martedì 14 aprile 2020

“Tutto è sospeso / tutto è promesso.”

Raffaela Fazio, Tropaion, puntoacapo 2020

recensione di AR


Anche se, essendo inserita in chiusura, l’ho letta alla fine, l’esegesi di Sonia Caporossi è di tale pregnanza ed empatia che andrebbe forse letta prima di immergerci nei versi di questa corrusca raccolta: già dal suggestivo titolo – Imago et umbra sumus: la battaglia invisibile di Raffaela Fazio – infatti, questa postfazione non solo fornisce chiavi di lettura importanti, ma tesse una rete di richiami con i classici che ci permette di gustare maggiormente e in profondità il libro. 
Trópaion è parola greca tradotta in italiano con “trofeo” e deriva da un verbo che significa “mettere in fuga il nemico”. Tale parola, ci ricorda Caporossi, «indica la pratica comune presso i guerrieri greci di riportare in patria le spoglie del nemico e le sue armi (…) un omaggio alla memoria della grandezza dell’avversario; o forse, più atavicamente, (…) una celebrazione dello sforzo che era stata necessaria per sconfiggerlo» (p. 85). Ogni esistenza comporta delle battaglie in primis con sé stessi, con le proprie ombre e sempre, ovviamente, con quanto la vita ci presenta in relazione agli affetti, agli amori, alle passioni, alle sconfitte, alle crisi, alle batoste ma anche alle opportunità, ai successi, ai desideri soddisfatti… al divenire in qualche modo il trofeo di noi stessi (il far morire, evangelicamente, il nostro vecchio sé per rinnovarlo, ricomporlo umilmente a partire dalle sue crepe).
Come osserva nella introduzione Gianfranco Lauretano: «La vita è lotta, ma anche la possibilità di trasformare la lotta in vittoria. (…) In parte, la vittoria consiste già nella capacità di rivolgere uno sguardo diverso alle cose.» (p. 6).
Il libro è diviso in 5 sezioni, l’ultima consiste della sola poesia eponima Dall’alto del colle, luogo da dove: “la vista / non teme più lo spazio // e coglie all’improvviso / il senso della luce” (p. 83). 
La sezione precedente – “Avanguardia” – è incentrata sulla relazione materna: “Sei vicina / come un paesaggio in corsa / verso la mia finestra. / Il buio ti rende più grande. / (…) / E io non posso / che tenerti stretta / a distanza.” (per Juliette, 2017, p. 71); “Accosto / all’immaginaria crepa / una parola già vinta / che tu ignori / ma prima / le labbra alla tua fronte / piccolo forziere incustodito.” (per David, ottobre 2017, p. 75).
La terza sezione – “Dalle fenditure” – indaga le ferite, le crepe, le dissonanze e le rielabora come solo la poesia riesce a fare: “Sii tenero / come chi vive / dei suoi frantumi: // dentro il corpo / di terracotta / il lume.” (p. 51); “Si apre la memoria / come una sala prima del concerto. / Calano le luci sul brusio diffuso. / Ogni strumento ancora / ignora lo spartito / parla a sé stesso. (p. 63).
Sempre procedendo a ritroso, abbiamo la sezione “Imago” di grandissima intensità e anche una perspicua riflessione sul rapporto fra parole e cose, pensiero e sentimenti, sensi e desideri, significanti e significati: “Vedo il mio occhio: / ma ancora non si sporge / resta nel fondo / di una discesa interna al suo cadere.” (Mise en abîme, p. 34); “L’immagine scese ma là rimase: / non accolse il flusso / nella sua sostanza. / (…) / E si spezzò / sotto la pioggia / imparò / la pazienza.” (p. 35), “La materia / di cui la vita è fatta / mi è sconosciuta / ma so che non somiglia / a nessuna / delle poesie che ho in testa / o alle parole / che limo e combino.” (p. 39).
La prima sezione (preceduta da una breve nota introduttiva in cui è scritto: “Occorre offrirsi allo scontro, (…) farsi attraversare dalle ombre”, p. 11) è intitolata “Una battaglia non vista” ci mette in mezzo, anima e corpo: “Così, nel vivo dell’amore / due stoppini: / l’invisibile intrecciato / a poca carne.” (p. 20); “Stringi forte il mio corpo di ore / lungo il recinto di edera e mirto.” (p. 28).
Raffaela Fazio si conferma con Trópaion una voce poetica di prima grandezza, con uno stile forgiato e temprato da un vissuto capace di grande attenzione, di visione, di accoglienza, di varcare il tempo, di far tesoro delle ombre, di navigare un mondo in cui troviamo bellezza e ingiustizie, solidarietà e particularismo, gratuità e soppraffazione. Un mondo in cui noi stessi ci sentiamo impreparati agli eventi e desideriamo un quadro di insieme più “alto”, un disegno esistenziale in cui le relazioni possano essere più stabili e sincere. Abbiamo a che fare con una poesia dai riflessi abbaglianti che sanno frantumarsi e ricomporsi in immagini nuove, in mosaici che catturano la luce anche negli angoli più oscuri, creando forme in grado di trattenerla sulla soglia dell’indicibile. Se la nostra corporeità non può sottrarsi alla legge dell’entropia, la poesia può ancora svolgere una funzione religiosa, mettere assieme le persone, le idee, le passioni… far risuonare nel contingente la musica dell’infinito.

PS Il distico che abbiamo posto come titolo appartiene alla poesia che inizia col verso “Si apre la memoria”, p. 63. 

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