il tempo della crisalide (di Caterina Camporesi)


(alcune poesie qui)

LE MANI GIUNTE

Quando la scimmia col suo piccolo in braccio
corre sconvolta ma non fa in tempo
a fuggire, né trova il suo rifugio,
verso chi le punta il fucile
giunge le mani e implora.

di lasciarla andare, di salvarla,
piangendo disperata, strofinandosi
le mani con tutte le forze:
Il suo gesto nel chiedere pietà
al cacciatore, è come quello dell’uomo.

Per quanto esperto, il cacciatore di scimmie
non se la sente allora di sparare.
“Su, fuggi, fa presto!” Chiusi gli occhi
scoppia a piangere – così ci racconta.

Sebbene non ricordi più il nome
del vecchio che mi ha raccontato
con amarezza quel suo lugubre lavoro
dicendomi di non volere mai più affrontare,
né in campagna né sui monti,
la tragedia del cacciatore di scimmie,
non posso scordare le mani giunte
della scimmia, quel tremolio di mani
che ad altre somigliano.

(KIKUO TAKANO, da Nel cielo alto, Oscar Mondadori, 2003, pagg.164, euro 7,40)

Ho incontrato Kikuo Takano (morto lo scorso anno), uno dei maggiori poeti giapponesi contemporanei, a Roma presso la Casa delle Letterature nell’aprile del 2001, nell’ambito della Cattedra Internazionale di poesia promossa dal centro Eugenio Montale. Presentato da Maria Luisa Spaziani e introdotto da Paolo Lagazzi, Takano ha letto i suoi testi ed ha motivato la sua concezione di poesia di fronte ad un pubblico attento e partecipe.
La poesia di Takano, già nota in altri paesi come Stati Uniti, Cina, Francia, Inghilterra, in Italia, risale a tempi recenti grazie all’impegno della signora Yasuko Matsumoto, di Giacinto Spagnoletti quando era ancora in vita, e di pochi altri.
In compenso l’interesse per la sua persona e per il suo lavoro in breve tempo ha coinvolto un numero sempre crescente di persone. La profondità della sua ricerca, tenendo in grande considerazione la presenza del mistero, è in grado di attivare i bisogni più profondi dell’animo umano.
Quando nel 1998 Takano lascia per la prima volta il Giappone, è proprio l’Italia il primo paese che visita. Ospite del festival Moto Perpetuo di Pescocostanzo (L’Aquila), riscuote poi grande interesse e attenzione anche nei successivi incontri nelle altre città, compresa Roma.
Intanto, anche le sue opere cominciano ad essere tradotte in italiano: L’anima dell’acqua (Empiria 1996), Secchio senza fondo (Fondazione Piazzolla 1999) e Sei Budda di pietra, (Empiria 2000) raccolta antologica di poeti giapponesi, sino al recente volume antologico Nel cielo alto (Oscar Mondadori, 2003, pagg. 164) che raccoglie testi poetici che vanno dal 1957 ad oggi.
Il libro, tradotto dal giapponese dalla signora Matsumoto, è stato poi “riscritto” da Paolo Lagazzi.
Per comprendere la singolarità della complessa personalità di Takano, è utile collocarla nei tempi e nei luoghi dove essa si è formata e sviluppata.
Kikuo Takano nasce nel 1927 a Niibo, nell’isola di Sado, già cantata nei versi del mitico maestro della lirica giapponese, Bashò: “Mare in burrasca - / Sospesa sull’isola di Sado / la Via Lattea.”
Inizia gli studi di ingegneria, che gli consentono di rinviare il richiamo alle armi. Scosso dagli orrori della guerra, non può continuarli e ritorna quindi al paese natale.
Li riprende poco dopo, dietro suggerimento della famiglia e li prosegue sino al conseguimento della laurea in ingegneria civile.
Intanto la sconfitta della guerra nel 1945 lascia il Giappone, più di altri paesi coinvolti nel conflitto mondiale, immerso nella devastazione più desolata.
Da questa sensazione di disastro si profila e prende corpo la volontà generale di ricostruire, che porta con sé nel campo letterario un atteggiamento critico nei confronti della poesia tradizionale.
Takano, che all’epoca ha diciassette anni, si trova coinvolto e sommerso in questo clima di profonda disgregazione e ristrutturazione ed inizia a comporre i suoi primi versi. Attratto dal fascino delle parole e dagli infiniti legami fra loro, trova la possibilità di accedere alla rappresentazione del senso frantumato della realtà.
Agli inizi rimane affascinato dalla lucidità del movimento surrealista, che ben presto rinnega: non lo convince la “esasperata impostazione d’avanguardia e l’ultraestetismo” e brucia tutti testi sino allora composti.
Nutrito, come altri suoi contemporanei, dalla cultura occidentale, la fa interagire con le sue radici orientali. L’incontro con il pensiero di Heidegger e Jaspers gli fa abbandonare la poesia ed entra in uno stato di isolamento che favorisce la sua immersione in uno stato di lunga e profonda meditazione.
Intorno agli anni cinquanta Takano esce finalmente dall’isolamento e aderisce al gruppo “Arechi”, (”Terra desolata” di Eliot) che si va allora costituendo: l’idea di una poesia tesa a ricercare il significato profondo del mondo è in sintonia con il suo sentire.
Dopo la laurea in ingegneria civile insegna per molti anni in un liceo e tra il ’57 e il ‘64 pubblica tre raccolte, La trottola, L’esistenza e Tenebre come tenebre, per poi tornare di nuovo al silenzio e alla riflessione: “Solo chi medita / in profondo silenzio / potrà appena avvertire / un rumore di frana.”
Takano è il poeta dell’attesa, dell’attesa assoluta che non prevede meta e sogno: “tenta la via / dove non resta nulla / nella mano”. Il suo credo è la resistenza: “resistere a ciò che non possiamo capire / resistere tanto da poterne morire.”
L’attesa, qualche volta, attraverso un processo di magiche trasformazioni offre il suo dono: “(…) come d’un tratto si muta / in crisalide il baco, / la crisalide in farfalla?”
La crisalide è l’archetipo che meglio di altri incarna il significato della poesia e dell’atteggiamento verso la vita. Essa, come afferma Maria Zambrano in San Giovanni della Croce, “divora il suo stesso corpo per trasformarlo in ali, baratta ciò che pesa con ciò che vale a liberare da questa stessa gravità asservitrice”. Il nido costituisce la metafora del luogo dove si compie il miracolo del concepimento e della gestazione: “Nella mia gola è già / migrato il lucherino / e sta facendo, sta facendo il suo nido.”
Ciò che rimane costante nella mente e nell’espressione poetica di Takano, dopo tutte le spogliazioni, è la fedeltà alla parola: “Spogliato e perduto, rimaste / mi son soltanto, infine, parole / a cui porre una domanda fatalmente / votata alla sconfitta.”
Poeta singolare Takano così fedele all’autentica ricerca che comporta resistenza e dialogo con il silenzio. Infatti per trent’anni non ha pubblicato nessuna raccolta sino a quando ha conosciuto il compositore Sabur Takata, per il quale comincia a scrivere testi per le sue opere: la musica è più capace di esprimere “il miracolo supremo delle cose”.
Il viaggio in Italia del 1998 ha risvegliato ancora una volta il bisogno di pubblicare e la nuova raccolta ha il significativo titolo Per incontrare.
La sete di conoscenza, che con la componente aggressiva ad essa connessa, da bambino lo ha portato ad esplorare da vicino il corpo della lucciola, provocandole una ferita nell’addome, gli ha lasciato un dolore ed un rimorso inestinguibili. Così, dopo tanti anni, il poeta prova ancora compassione e senso di colpa: “Quel pianto fu / il segno della prima / colpa che conobbi.”
La sua poesia è un’interrogazione continua e profonda sulla condizione dell’uomo e del mondo. La parola tende al cielo, senza tuttavia, mai catturarne il mistero: tutt’al più può alluderlo.
Più l’uomo si allontana dall’universo, più ha la possibilità di entrarvi dentro e di intravedere il suo segreto. La parola è una conchiglia che contiene il suono di un mare irraggiungibile, arresa alla coscienza dei propri limiti. Per Takano scrivere poesie significa nascere e morire insieme a ciò che s’incontra, si conosce, si perde.
La fiducia nella parola è assoluta, e mai rinuncia a dire tutto ciò che può dire: “l’anima e le parole non devono / attendere alla finestra, ma cercare / le porte da cui incamminarsi.”
Come afferma Paolo Lagazzi nell’introduzione, Takano, nella continua tensione tra “metafisica e quotidianità”, è poeta “teneramente austero, vibrante di umanità e assetato di verità”. La sua poesia, “tesa di continuo alla trascendenza” e alla “trasfigurazione infinita dell’anima”, rappresenta una delle più alte e intense forme di preghiera.


Davvero acuto, coinvolgente e partecipe questo scritto che ci fa conoscere e amare un autore giapponese di sicuro valore.
Caterina Camporesi è nata a Sogliano al Rubicone (Fc) nel 1944 e vive tra Rimini, la Garfagnana e Roma. Svolge l'attività di psicoterapeuta. È stata condirettrice de «La Rocca poesia”, redattrice de «Le Voci della Luna» e collabora a riviste con recensioni e saggi inerenti al rapporto tra psicoanalisi e creatività. Ha pubblicato quattro raccolte di poesia: Poesie di una psicologa, Sulla porta del tempo, Agli strali del silenzio e Duende, edito da Marsilio Collana elleffe, Venezia, 2003. È presente con “La sorte risanata” nell'antologia La coda della Galassia. Collabora alla rivista on line Fili d’aquilone. Si occupa di poesia boliviana. La sua è una poesia dell’anima che indaga la verità.

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