mercoledì 11 settembre 2024

martedì 10 settembre 2024

"Il buio della ragione. Poesie e testimonianze contro la tortura" a cura di Vito Davoli e Marco Cinque. Recensione di Lorenzo Spurio

A CURA DI LORENZO SPURIO


In questo ricco volume – frutto di un lungo e meticoloso lavoro dei curatori che hanno lanciato il progetto e curato l’intero percorso editoriale – figurano raccolte numerose testimonianze reali, frutto di ricerche e rapporti personali del giornalista e attivista Marco Cinque («Il Manifesto», «Le monde Diplomatique») con chi ha vissuto sulla propria pelle varie forme di tortura.

A compendio vi è un nutrito corpus di testi poetici, tra storici e moderni, affiancati da componimenti di autori contemporanei che hanno aderito al tema sperimentandolo, nei propri versi, in forma personale, finanche con la rievocazione di tristi episodi della storia e della cronaca odierna.

Poeti italiani e internazionali dei nostri giorni hanno aderito a questo progetto corale che ha anche un’importante finalità benefica, strettamente voluta dai curatori, il già citato Marco Cinque e Vito Davoli, noto poeta, critico e organizzatore culturale pugliese, ovvero quella di devolvere i proventi a Gazzella Onlus, un’associazione che si occupa di cure e di riabilitazione per bambini palestinesi, vittime innocenti delle brutture e delle crudeltà di una delle varie guerre ora in corso.

Sono raccolti testi a tema “la tortura” (realtà alla quale è dedicata un’apposita giornata di ricordo e sensibilizzazione, il 26 Giugno) provenienti, oltre che dall’Italia, dalla Spagna, dall’Albania, dall’America, dal Nicaragua, dall’Uruguay, dalla Palestina, dalla Costa Rica, dall’India, dal Perù, dalla Grecia, dal Messico, da El Salvador, dal Venezuela, dalla Giordania, dall’Ecuador, da Cuba, dalla Bolivia.

Il volume, che riporta in copertina uno scatto fotografico dello stesso Cinque che assomma fascino e inquietudine con lo scorcio della statua di Giordano Bruno (arso sul rogo nell’anno 1600 su decisione del Sant’Uffizio) di Campo de’ Fiori nella Capitale, si apre con la preziosa prefazione di Riccardo Noury, Responsabile per la Comunicazione di Amnesty International Italia dal titolo “Universalmente proibita, praticata ovunque: la tortura nel mondo” nella quale accenna a varie forme di tortura nel mondo orientale e ricorda anche le aberrazioni avvenute in territorio cubano nel carcere americano di Guantanamo e sul territorio iracheno nel tristemente noto Abu Ghraib, alcuni anni fa. Noury passa poi a riflettere sui nuovi metodi di tortura attuali, forse più infidi e sicuramente meno patenti, che si sviluppano nel clima omertoso e nella condizione di ostaggio ideologico o politico, che sfrutta e brutalizza ben più il pensiero che il corpo. Drammi di violenze psicologiche reiterate e abusi comportamentali, vessazioni verbali imperniate sull’accusa e la degradazione dell’io. Il prefatore non a caso parla di un nefando «approccio manageriale, in cui viene studiato ogni “punto debole del nemico” e curato ogni minimo dettaglio della conduzione degli interrogatori e del trattamento riservato a un prigioniero».

L’ampio compendio delle “testimonianze” sulle torture che fa seguito ai testi critici di apertura vede i racconti drammatici e raccapriccianti di Lynda Lyon, Scotty Moore, Robert Wallace West, Dominique Green El, Nanon Williams, Michael Sharp, Ahmed Rabbani, Enrique Mario Fukman, Shi Dong-Hyuk, Agnés Callamard, Vahit Gunes, Zhura, Italia Méndez, Loretta Rosales, Lelia Pérez, Antonin Artaud, Vittorio Bologresi, Roberto Settembre, Fernando Eros Caro, Meena Keshwar Kamal, Karl Louis Guillen, Ray “Orso-che-corre” Allen, Jumah Al-Dossari, Liubka Sevstova, Alexandro Panagulis, Simona Foconi, Silvia Giacomelli, Carlos Mauricio, Alda Merini, Maria Mercedesa Carranza, Igiaba Scego, Louis Aragon, Salvatore Quasimodo, Tommaso Campanella, John Berger, Pietro Valpreda, Bobby Sands, Roque Dalton, Ghiannis Ritsos, Ada de Judicibus Lisena, Wislawa Szymborska. Ogni nome è una storia amara, dolorosa da leggere e da accettare come reale. I curatori hanno raccolto una grande quantità di materiali e testimonianze in grado di dare una mappatura – sicuramente non completa – ma assai elaborata e rappresentativa dei vari deliri della ragione nel tempo e nello spazio. Arricchiscono queste testimonianze degli orrori, racconti inenarrabili e indelebili, quelli delle torture operate in Cile e quelle italiane in Somalia e a Nassiriya nonché quelle tristemente più diffuse nelle carceri minorili; un’intera sezione è dedicata alle “Voci dai lager libici”. Vi è anche la vicenda forse meno nota ma non per questo non meno degna di attenzione delle Residential Schools in Canada.



La sezione dei poeti contemporanei del Belpaese è ben nutrita di componimenti, tra cui quelli di (citiamo, per motivi di scarsità di spazio, solo alcuni dei poeti e delle poetesse inserite): Nicola Accettura, Marco Cinque, Vittorino Curci, Vito Davoli, Tania Di Malta, Barbara Gortan, Rita Greco, Alfonso Guida, Giuseppe Langella, Annachiara Marangoni, Giampaolo G. Mastropasqua, Guido Oldani, Rita Pacilio, Gianni Antonio Palumbo, Giulia Poli Disanto, Paolo Polvani, Anna Santoliquido, Lorenzo Spurio, Mara Venuto e Pasquale Vitagliano. Seguono le opere dei poeti stranieri e in appendice i componimenti di tre grandi letterati della nostra età: il greco Sotirios Pastakas, l’indiano Sudhakar Gaidhani e il palestinese Ali Al Ameri.

Il giornalista Angelo Selletti ha parlato in un articolo di questa crestomanzia tematica nei termini di «una sorta di olimpo della poesia, italiana e internazionale, considerando i nomi che hanno aderito al progetto poetico e solidale» richiamando le considerazioni di Davoli che ha scritto: «poeti straordinari con storie di vita e carriere formidabili. Avere avuto il privilegio di leggerli e di organizzare questa antologia godendoli tutti insieme, è stata una fatica che ha ripagato verso dopo verso, pagina dopo pagina». L’altro curatore, Marco Cinque, nel suo testo ha ricordato anche la nefanda pratica regolarizzata da un vetusto e infame sistema legislativo che, in Italia come in altri Paesi del Vecchio Continente, riconosceva il delitto d’onore: tutelando la rispettabilità dell’uomo (marito o padre) acconsentiva tacitamente all’utilizzo di forme di potere e violenza sulla donna. Cinque definisce l’operazione editoriale in maniera convinta e sentita nei termini di una «forma di resistenza partecipata e interattiva che possa fare argine alla disumanità che incombe, ormai in ogni parte del mondo».

La pubblicazione ha avuto il sostegno dell’Accademia delle Culture e dei Pensieri del Mediterraneo, dell’Associazione Verso Levante APS, del magazine letterario «Pubblicazioni Letterariæ» e della rivista di letteratura «La calce e il dado».

La prima presentazione ufficiale è prevista a Roma per lunedì, 11 novembre. Ulteriori dettagli e aggiornamenti sulla pagina Facebook ufficiale de Il buio della ragione.

Ricordando la finalità benefica dell’iniziativa editoriale, si riporta in formato grafico il codice QR la cui scansione permette di accedere alla pagina che dà notizia delle possibilità di acquisto con relativa scontistica. A continuazione si riportano i dati per coloro che vorranno sostenere le attività della Gazzella Onlus:

CC bancario nr. 1052792

IBAN: IT 54 D 05018 03200 0000 110 52792

Intestazione: GAZZELLA ONLUS – c/o BANCA ETICA di Roma

 

 

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Lorenzo Spurio

Matera, 27/08/2024

 

 

venerdì 6 settembre 2024

martedì 3 settembre 2024

Una poesia di Maxhun Osmanaj, Kosovo. A cura di Irma Kurti

 

LA PORTA DELLA VITA

 

Quando la Vita mi ha aperto la porta

non l’ho conosciuta affatto.

Ero avvolto

dalle gioie, dalle lacrime,

che si mischiavano insieme,

ero completamente ingannato

dalla sua ebbrezza.

Come un bambino timido

cercavo di cogliere il suo senso,

nella sua costruzione filosofica

forse a volte mi perdevo.

L'esperienza è stata la mia insegnante,

il viaggio mi ha insegnato i piccoli passi.

Mio padre mi ha lasciato assai presto

e rimasi un bambino nella battaglia della vita.

Più tardi, mi ha lasciato anche la mamma,

era allora che sono diventato uomo.

La porta della vita resta spalancata per me

ma la tomba della vita rimane chiusa.

In attesa di essere aperta....


MAXHUN OSMANAJ è nato il 25 aprile 1958 nel villaggio di Prekalle in Istog-Kosovo. Ha terminato le scuole elementari a Zallq, le superiori a Istog e l’Università nel ramo di Letteratura e Lingua albanese a Prishtina. Da quarant'anni lavora come giornalista e scrittore in Kosovo, Albania e Macedonia. Scrive poesie per bambini e adulti, narrativa, poesia e critica letteraria. È membro della Lega degli Scrittori del Kosovo, membro dell’Associazione degli Scrittori per Bambini "Agim Deva", membro del comitato editoriale della rivista scolastica "Morning Bird", Prishtina. Ha ricevuto vari premi e riconoscimenti. Le sue poesie fanno parte di molte antologie in Kosovo e in Albania. Inoltre, le sue opere sono entrate a far parte dell'antologia Poesia albanese contemporanea tradotta in francese "La Poesie Contemporaine Albanaise" (2024). Ha lavorato come insegnante di lingua albanese per quasi tre decenni. Vive e lavora a Istog.

“Senza la poesia l’uomo / altro non è un puro scoglio”

Su Articoli Liberi i versi di Swami Prem Salvatore Mannella, grazie!






domenica 1 settembre 2024

Complimenti a Felice Di Benga finalista al “Premio Letterario Nazionale Giovane Holden”


Sono stati proclamati, come da bando di concorso, i finalisti della XVIII edizione del “Premio Letterario Nazionale Giovane Holden” organizzato da Giovane Holden Edizioni in collaborazione con Associazione Culturale I soliti ignoti, il blog Vitamina L e Irbil.


Come stanno le cose, stanno ancora così

recensione di Giancarlo Baroni


Come stanno le cose è il titolo della corposa (comprende più di 150 poesie) raccolta di Mino Petazzini da poco pubblicata da Bohumil Edizioni; «la presente raccolta», precisa l’autore nella Nota, «si compone di testi scritti tra il 2019 e il 2020 e poi rivisti, qualche volta, senza eccessivi cambiamenti nei due anni successivi». Un biennio importante sia dal punto di vista esistenziale sia poetico, il 2019-2020, che ha coinciso per Petazzini con la conclusione della propria esperienza lavorativa e con l’inizio del pensionamento; un momento di passaggio che favorisce la meditazione e che induce a riflettere su molti aspetti della vita.

Il tono complessivo dell’opera è però, contrariamente a quanto possa lasciare immaginare il titolo, tutt’altro che assertivo e categorico, anzi lo si potrebbe definire disilluso, disincantato. Uno dei 7 testi che porta l’identico titolo del volume dice: «Come stanno le cose, in fondo, / non interessa più a nessuno / […] / non ha quasi più importanza. / Tutto è consumo, tempo consumato. / Una volta sapevo come stavano / ma forse allora mi sbagliavo, / ci sbagliavamo, si sbagliavano tutti. / Eppure le cose nel vasto mondo / come nel mio misconosciuto / microcosmo quotidiano, / stanno ancora così». 

Noi siamo immersi in un mondo reale e abbiamo lì le nostre radici, ci ricorda Petazzini nelle 12 poesie intitolate appunto Nel mondo reale. Un mondo fatto di cose concrete, dotate di materia e consistenza: «un viottolo buio in leggera salita», «un ponte in pietra sul torrente», «una grande quercia isolata, / un nido di cicogna sul tetto / di una chiesa di campagna», l’albero «che ti passa accanto», «acqua, foglie, aghi di abeti, / cedri, mozziconi di sigarette»… Tuttavia facciamo parte a pieno titolo sia di un «mondo astratto», come sostengono le 10 poesie intitolate appunto Nel mondo astratto, dove prevalgono «un paesaggio mentale» e «traiettorie sognanti»,  sia di «un mondo fluttuante» (12 i testi intitolati Nel mondo fluttuante) dove le sfumature e le probabilità  si impongono sulle certezze e dove anche la consistenza dell’io si affievolisce: «È tempo di passare la mano / sul tavolo, far sparire le briciole, / indurre definitivamente / il proprio io ad attenuarsi». 

Questa modalità di intitolazione dei componimenti, già adottata in raccolte precedenti, non rappresenta un particolare secondario e consiste principalmente in «una manciata di titoli ricorrenti, numerati, che in qualche modo accompagnano il progredire dei testi e, almeno in parte, alludono agli stati d’animo e ai temi che in essi vengono di volta in volta richiamati e sviluppati», spiega ancora l’autore. Il concetto è ribadito in modo stringato dal poeta Luca Egidio che nella sua elegante nota critica scrive: «Sì, perché il libro è articolato in serie di temi che tornano raggruppati in titoli». Questa modalità basata sul reiterare, ribadire, ripetere, rappresenta forse un tentativo per trattenere sulle pagine le parole prima che sbiadiscano, per dare spessore e corposità alle cose nominate prima che si smaterializzino e perdano peso. 

Il tempo che inarrestabile e inesorabile passa e se ne va mi sembra il tema principale del libro: «All’improvviso il tempo è poco, / succede, indietro non si torna». Petazzini, che è nato come me nel ’53, sa che la vecchiaia è una tappa dell’esistenza che prelude a un momento più drammatico: «Potrei prendermi una lunga vacanza / e stare ore e ore a fissare / un punto della stanza rivivendo / i suoni e i movimenti dell’infanzia / o della giovinezza, maturità, / sino a questa inusitata vecchiaia, che non si chiama più così / ma è esattamente questo, / un modo di corteggiare la fine, / distrarla, allontanarla». Il futuro consiste in «qualcosa da aspettarsi e desiderare» durante i «giorni che restano a disposizione»; il presente è quello che accade, la sua «parte migliore / è sempre un attimo prima / che le cose abbiano inizio»; il passato è ciò «che non tornerà».  Si avverte nei versi di Petazzini un forte sentimento di disincanto che spinge a sperimentare «un certo ponderato distacco dalla realtà» e a «mantenere prudentemente le distanze».

Affidarsi ad azioni e gesti ripetitivi, a un quotidiano e rigoroso rituale comportamentale,  può aiutare a tenere sotto controllo e a contenere l’ansia generata dal disordine e dal male che ci assediano, dall’angoscia degli addii: «E poi ringraziare / salutare di nuovo, guidare, / rincasare, cenare, andare a letto, / dormire, svegliarti, farti / la barba, la doccia, prepararti / la colazione, raccogliere / le idee, fare un breve tragitto / a piedi, tornare, sederti, / spezzare i versi, prolungare / lo strano sentimento che forse / è già quasi alla fine». Ma non possiamo proprio accontentarci di queste instabili e traballanti difese. Basterebbe invece, per cominciare, che ognuno di noi quotidianamente almeno rammentasse le sette opere di misericordia «che abbiamo imparato da bambini: / dar da mangiare agli affamati, / dar da bere agli assetati, vestire / gli ignudi, alloggiare i pellegrini, / visitare gli infermi, visitare i carcerati, / seppellire i morti».

Petazzini assegna un ruolo assai importante alla poesia la cui aspirazione, afferma nella Nota, è «provare a tenere insieme l’interno e l’esterno, il destino personale e quello del mondo, il prezioso nucleo di tempo che è stato ed è nostro […] e il tempo generale […] in cui è capitato e capita di vivere. […] Nonché quanto rimane di sospeso, non spiegato, inafferrabile nei giorni che sono passati e continuano a passare. E in quelli, baluginanti e incerti, o minimamente programmabili, che ancora ci aspettano». 

Cinque poesie, intitolate Epicedio, rappresentano un «dolente addio a un gatto», una intensa dichiarazione di affetto: «finisco per accodarmi anch’io alla foltissima schiera che dall’Ottocento a oggi ne ha fatto l’animale totemico per eccellenza della poesia». Petazzini, che conosce approfonditamente il mondo degli animali, ha curato per l’editore Luca Sossella tre voluminose antologie intitolate La poesia degli animali; la prima è sugli animali domestici, la seconda su quelli selvatici e la terza sugli uccelli.