sabato 12 marzo 2011

Su Dove il vero si coagula di Caterina Camporesi

Raffaelli Editore, 2011
Germana Duca Ruggeri

La volontà costruttrice che informa le opere di Caterina Camporesi si avverte anche nella nuova silloge Dove il vero si coagula (Raffaelli, 2011), titolo che Anna Antolisei, nella Prefazione, sente sostanziale alla ricerca del “sé”, condotta dall’autrice con autentico slancio, dall’assunto teorico degli studi alla prassi, “nell’intimità propria e nel più esteso, sinergico sociale”.
 Il libro, diviso in due sezioni (Un porto ai sé nascenti, Per scelta oculata), non ha paura di andare alla scoperta del silenzio, né dei lati oscuri dell’essere e dell’esistere: «Tempo non scaduto per ore incolte / […] di silenzio intrise / nella notte come avventuriere / scardinano serrature di mondi», si legge in primis. E si entra con curiosità in un flusso di coscienza lungo ottantasette pagine, senza alcun segno di interpunzione, con scarse congiunzioni e preposizioni, con pochissimi articoli, posando lo sguardo per lo più su sestine di versi variamente disposti.
 Una prodezza stilistica che si accorda bene al monologo interiore, al movimento di senso verso il dove del vero che sta a cuore a Caterina. Come a noi che leggiamo, assecondati dal ritmo che perlustra scaglie di  universo, in cui «tra visionari balzi e cadute», macerie e «cantieri riaperti», è possibile scorgere istanti di tempo sospeso, ponti, incontri.
 L’idea di tempo sospeso è come muovesse da magma e etere prima di giungere alle parole giuste per dire l’origine della vita. Sia individuale - «nel vermiglio del travaglio / un parto ancora / per un porto ai sé nascenti // avidi di oceani aperti / (e)venti ascensionali». Sia collettiva: «dimora si fa il mondo / grembo di parole / acque battesimali // rimargina nessi / lungo ponti precari / a tratti ospitali». Fino ad inventare una bella immagine in cui la forza centripeta si muta in forza centrifuga, rimodellando tempo e spazio: «nell’istante ponte / meridiani e paralleli si scompaginano / prefigurando altre mappe».
 Intanto che va stagliandosi in controluce il valore simbolico del ponte, opposto a crepe, arsure, dirupi, antri caveosi, anche la riflessione sull’unicità e sulle derive della solitudine si trasforma in possibilità di incontro: «precipitando in grotte millenarie / tra ombre affiora il volto dell’altro / verso la luce a due a due / risale il passo»; «diastole sistole alternano / gemiti giubili». Commovente questo ‘paso doble’ del cuore ospitale di Caterina che diviene scrittura: abbraccio che cancella la mestizia e ci fa sentire meglio, anche se galoppiamo nel buio, in cerca del  dove.
 Dove il vero si coagula?  Se ripartissimo dall’inizio trasformando il titolo in una interrogazione, potrebbe accadere di trovare le risposte (involontarie?) nel libro stesso. Nessuno si salva da solo e, nell’oscurità, tutto può accadere se la scelta non è oculata, se non si cerca insieme «la giusta soluzione». Quella che «aiuta l’essere a esserci».
 Così, risfogliando questo dorato librino color seppia, è come se nello sguardo dell’autrice, ritratta in quarta di copertina, si riflettesse l’explicit, un prestito di Octavio Paz: “Il testo poetico è un transito fra un silenzio e l’altro, fra il voler dire e il tacere che fonde volere e dire”. Anzi, ri-dire, se non vogliamo ignorare la cifra iterativa racchiusa nel lessico scelto da Caterina per inviarci il suo messaggio: rinsangua, si ridestano, rianimano, riemergono, riconvoca, risale, rilancia, rifonda, ritrova, rimodella,  ritenta, si riaccostano. Poesia cardinale, nella rosa dei verbi. 

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