venerdì 22 maggio 2020

Un dialogo tra l’antico bambino e i morti

Massimiliano Bardotti e Gregorio Iacopini, Il colore dei ciliegi da febbraio a maggio (Fara 2020)

Recensione di Subhaga Gaetano Failla



Sono stato subito attratto, ancor prima di leggere il libro, dal titolo suggestivo e dall’incantevole copertina della raccolta di poesie Il colore dei ciliegi da febbraio a maggio di Massimiliano Bardotti e Gregorio Iacopini.
Il libro è diviso in quattro sezioni, con le motivazioni introduttive dei giurati Filippo Amadei e Michele Brancale del concorso Narrapoetando 2020, la prefazione di Filippo Davoli e la   postfazione di Isabella Leardini.
Il titolo che ho dato alle mie righe è stato estratto dalle parole di Cristina Campo poste in epigrafe della prima sezione. Mi sembra che esso possa racchiudere il significato essenziale di queste poesie, versi in armonia con una ineffabile linea di confine, con un sorprendente luogo di transito. Una immersione fiduciosa nella nostra eterna impermanenza.
La prima sezione, Un’intensità quasi di neve, è uno sguardo sull’indicibile realtà, un risveglio simile a quello di colui che è andato “a dormire su un prato”. È la felicità che scaturisce interminabilmente dall’abbandonarsi nelle braccia dell’esistenza. Sono poesie che celebrano il potere della parola come miracolo, magia e incantamento:

Scrivo “mandorlo”
affinché tu lo veda fiorire.

Scrivo “gelsomino”
perché tu ne senta l’odore.

I versi di questa sezione sono sensuali, hanno la forza di occhi di vecchi bambini spalancati sul mondo, in lussureggianti apparizioni e delizie: la magnolia, le lucciole, la rugiada, il rosmarino, la falena e le spighe di grano, i molteplici fiori, i semi del lino e il sapore di un pomodoro. Sono canzoni tra la luce e l’ombra, tra le note di “tutte le tempeste”, nel ritmo di una vitalità febbrile, poesie che cantano la perenne trasformazione e l’illusione del tempo, nella misura e nella cadenza del respiro. È un immobile andare e venire di fiato melodico, il desiderio di “uno slancio, all’ora giusta”, il ricordo di un’alba, alla fine delle notti insonni, quando “intatto rimaneva ogni mistero”, versi che teneramente irridono la stupidità di noi umani alla ricerca “di qualcosa di grande./ Ciechi sulla grandezza del filo d’erba/ o della foglia.”
La seconda sezione, più breve, Il colore dei ciliegi da febbraio a maggio, con in epigrafe i versi di Borges, dove in conclusione si parla “delle altre consuetudini dell’uomo”, è un cauto itinerario nel dedalo, accompagnati dall’armonia in ogni passo, in ogni smarrimento:  “Siamo anime in cammino sulla via della rinascita/ il passo è variegato e camminare è opera lirica”.
In questa sezione il verso ha un impeto più narrativo, nel racconto delle nostre infinite vite quotidiane – “la nonna che russa al televisore / da dietro al tavolo di molte vite” –, del nascere per enigmatiche avventure in un luogo e non in un altro – “son nato e fatto uomo / a Castelfiorentino” –, e sempre sulle tracce della “musica che sorge la mattina”.
La terza sezione, Per saperlo indicheranno il firmamento, è introdotta dai versi lirici e sapienziali di San Gregorio di Narek, il quale ci suggerisce la strada maestra del poeta: “per creare, fu necessario prima piangere.”
In questa parte del libro si parla, con straordinaria intensità immaginifica e metaforica, di un nuovo sguardo, di una semplice e al contempo ardua rivoluzione esistenziale, nel passaggio dagli inconsapevoli automatismi proiettivi a una con-versione, lo sguardo insomma che si rivolge verso sé stesso – “la bellezza si vede ad occhi chiusi” –, il mondo che appare nuovo e originario, meraviglioso, perché nuovi e originari sono divenuti finalmente i nostri occhi: “Rimira stanotte in altro modo la stella”. Ritroviamo in questi versi la gioia di scoprirci divini viandanti, la felicità di “qualunque nomade” che contempla “il dolce mistero del flusso”, nelle sacre celebrazioni quotidiane, nella elementare bellezza di “un tango sul terrazzo”. Il nostro cammino verso questa destinazione, verso questo naturale e incredibile destino, è irto di ostacoli e pericoli. Dobbiamo dunque affrontare i “rischi dell’amare”, oltre le paure e le inquietudini, nel timore che il fluire possa rimanere incagliato nei nostri stessi terrori, nell’errore di essere ciechi ai continui doni, all’eterno divenire, come se  “avessimo da meritarcela l’aurora.”
Anche in questa sezione, che si conclude con l’alto lirismo dei seguenti versi: “Berremo insieme il mare che fiotta: / è senza fine, ci basterà”, baluginano gli splendori di un inno al Creato. Mi riportano alla mente le ultime battute di quella che secondo me è la vetta più elevata della cinematografia di Pasolini, raggiunta nel breve film, una perla rarissima, intitolato Che cosa sono le nuvole? Nella scena finale il protagonista, guardando il cielo e le nuvole, dice in un grande sospiro: “Ah! Straziante meravigliosa bellezza del Creato!”
Nella brevissima sezione di chiusura, intitolata Preghiera, vengono riportati in epigrafe i versi di Robert Walser, uno degli autori, per quel che mi pare di aver compreso, più amati da Massimiliano Bardotti. Sono, quelli di Walser, dolcissime parole di gratitudine e quiete: “Pregare è stasera / tutto ciò che mi resta da fare. / L’ho terminato, il giorno, / ho vigilato su di esso / e ora posso riposare.”
E i versi conclusivi di questo libro sono anch’essi di gratitudine, nella continua ricerca del divino, ovunque: “Ti vedrò? Nelle rughe di mia madre?”
Spero, infine, di essere stato in grado di trasmettere un poco, con le mie fragili righe, la grazia commovente di Il colore dei ciliegi da febbraio a maggio. Ringrazio gli autori Massimiliano Bardotti e Gregorio Iacopini, l’editore e autore Alessandro Ramberti e tutte le persone che hanno dato un contributo al libro per questo nuovo e prezioso dono offerto alla bellezza.

Nessun commento: