recensione e intervista di Giovanni Fierro in Fare Voci - Rivista di scrittura, febbraio 2018
È un libro importante questo Solo brevi domande esiliate / Vetëm disa pyetje të mërguara di Griselda Doka, pubblicato da Fara editore.
Sono poesie che hanno il ritmo e la melodia di un canto, di una nenia, di una musica che nutre le parole.
Nata in Albania e poi nel 2003 trasferitasi in Italia, dove vive in provincia di Cosenza, Griselda Doka in queste sue pagine ci rende partecipi della sua vita, del suo cambiamento, del nuovo e necessario spaesamento, della sua memoria che l'accompagna continuamente, tenendola stretta al suo passato.
È un dire che si fa doloroso e che è capace di regalare bellezza, è un raccontare che esplora il tempo, i tempi, e li fa incontrare e mescolare.
E poi la figura di sua madre, così importante nella sua presenza, necessaria per il suo continuo confronto, voce da seguire e con cui tessere un dialogo di viva invocazione, perché “mi richiami all'ordine madre/ perdonami/ se la mia voce non ti raggiunge compiuta”.
Sono parole che si fanno cammino nell'esistenza, che segnano una direzione, che costruiscono un senso.
È l'occasione anche per Griselda Doka di fare i conti con se stessa, per fermare una stagione intensa, per tenere a sé i giorni che non si piegano, quelli dove è più facile perdersi, dove si ha solo il segnale “del vento sulle colline/ che tutto abbraccia/ e poco rivela”.
Ma in queste pagine l'autrice costruisce una mappa dove siamo tutti invitati, dove ognuno può trovare il proprio stare, che si confronta con quello di Griselda Doka, e lo affianca.
Il suo è l'invito a raccogliere ogni minimo frammento di testimonianza, “come questi appunti/ intrisi nella nostalgia del poco”.
Dal libro:
III
Do t’i duhej një magji gjumi
kujtesës brejtëse
për të harruar për një çast
se cilët kemi qenë
në atë cep bote
ku i ngrirë mbeti fluturimi i shqiponjës
shumë i lartë qielli
shumë e ulët toka
do të duhej t’u nxjerrim lëmyshkun ëndrrave
të rapsodëve të fundit
që panë t’u këputej
teli i lahutës
dhe ranë në gjumë me këngën e tymosur në buzë
nevojitet t’i hipnotizojmë shtegtarët e caqeve të ëmbla
ku i lartë nuk është çmimi i biletës
por i emrit të qepur pas shpine
kronikë e qelbur për ta pështyrë me llumin e kafesë
do të duhej të harronim ata që nuk dimë se jemi
t’i ndrydhim kujtimet
të bardha shkume
të kuqe gjaku
e të ecim në udhë të njohura
me shijen e agimit
dhe të faljes
III
Servirebbe un incantesimo di sonno/ alla memoria corrosiva/ per dimenticare momentaneamente/
chi siamo stati/ in quell’angolo del mondo/ dove congelato è rimasto il volo dell’aquila/ troppo alto il cielo/
troppo bassa la terra/ bisognerebbe rimuovere la patina dei sogni/ degli ultimi rapsodi/ che videro rompere
la corda del liuto/ e si addormentarono con il canto fumante tra le labbra// ipnotizzare i viandanti delle
dolci mete/ dove alto non è il prezzo del biglietto/ ma quello del nome cucito addosso/ di squallida cronaca
da sputacchiare sui fondi dei caffè/ bisognerebbe scordarsi di quello che non sai di essere// rinchiudere i
ricordi/ bianchi di schiuma/ rossi di vino/ e camminare in vie familiari/ che sanno di alba/ e di perdono
XV
Më fal nënë
nëse për t’u dukur e vërtetë në sytë e tu
më duhet të shtirem
dhe të dashuroj me dashuri
që nuk më përkasin
sytë e tu fëminorë
struken
brenda fytyrës së ngurosur
të kyçur nga ëndrra të brishta
të paëndërruara
me dashje
do që të më sjellësh në vete nënë
më fal
nëse zëri im nuk të vjen i plotë
po i qullosur nga britma të psherëtira ndaj qiellit
prehër i ngathët që mbruhet
më fal
nëse nuk mund t’i lehtësoj jetët e tua
të ngjizura rreptësisht për të farkëtuar veç një
ndërsa unë, bija jote
zë prej dore jetët e mia
anonime, të hutuara, kryeneçe
duke kërkuar të shpëtoj jetën e vetme
tënden
Më fal nënë
nëse nuk munda ta mbaj premtimin e madh
nëse nuk t’u binda
dhe nuk mësova të fluturoj
për ty
nëse ende harroj
të mbyll dritaren
dhe i ftohti është një shok besnik
që më zgjon
si medaljet e tua
që nuk kanë anë për të shfaqur
XV
Perdonami madre /se per sembrarti vera/ devo fingere/ e amare con amori/ che non mi appartengono/
i tuoi occhi infantili/ si rintanano/ dentro il volto pietrificato/ prigionieri di teneri sogni/ non sognati/
volontariamente/ mi richiami all’ordine madre/ perdonami/ se la mia voce non ti raggiunge compiuta/
intrisa di urla sospirate al cielo/ maldestro grembo che lievita/ Perdonami/ se non so dare sollievo alle tue
vite/ rigorosamente plasmate per forgiarne una/ mentre io, tua figlia/ accompagno per mano le mie/ vite
anonime, impacciate, ostinate/ cercando di salvare l’unica/ la tua/ Mi dispiace madre/ se non ho
mantenuto la grande promessa/ se ho disobbedito/ e non ho imparato a volare/ per la tua gioia/ se ancora
dimentico/ di chiudere la finestra/ e il freddo lo vedo un fedele compagno/ che mi sveglia/ come le tue
medaglie/ senza lati da mostrare
XXV
Ndonjëherë më duket
se jetën e njoh thellë
sikur të kisha jetuar njëmijë vjet
dhe të kisha luftuar për mosgjë
njerëzit më duken
sozitë e mia më të këqija
vetëtima mendimi të papritura
e shquajnë korbin
që çukat karafila
mbi parvazin tim
ku e vërteta mbështet
shkopin e pleqërisë
XXV
A volte ho l’impressione/ di conoscere a fondo la vita/ di aver vissuto mille anni/ di aver lottato per niente/
e la gente mi sembra/ la mia copia peggiore/ improvvisi lampi di pensiero/ riconoscono il corvo/ che becca i garofani/ sulla mia finestra/ dove la verità poggia/ il suo bastone di vecchiaia
Intervista a Griselda Doka
Il rapporto con tua madre è la trama intensa di questa scrittura. È un dialogo continuo, forse è la spina dorsale di tutto il libro. Cosa rappresenta per te?
Questa domanda contiene più di una verità. Ricordo che sin dalla mia tenera età, quando dovevo comunicare qualcosa a mia madre e non avevo avuto il coraggio di dirla a voce, decidevo di scrivere; uno scrivere che rispecchiava uno sfogo, una confessione a me stessa, una richiesta d’aiuto o probabilmente una dimostrazione di affetto.
Così, con il passare degli anni mia madre ha incarnato quel grembo/corpo della poesia; da conquistare e da coltivare in continuazione, o da riscrivere. Alcune poesie del libro indirizzate direttamente a lei, raccontano, infatti, di questo rapporto figlia/madre che si vive in un terreno incerto, fragile, quasi interdetto per la non comprensione reciproca e la non comunicazione, ma nello stesso tempo, un rapporto tenero che racconta un amore compassionevole e colmo di sacrifici come solo le madri sanno fare.
Mia madre è quella che più di ogni altro essere scatenava le mie curiosità, le mie domande, che spesso erano “brevi” e “esiliate”, a causa della sua compostezza e discrezione, quasi una zona off limit, il mio terreno poetico per eccellenza.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è la mia attenzione al Femminile in generale, al femminile violato e ferito, senza diritto di parola e scelta, come spesso accadeva al tempo delle mie nonne e come tuttora accade in tutto il mondo.
Il mio canto, che ricorda molto il lamento tradizionale albanese – è Donna anche la patria - si erge soprattutto per dare voce alle donne che hanno segnato direttamente e indirettamente la mia vita. Scrivo da donna e per le donne non solo per scelta, ma perché tutti “i respiri trattenuti “ dalle violenze e dalle ingiustizie, li sento “aggrappati al mio collo” e non posso far a meno di liberarli.
In queste pagine mi sembra ci sia un naturale spaesamento, non solo geografico ma anche emotivo. Lo puoi raccontare?
Nei miei primi anni di vita in Italia (vivo stabilmente qui dal 2003), era lo spaesamento geografico che mi spaventava. Non trovare le mie coordinate giornaliere, che in qualche modo, hanno contribuito a costruire quel senso critico che mi accompagna, mi faceva sentire sperduta, ma piano piano le cose sono cambiate. L’integrazione sociale e culturale facevano spazio ad un’altra condizione, a quella di vivere tra mondi e tra culture in modo perenne.
È questa consapevolezza che contraddistingue il modo di essere e di vivere di tutti i migranti, una condizione universale direi, che emotivamente porta a far emergere nuovi modi di pensare, di giudicare, di sentire e anche di essere. I confini si sciolgono tutti: quelli mentali ed emotivi, e si vive in esilio, inevitabile scelta dell’essere poeti.
Nella mia silloge ho voluto cantare un cammino, quello mio personale “pagato a caro prezzo”, e contemporaneamente quello del mio popolo negli ultimi anni dei quali direttamente ho memoria, utilizzando una lingua che ancora (forse) mi è matrigna.
Che tipo di Albania vive ed è raccontata in questo libro?
A rileggere questa domanda non posso nascondere la commozione che mi sorprende. Non so cosa percepisce il lettore leggendo i miei versi, riguardo all’immaginario del mio paese. Personalmente non ho voluto fare nessuna scelta intenzionale per evocare un’immagine colorata della mia patria: positiva o negativa che sia.
Raccontando però le figure dirette, ovvero madre, padre, nonna, zie e i luoghi della mia infanzia, in qualche modo ho profanato ciò che mi ha creato disagio e ho preso apertamente le distanze.
Il mio paese ha vissuto anni tremendi durante la dittatura comunista di Enver Hoxha, io ne ho memoria soltanto degli ultimi e ovviamente ho vissuto a pieno gli anni della transizione e la cosiddetta Rivoluzione Democratica post ’90.
Ne è venuta fuori un’Albania sanguinaria, divoratrice dei propri figli e dei propri frutti più belli, dove gli ideali hanno lasciato posto alla paura e di conseguenza ai compromessi politici e sociali. Non aver vissuto direttamente gli anni più feroci della dittatura, ma solo attraverso i racconti dei miei cari, mi ha portato ad analizzare in un’ottica diversa le memorie dell’infanzia.
Probabilmente sono stata più fortunata di mia madre, probabilmente no, chi può dirlo, ma ho imparato che la verità dell’uomo è violenza inaudita ogni volta che uccide il bello della vita e del quotidiano sotto tutte le sue forme.
La tua storia personale è già il libro, è già le pagine che compongono questa pubblicazione. Cosa ha significato scrivere di te stessa, mettere a nudo ed esporre la tua vita personale?
Io non riesco a scrivere se non sono vera. È la necessità di raccontare la verità dal mio punto di vista a spingermi a scrivere. La mia poesia nasce proprio da questa esigenza, di conseguenza mettere a nudo il mio io e la mia vita personale è un atto di coraggio e di rispetto per quella che sono, e per l’esercizio di scrittura che se non è autentico, vale ben poco.
Fare un cammino attraverso la scrittura, significa anche crescere, comprendere e guarire e non c’è altro modo di farlo se non attraverso il “fuoco della parola”.
È un testo molto sentito, necessario mi viene da dire. Com’è nato? Come ha trovato la sua forma?
Questa silloge contiene poesie scritte in periodi diversi. Alcune risalgono veramente a molti anni fa, ma hanno trovato naturale collocazione all’interno di questo poema. Preferisco chiamarlo poema, perché quando ho sentito che era giunto il momento di ristrutturare il tutto in un unico corpo, i versi mi sgorgavano come un unico canto/ lamento. Era giunta l’ora di rendere omaggio al mio sentire, ed è bastato solo l’incipit “Potrei anche morire/come ho fatto altre volte/e nulla ho imparato/ se non la vita che manca…”, a far nascere tutto il resto e a dar forma all’insieme.
Ricordo che ho provato una sensazione meravigliosa di libertà quando ho messo l’ultimo punto, quasi mi rifiutavo di rivedere o di inserire altro tra i frammenti, per non rovinare ciò che faticosamente avevo pianto e plasmato con la mia stessa carne.
Ora a distanza di anni capisco che il punto che avevo messo in questa silloge, sta mettendo radici in altre cose in cantiere. Va bene così, si cerca di crescere e di migliorare dove possibile.
L’autrice
Griselda Doka è nata a Tërpan, Berat (Albania). È attualmente dottoranda in Studi letterari, linguistici,
filologici e traduttologici presso l’Università degli Studi della Calabria.
I suoi interessi scientifici si basano sulla lingua e la letteratura albanese, sulle scienze traduttologiche e
sulla letteratura della migrazione, con un focus particolare sugli autori di origine albanese.
Ha ideato il Concorso Internazionale della Poesia della Migrazione “Attraverso l’Italia”, patrocinato dal
Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria e dal comune di Cosenza.
Attiva come operatrice culturale, organizza eventi sul territorio ed è membro di varie giurie letterarie.
Oltre alla sua lingua madre, scrive anche in italiano.
Ha partecipato ed è stata selezionata in vari concorsi letterari, nazionali e internazionali, con relative
pubblicazioni in antologie, riviste e blog.
Vive a Villapiana, in provincia di Cosenza.
(Griselda Doka, Solo brevi domande esiliate / Vetëm disa pyetje të mërguara, Fara editore, pp.94, 9 euro, 2016)
È un libro importante questo Solo brevi domande esiliate / Vetëm disa pyetje të mërguara di Griselda Doka, pubblicato da Fara editore.
Sono poesie che hanno il ritmo e la melodia di un canto, di una nenia, di una musica che nutre le parole.
Nata in Albania e poi nel 2003 trasferitasi in Italia, dove vive in provincia di Cosenza, Griselda Doka in queste sue pagine ci rende partecipi della sua vita, del suo cambiamento, del nuovo e necessario spaesamento, della sua memoria che l'accompagna continuamente, tenendola stretta al suo passato.
È un dire che si fa doloroso e che è capace di regalare bellezza, è un raccontare che esplora il tempo, i tempi, e li fa incontrare e mescolare.
E poi la figura di sua madre, così importante nella sua presenza, necessaria per il suo continuo confronto, voce da seguire e con cui tessere un dialogo di viva invocazione, perché “mi richiami all'ordine madre/ perdonami/ se la mia voce non ti raggiunge compiuta”.
Sono parole che si fanno cammino nell'esistenza, che segnano una direzione, che costruiscono un senso.
È l'occasione anche per Griselda Doka di fare i conti con se stessa, per fermare una stagione intensa, per tenere a sé i giorni che non si piegano, quelli dove è più facile perdersi, dove si ha solo il segnale “del vento sulle colline/ che tutto abbraccia/ e poco rivela”.
Ma in queste pagine l'autrice costruisce una mappa dove siamo tutti invitati, dove ognuno può trovare il proprio stare, che si confronta con quello di Griselda Doka, e lo affianca.
Il suo è l'invito a raccogliere ogni minimo frammento di testimonianza, “come questi appunti/ intrisi nella nostalgia del poco”.
Dal libro:
III
Do t’i duhej një magji gjumi
kujtesës brejtëse
për të harruar për një çast
se cilët kemi qenë
në atë cep bote
ku i ngrirë mbeti fluturimi i shqiponjës
shumë i lartë qielli
shumë e ulët toka
do të duhej t’u nxjerrim lëmyshkun ëndrrave
të rapsodëve të fundit
që panë t’u këputej
teli i lahutës
dhe ranë në gjumë me këngën e tymosur në buzë
nevojitet t’i hipnotizojmë shtegtarët e caqeve të ëmbla
ku i lartë nuk është çmimi i biletës
por i emrit të qepur pas shpine
kronikë e qelbur për ta pështyrë me llumin e kafesë
do të duhej të harronim ata që nuk dimë se jemi
t’i ndrydhim kujtimet
të bardha shkume
të kuqe gjaku
e të ecim në udhë të njohura
me shijen e agimit
dhe të faljes
III
Servirebbe un incantesimo di sonno/ alla memoria corrosiva/ per dimenticare momentaneamente/
chi siamo stati/ in quell’angolo del mondo/ dove congelato è rimasto il volo dell’aquila/ troppo alto il cielo/
troppo bassa la terra/ bisognerebbe rimuovere la patina dei sogni/ degli ultimi rapsodi/ che videro rompere
la corda del liuto/ e si addormentarono con il canto fumante tra le labbra// ipnotizzare i viandanti delle
dolci mete/ dove alto non è il prezzo del biglietto/ ma quello del nome cucito addosso/ di squallida cronaca
da sputacchiare sui fondi dei caffè/ bisognerebbe scordarsi di quello che non sai di essere// rinchiudere i
ricordi/ bianchi di schiuma/ rossi di vino/ e camminare in vie familiari/ che sanno di alba/ e di perdono
XV
Më fal nënë
nëse për t’u dukur e vërtetë në sytë e tu
më duhet të shtirem
dhe të dashuroj me dashuri
që nuk më përkasin
sytë e tu fëminorë
struken
brenda fytyrës së ngurosur
të kyçur nga ëndrra të brishta
të paëndërruara
me dashje
do që të më sjellësh në vete nënë
më fal
nëse zëri im nuk të vjen i plotë
po i qullosur nga britma të psherëtira ndaj qiellit
prehër i ngathët që mbruhet
më fal
nëse nuk mund t’i lehtësoj jetët e tua
të ngjizura rreptësisht për të farkëtuar veç një
ndërsa unë, bija jote
zë prej dore jetët e mia
anonime, të hutuara, kryeneçe
duke kërkuar të shpëtoj jetën e vetme
tënden
Më fal nënë
nëse nuk munda ta mbaj premtimin e madh
nëse nuk t’u binda
dhe nuk mësova të fluturoj
për ty
nëse ende harroj
të mbyll dritaren
dhe i ftohti është një shok besnik
që më zgjon
si medaljet e tua
që nuk kanë anë për të shfaqur
XV
Perdonami madre /se per sembrarti vera/ devo fingere/ e amare con amori/ che non mi appartengono/
i tuoi occhi infantili/ si rintanano/ dentro il volto pietrificato/ prigionieri di teneri sogni/ non sognati/
volontariamente/ mi richiami all’ordine madre/ perdonami/ se la mia voce non ti raggiunge compiuta/
intrisa di urla sospirate al cielo/ maldestro grembo che lievita/ Perdonami/ se non so dare sollievo alle tue
vite/ rigorosamente plasmate per forgiarne una/ mentre io, tua figlia/ accompagno per mano le mie/ vite
anonime, impacciate, ostinate/ cercando di salvare l’unica/ la tua/ Mi dispiace madre/ se non ho
mantenuto la grande promessa/ se ho disobbedito/ e non ho imparato a volare/ per la tua gioia/ se ancora
dimentico/ di chiudere la finestra/ e il freddo lo vedo un fedele compagno/ che mi sveglia/ come le tue
medaglie/ senza lati da mostrare
XXV
Ndonjëherë më duket
se jetën e njoh thellë
sikur të kisha jetuar njëmijë vjet
dhe të kisha luftuar për mosgjë
njerëzit më duken
sozitë e mia më të këqija
vetëtima mendimi të papritura
e shquajnë korbin
që çukat karafila
mbi parvazin tim
ku e vërteta mbështet
shkopin e pleqërisë
XXV
A volte ho l’impressione/ di conoscere a fondo la vita/ di aver vissuto mille anni/ di aver lottato per niente/
e la gente mi sembra/ la mia copia peggiore/ improvvisi lampi di pensiero/ riconoscono il corvo/ che becca i garofani/ sulla mia finestra/ dove la verità poggia/ il suo bastone di vecchiaia
Intervista a Griselda Doka
Il rapporto con tua madre è la trama intensa di questa scrittura. È un dialogo continuo, forse è la spina dorsale di tutto il libro. Cosa rappresenta per te?
Questa domanda contiene più di una verità. Ricordo che sin dalla mia tenera età, quando dovevo comunicare qualcosa a mia madre e non avevo avuto il coraggio di dirla a voce, decidevo di scrivere; uno scrivere che rispecchiava uno sfogo, una confessione a me stessa, una richiesta d’aiuto o probabilmente una dimostrazione di affetto.
Così, con il passare degli anni mia madre ha incarnato quel grembo/corpo della poesia; da conquistare e da coltivare in continuazione, o da riscrivere. Alcune poesie del libro indirizzate direttamente a lei, raccontano, infatti, di questo rapporto figlia/madre che si vive in un terreno incerto, fragile, quasi interdetto per la non comprensione reciproca e la non comunicazione, ma nello stesso tempo, un rapporto tenero che racconta un amore compassionevole e colmo di sacrifici come solo le madri sanno fare.
Mia madre è quella che più di ogni altro essere scatenava le mie curiosità, le mie domande, che spesso erano “brevi” e “esiliate”, a causa della sua compostezza e discrezione, quasi una zona off limit, il mio terreno poetico per eccellenza.
Un altro aspetto che vorrei sottolineare è la mia attenzione al Femminile in generale, al femminile violato e ferito, senza diritto di parola e scelta, come spesso accadeva al tempo delle mie nonne e come tuttora accade in tutto il mondo.
Il mio canto, che ricorda molto il lamento tradizionale albanese – è Donna anche la patria - si erge soprattutto per dare voce alle donne che hanno segnato direttamente e indirettamente la mia vita. Scrivo da donna e per le donne non solo per scelta, ma perché tutti “i respiri trattenuti “ dalle violenze e dalle ingiustizie, li sento “aggrappati al mio collo” e non posso far a meno di liberarli.
In queste pagine mi sembra ci sia un naturale spaesamento, non solo geografico ma anche emotivo. Lo puoi raccontare?
Nei miei primi anni di vita in Italia (vivo stabilmente qui dal 2003), era lo spaesamento geografico che mi spaventava. Non trovare le mie coordinate giornaliere, che in qualche modo, hanno contribuito a costruire quel senso critico che mi accompagna, mi faceva sentire sperduta, ma piano piano le cose sono cambiate. L’integrazione sociale e culturale facevano spazio ad un’altra condizione, a quella di vivere tra mondi e tra culture in modo perenne.
È questa consapevolezza che contraddistingue il modo di essere e di vivere di tutti i migranti, una condizione universale direi, che emotivamente porta a far emergere nuovi modi di pensare, di giudicare, di sentire e anche di essere. I confini si sciolgono tutti: quelli mentali ed emotivi, e si vive in esilio, inevitabile scelta dell’essere poeti.
Nella mia silloge ho voluto cantare un cammino, quello mio personale “pagato a caro prezzo”, e contemporaneamente quello del mio popolo negli ultimi anni dei quali direttamente ho memoria, utilizzando una lingua che ancora (forse) mi è matrigna.
Che tipo di Albania vive ed è raccontata in questo libro?
A rileggere questa domanda non posso nascondere la commozione che mi sorprende. Non so cosa percepisce il lettore leggendo i miei versi, riguardo all’immaginario del mio paese. Personalmente non ho voluto fare nessuna scelta intenzionale per evocare un’immagine colorata della mia patria: positiva o negativa che sia.
Raccontando però le figure dirette, ovvero madre, padre, nonna, zie e i luoghi della mia infanzia, in qualche modo ho profanato ciò che mi ha creato disagio e ho preso apertamente le distanze.
Il mio paese ha vissuto anni tremendi durante la dittatura comunista di Enver Hoxha, io ne ho memoria soltanto degli ultimi e ovviamente ho vissuto a pieno gli anni della transizione e la cosiddetta Rivoluzione Democratica post ’90.
Ne è venuta fuori un’Albania sanguinaria, divoratrice dei propri figli e dei propri frutti più belli, dove gli ideali hanno lasciato posto alla paura e di conseguenza ai compromessi politici e sociali. Non aver vissuto direttamente gli anni più feroci della dittatura, ma solo attraverso i racconti dei miei cari, mi ha portato ad analizzare in un’ottica diversa le memorie dell’infanzia.
Probabilmente sono stata più fortunata di mia madre, probabilmente no, chi può dirlo, ma ho imparato che la verità dell’uomo è violenza inaudita ogni volta che uccide il bello della vita e del quotidiano sotto tutte le sue forme.
La tua storia personale è già il libro, è già le pagine che compongono questa pubblicazione. Cosa ha significato scrivere di te stessa, mettere a nudo ed esporre la tua vita personale?
Io non riesco a scrivere se non sono vera. È la necessità di raccontare la verità dal mio punto di vista a spingermi a scrivere. La mia poesia nasce proprio da questa esigenza, di conseguenza mettere a nudo il mio io e la mia vita personale è un atto di coraggio e di rispetto per quella che sono, e per l’esercizio di scrittura che se non è autentico, vale ben poco.
Fare un cammino attraverso la scrittura, significa anche crescere, comprendere e guarire e non c’è altro modo di farlo se non attraverso il “fuoco della parola”.
È un testo molto sentito, necessario mi viene da dire. Com’è nato? Come ha trovato la sua forma?
Questa silloge contiene poesie scritte in periodi diversi. Alcune risalgono veramente a molti anni fa, ma hanno trovato naturale collocazione all’interno di questo poema. Preferisco chiamarlo poema, perché quando ho sentito che era giunto il momento di ristrutturare il tutto in un unico corpo, i versi mi sgorgavano come un unico canto/ lamento. Era giunta l’ora di rendere omaggio al mio sentire, ed è bastato solo l’incipit “Potrei anche morire/come ho fatto altre volte/e nulla ho imparato/ se non la vita che manca…”, a far nascere tutto il resto e a dar forma all’insieme.
Ricordo che ho provato una sensazione meravigliosa di libertà quando ho messo l’ultimo punto, quasi mi rifiutavo di rivedere o di inserire altro tra i frammenti, per non rovinare ciò che faticosamente avevo pianto e plasmato con la mia stessa carne.
Ora a distanza di anni capisco che il punto che avevo messo in questa silloge, sta mettendo radici in altre cose in cantiere. Va bene così, si cerca di crescere e di migliorare dove possibile.
L’autrice
Griselda Doka è nata a Tërpan, Berat (Albania). È attualmente dottoranda in Studi letterari, linguistici,
filologici e traduttologici presso l’Università degli Studi della Calabria.
I suoi interessi scientifici si basano sulla lingua e la letteratura albanese, sulle scienze traduttologiche e
sulla letteratura della migrazione, con un focus particolare sugli autori di origine albanese.
Ha ideato il Concorso Internazionale della Poesia della Migrazione “Attraverso l’Italia”, patrocinato dal
Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria e dal comune di Cosenza.
Attiva come operatrice culturale, organizza eventi sul territorio ed è membro di varie giurie letterarie.
Oltre alla sua lingua madre, scrive anche in italiano.
Ha partecipato ed è stata selezionata in vari concorsi letterari, nazionali e internazionali, con relative
pubblicazioni in antologie, riviste e blog.
Vive a Villapiana, in provincia di Cosenza.
(Griselda Doka, Solo brevi domande esiliate / Vetëm disa pyetje të mërguara, Fara editore, pp.94, 9 euro, 2016)
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