mercoledì 28 febbraio 2018

“mai sono state le radici così poderose”

Gladys Basagoitia DazzaL’iris della speranza – FaraEditore 2017

recensione di Vincenzo D'Alessio




Ha visto la luce lo scorso dicembre presso le Edizioni Fara di Rimini, nella collana “Vademecum”, la raccolta di poesie di Gladys Basagoitia Dazza: L’iris della speranza: novantacinque pagine di “puro lirismo”.
Inconfondibile è in poesia la voce di chi si pone alla traduzione dei poeti/poete da lingue diverse dalla sua: come il caso dell’affermata poeta Giovanna Iorio che per le edizioni “Via del vento” di Pistoia ha tradotto poete irlandesi. Ha questa voce una essenza longeva, carica dell’energia proveniente dall’avere a che fare con idiomi di luoghi e civiltà diverse.
Nel caso della Nostra, lei, traduce sé stessa: peruviana per nascita vive in Italia da molti anni assimilando con vigore l’uso della nostra amata lingua nazionale che non è certamente facile. Il risultato è verificabile nelle molteplici raccolte poetiche pubblicate singolarmente o in compagnia di Vera Lucia de Olivera.
Per apprezzare pienamente il senso dell’intera raccolta è indispensabile al lettore apprendere il significato che l’umanità ha dato ai fiori scelti dall’autrice: l’Iris Gladiolus simboleggia l’assoluta fiducia, l’affetto, l’amicizia, il trionfo della verità e soprattutto la saggezza e la promessa della continuità della Speranza.
Il loto, a sua volta, è considerato il fiore sacro per diverse religioni e nel Buddismo indica l’essenza dell’esistenza umana.
Entrambi i fiori, il primo che denomina la raccolta attuale, e richiama il nome della stessa poetessa, sono riportati nella poesia Radici a pag. 31: “(…) mai sono state le radici così poderose / nutrimento del fiore purissimo / fiore del prodigio di bellezza / e di profumo incomparabile / loto simbolo della rinascita / che amo tanto quanto l’iris / fiore elegante eppure umile / simbolo dell’amicizia / e della speranza / di un mondo migliore”.
L’intera raccolta, divisa in cinque sezioni: “Poesia”, “I volti dell’amore”, “L’arte musica danza”, “Lo spirito del silenzio”, “Infinto amore” è pervasa dalla necessità profonda dell’autrice di raggiungere l’umanità attraverso l’amicizia, la conoscenza di uomini e donne portatrici delle sue stesse facoltà sensitive, degli stessi autentici dolori, delle gioie di fronte al miracolo/ mistero del Creato.
Diverse sono le strade intraprese, tra queste la condivisione nella Musica e la ricerca nella Scienza.
L’afflato di Gladys con il dolore cosmico è declamato in quasi tutte le composizioni di questa raccolta e indicate dalla dedica posta ab initio: Dedicato alla memoria di mio figlio Edwin (pag. 9). Dolore cupo e insormontabile per molti la perdita di un figlio, viene sciolto dalla Nostra nei versi di questa poesia a pag.32: “un atto di quotidiana umiltà ringrazio / e medito in profondo silenzio e amo / inseguo l’ordine naturale del mio corpo / e della mia mente pratico la pazienza /(…) so che la natura è anche entropia / e disordine però la varietà significa vitalità / adoro l’eterno amando tutta l’umanità” (Adoro l’eterno).
Leggendo i versi della Nostra percepiamo per intero il pianto delle ultime minoranze esistenti sul nostro azzurro pianeta: sterminate per fare spazio al “demone insaziabile” dell’economia: consumare, produrre, distruggere i deboli ritenuti inutili, minacciare chi canta la bellezza della Vita.
Come nella stupenda raccolta Accecate i cantori della poeta Angela Caccia, così nella raccolta di Gladys si avverte l’empatia con il dolore del nostro mondo: “(…) vivo / un dolore insopportabile / per non poter fare nulla / dinanzi alla crudeltà / d’ogni morte” (Sola soletta, pag. 39).
La solitudine delle prime voci nel coro della Speranza è unanime.
Sempre troppo poche, sempre più flebili, sempre più perseguitate, intimorite, uccise. L’entropia umana è più feroce di quella naturale perché solleva continuamente il vento della morte, attraverso guerre e distruzioni di massa, pur di impedire che si affermi l’univocità del messaggio di Pace per il genere umano.
Le anafore accompagnano il verso semplice e chiaro. L’enjambement è l’energia che collabora all’unione del verso libero. Si avverte la frequenza e la musicalità della poesia spagnola nei corpi più ampi delle composizioni.
Incisiva è l’introduzione a questa raccolta realizzata dall’editore Alessandro Ramberti che ben conosce la lunga produzione poetica dell’autrice: “(…) Da sempre la poetica dell’italo-peruviana Gladys è un ponte fra Vecchio e Nuovo Mondo, fra la realtà e il mistero che la avvolge quando / per forza si deve vivere / la dimensione del dolore / dove combatte e trionfa / lo spirito vitale del silenzio” (pag. 7).

domenica 25 febbraio 2018

Trittico di Antonio D'Alessio

Trittico in memoria di Antonio D’Alessio nel 42° della nascita (Avellino, 27 febbraio 1976 – Solofra, 9  settembre 2008) – musicista, poeta, giusto nel mondo. 



a cura di Vincenzo D'Alessio

Antonio D'Alessio (foto Michele Nigro)
 




Credi in te

Sotto il ponte
agli argini del fiume
ti verranno a cercare
credendoti morto
ti vogliono togliere
anche l’ultimo respiro,

liberati dalle oppressioni
fai quel che vuoi
non farti togliere
dagli argini del fiume 

quella è la tua casa 
là è dove vivi

credono che il tuo corpo e
la tua mente sono ceduti
non farti portar via
dal tuo piccolo posto
ove contesti in silenzio,
vai e vieni da ogni posto
del mondo, continua quello
che vuoi fare e non
dar peso alle sanguisughe
che vogliono soltanto
che un altro contestatore
del sistema cessi

di vivere.



§

Da piccolo cercavo calore,
oggi ho capito che il fuoco
è dentro di me.



§

… sei lì che reclami la mia assenza:
dove credi che sia;
nel concepimento della mia presenza!
 

Sono stato troppo tempo
ad aspettare in quel letto scomodo;
non aspettarmi quando avrai aperto la tua stanza…
e non so se almeno questo inchiostro ti farà compagnia.



(Poesie di Antonio D’Alessio estratte da: La sede dell’estro, Ed. F. Guarini 2009; e Poesie ritrovate, Ed. F. Guarini 2011)

venerdì 23 febbraio 2018

Potevamo





Potevamo

Potevamo riempirci la testa
di tante bugie ed invece
abbiamo scelto di riempire
il cuore, il nostro povero cuore
con le essenze che volano
e qua e là, e sotto e sopra
cercando di non starnutire
annusando l’effetto
che l’aria, ormai autunnale
spalma, come marmellata
tra il mattino ed il mezzodì
imprigionando i sensi
cavalcando i prati odorosi
proiettando l’occhio attento
verso quel che sarà
dopo il tramonto
con tutte le stelle
al loro giusto posto
la nostra vita presente
e futura e morta.

Piangeremo molto e molto
ancora, riscaldati dalla terra
nascosti sotto i prati
confortati da piccoli fiori
baciati dalle lacrime
della donna amata
del figlio abbandonato
dell’amico tradito
perché, poi, la morte
si porta via tutto.

Le campagne hanno bocche su Il Terzo News


Le campagne hanno bocche raccolta di poesie di Andrea Biondi vince il concorso Faraexcelsior 2017


In Libri, Notizie Locali 

by Carla D'Aronzo

23 febbraio 2018 
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Leggendo le poesie di Andrea Biondi, ci si sente proiettati in un tempo passato in cui la natura rupestre invade l’animo umano con la sua irruenza, la sua potenza nostalgica e seduce come una donna dalla femminilità spiccata, che avvolge nelle sue braccia l’uomo e lo fa danzare. Così i rami e le foglie degli alberi danzano in un turbinio di emozioni evocando anime e fantasmi passati, fino ad incendiarsi nei ricordi.
La campagna è vita, è fuoco e incendia, è donna e ammalia, è morte e uccide, ma è anche gioia del focolare, quiete che calma, malinconia che ricorda.
La sensazione che rimane dopo aver letto le poesie è la potenza che esercita la natura, sull’uomo.

Tutto è riconducibile ad essa, la vita e anche la morte. Nelle campagne il sangue ribolle e diventa lussurioso. Cerca la donna per esservi placato e la paragona a un tabernacolo, e, i suoi capezzoli alle fragole di maggio da mordicchiare.

È l’orgasmo dei sensi e dei desideri, che fa sì che si stendano le carni di bestie al sole ad asciugare, per mangiarle in un dì di festa.

Andrea Biondi, con queste poesie, esalta la forza e la durezza dei paesaggi e della vita rupestre. Se si chiudono gli occhi, e ci si abbandona, la condivisione dell’ammirazione nostalgica con l’autore, diventa totale.

La Sacralità degli atti si mescola all’impudenza dei desideri, la contaminazione con la religione cattolica è lampante in questa opera prima di Andrea Biondi.

L’autore è stato, infatti, docente di religione cattolica dapprima nella scuola pubblica, poi nella diocesi di Macerata. (
Carla D’Aronzo)

mercoledì 21 febbraio 2018

Linguaggio (verbale, dell'anima e “altro”) e pòiesis


di Marzia Biondi

Scrivere a proposito di parole non è mai banale, per quanto possa sembrare semplice.
Un “sì” è talmente importante da cambiare il corso della storia del mondo e quella personale.
Quello di Maria all’annuncio dell’Angelo l’ha resa madre del mondo e simbolo di abbandono puro al Padre ed obbedienza all’amore  giunto nella propria anima.
Quando a pronunciarlo sono i cuori di due persone, si battezza l’inizio del lungo e non facile cammino di amarsi per tutta la vita e oltre.
L’intensità del senso di quanto sopra è solo una riflessione sul significato della parola e del suo uso. O abuso.
Non a caso è un dono riservato al genere umano tramite grafemi di vario stile e struttura oltre alla relativa articolazione fonica e di congiunzione col significato; la modalità comunicativa donata agli animali è diversa.
Tuttavia sottolineo un aspetto di comunanza fra le due modalità: pur senza grafemi, gli animali della stessa specie possono comprendersi con atteggiamenti e suoni e giungono ad intese con le regole dettate dal capobranco.
Nel rapporto fra l’uomo e gli animali “da compagnia” quali il cane, il gatto è possibile interpretare reciprocamente l’intenzione e la necessità del momento; il bisogno di attenzione e di effusioni dall’uomo definite “affettive”: l’animale non conosce cognitivamente il significato di tale categorizzazione, ma ne associa il senso nella relazione con l’uomo.
Tale modalità comunicativa e di parole non verbalizzate si nota nella ippoterapia: nella relazione instaurata fra il cavallo e alcune persone con condizioni psicologiche particolari nasce uno scambio affettivo e di miglioramento comportamentale e di aiuto alla resilienza nella persona proprio partendo da un’intesa interiore e di atteggiamento col cavallo. 
Le parole dette dalla persona paiono essere intese dall’animale, ed ad essa risponde con il proprio linguaggio in suoni e fisicità.
È un modo un po’ particolare di parlare della parola e dell’anima, spero di dare spunto di riflessione di quanto il flusso interattivo fra il significato dei due lemmi sia presente nella quotidianità del proprio agire.
Negli esempi suesposti è presente un comune denominatore: la poesia.

La “pòiesis” del “sì” di Maria, trasformata poi nel proprio agito e nel “fare” i Suoi silenzi custodia e meditazione della Parola.

La “pòiesis” degli sposi, testimoni del “fare” della vita fra inciampi, rovi e rose e progettualità nata dall’unione di tre anime, la terza è quella spirituale.

La “pòiesis” del dono, di uno scambio reciproco partendo dalle debolezze, divenute la forza da cui partire per comunicare la propria anima senza le parole, con un contatto fra crine, pelo e la mano.

A proposito di “pòiesis” desidero dare voce a modalità diverse di parlare della vita.
La poesia è una delle arti con la quale si cerca, si scava a fondo – come diceva il poeta Caproni “La poesia è il minatore  della parola” – per dare corpo a ciò che scorre, come l’acqua nel fiume insieme ai sassi, ai pesci e ad ogni altro organismo visibile ed invisibile in essa contenuti.
Insieme costituiscono il fiume per divenire poi l’acqua del mare, simbolo della vita piena e dell’oltre da raggiungere, oltre l’orizzonte indefinito. 

La vita.
A riflesso del titolo dato da Ramberti alla kermesse Il suono delle parole, si possono udire molte voci di tono diverso per parlare di vita, una sorta di “arcobaleno” simbolo della bellezza del dono della vita e dei colori in essa contenuti, tutti nella purezza del bianco.
Prima voce da me messa in evidenza,  è quella dell’amica e poetessa Paola Lucarini, grande scrittrice e critico letterario, membro della giuria del “Premio Camaiore” e di altri, nonché presidente dell’Associazione “Sguardo e Sogno” di Firenze.
Nella sua raccolta Per visione dell’anima  (Giuliano Ladolfi editore 2013), esprime il connubio tra anima e parola, sintesi di vita. Ne trascrivo solo alcune:

L’acqua lucente dal cielo / sulla polvere della terra / accende l’anima del creato / rondini, sotto il manto del lutto / rifulge il candido petto / che tenta fra nuvole / la vibrazione dell’alta gioia / tu ritorni nel sole, colomba innocente, / a ravvisare ciò che sognammo / insieme: poesia della speranza, / ora poesia della presenza.

Vorrei non finisse più il giorno / che separa da te, dall’attimo / in cui quietamente dirò: questo / è l’ultimo incontro. / E s’infrangerà a terra / il vaso di vetro della mia vita.

Terza ed ultima poesia che cito  è questa dedicata alla madre:

La pioggia intride la terra / e il grido di te dentro / apre solchi nel rifiuto / dell’ignoto mare del male / così mi ritorni, madre solitaria, / murata nel silenzio / di chi vide la sua vita / fiottare nel primo sangue – / la vulva materna arresa / oscenamente dilatata / alla rosa rossa del cancro. / Ereditasti lo strazio / più lancinante nell’attenta menzogna / quotidiana della consolazione / “non è niente, sai, guarirai”. / Ragazza d’un subito apprendesti  / l’eterna storia della putredine / a divorare viscere. / Sempre ti seguirono t’inseguirono / tempi indimenticati / un lutto perenne corrodeva i gesti / all’apparenza pazienti e protettivi / mentre additavano la morte. / E la nostra futura, inconsolata. / Mio primo alfabeto / fui il tuo ininterrotto pianto – / la follia venne dopo / a dilaniarti a dilaniarmi / mater dolorosa figlia dolorosa / dolorosa verità, infinita catena / fino ad oggi / quando liberata mi liberi / nel segno di un’antica alienazione / ora lucente benedizione di me / che non ho voluto assistere / alla violenza del trapasso / esploso viola al tuo petto / come avrei potuto abbracciarti / nel distacco, se non cullarti / nel dopo, una camicia da notte / fiorita per donare il lenzuolo / del sonno e del risveglio a te / quieta finalmente come la bambina /che fosti mai lo fu. / Parla, mistero della vita, / che io comprenda.

Stupendi versi: il richiamo all’acqua come fonte di vita alla quale attingere rivolgendosi al cielo, consapevoli di essere parte del creato. Il bianco della colomba, libertà di spirito grazie alla speranza di vita sorta dall’essere polvere, e grazie al dono della poesia, strumento per assaporare quello che lo sguardo può carpire e che l’anima può effondere nelle e dalle cose.
Metafora del nostro essere nella vita, colomba, solo se la vita entra in noi dall’alto.
Tutto questo fino alla fine dell’ultimo giorno, o meglio il primo di ricongiunzione col Padre.
La “pòiesis” la ritroviamo nella poesia dedicata alla madre. Il dolore della certa perdita di una presenza, forse prima affettivamente assente, ora divenuta fonte di legame di vita.
Intense emozioni, intensi attimi di morte e di vita di due anime in una.
Una voce altrettanto significativa è quella del poeta turco Ataol Behramoglu: nato ad Instanbul nel 1942, capo del dipartimento di lingua russa dell’università di Beykent; oltre ad essere poeta e scrittore è stato il maggior traduttore dei letteratura russa nel suo paese. Ha ottenuto diversi riconoscimenti fra i quali il Great Prize for Poetry del Turkish PEN Center.
Dalla sua raccolta Non scordarti di amare (Raffaelli 2014):

Ho imparato alcune cose dall’aver vissuto tanto / Se sei vivo, sperimenta, la fusione con fiumi, cieli, cosmo / Perché per ciò che ne sappiamo noi siamo un dono dato alla vita / E la vita è un dono che viene dato a noi.

TEMPO DI PRIMAVERA

Ho alzato lo sguardo alle nubi / Mormorando come fossi in preghiera, / Bagnandomi con gli uccelli e con l’erba / Con i venti e la primavera / Il sole sulle palpebre è caldo / Ah! Che volubile il sole di primavera / Ma è realtà o sto sognando… / Sono qui o non è come sembra… / Città di mare, un caffè sulla spiaggia, / Tra i flutti di spighe di grano ondeggianti / Qui, con me stesso da solo / Per come poter vivere interamente la vita / Non ho mai baciato un uccello, sto pensando / E un giorno potrò forse baciarlo / Un giorno sarò forse un colpo di vento / E soffierò tra le spighe di grano / Voglio fondere il cuore in un giorno d’estate / Al canto degli uccelli per rinascere in altro modo.

Lo stupore per le piccole cose di tutti i giorni, il godimento degli attimi sfuggenti e del sapore di un semplice caffè. L’animo bambino ha il desiderio di scoprire, di sperimentare per scoprirsi nella fusione col cosmo, con la realtà di un sogno.
La curiosità di baciare un uccello, metafora dell’anima che può prendere il volo per ricongiungersi con altro da se stessa e dare vita alla vita. Tanto da avere la certezza-speranza di poter far divenire il sogno una realtà a nuova vita.
Il dono della bellezza per far entrare lo sguardo nella vita e nella scoperta di un dono, quindi sempre un mistero. Il dubbio-certezza che nulla è solo come sembra.
Una voce più giovane, fra i poeti da me conosciuti, con i quali condividere momenti di pensiero, riflessione, musica e poesia durante le kermesse organizzate da Alessandro Ramberti a Fonte Avellana: Massimiliano BardottiNato nel 1976 a Castelfiorentino è curatore per la regione Toscana della “Collana Poetica Itinerante” di Thauma edizioni. È vicepresidene dell’Associazione Culturale Assenzio. Insieme alla poesia incontra la musica e crea il gruppo “La Minima Parte”, donando momenti di spettacolo e concerto. La poesia è il filo conduttore

Dalla sua ultima raccolta Il Dio che ho incontrato (Nerbini 2016):

Il Dio che ho incontrato è aria sottile / che non so vedere. / La oltrepassiamo, senza mai essere oltre. / Nell’immobile suo manto, tutto si muove. / La foglia, la vedo vibrare.

Il Dio che ho incontrato è lo spazio / vuoto che attende un mio gesto / o l’assoluto riposo dei sensi. / Il Dio che ho incontrato è riposo di ogni gesto. / Nulla è (mio) / tutto gli appartiene.

Il Dio che ho incontrato è quell’attimo eterno / chiamato imbrunire, né notte né giorno.

C’è un tempo per ogni cosa / lo diceva sempre mio nonno / e mi tediava l’idea dell’attesa./ Eppure soltanto nell’attendere / ho trovato coraggio di trovarti. (aspettavo il sorgere del giorno)

Ci riporta all’essenza della vita, al suo creatore, nostro Padre. Il sapore dell’invisibile, vera essenza della presenza.
La grandezza del non gesto e dell’ascolto di quando all’anima giunge risposta e voce della Parola, finalmente il giorno.
L’attesa grande saggia amica, accogliente l’essenza per svelarla a tempo debito.
Il tempo, non tempo, altro grande mistero della vita. Una delle condizioni solo umane da attraversare per non averne più bisogno e spogliarsi di una veste vecchia.
Insieme ad essa anche dell’idea che qualche cosa ci appartenga. L’attimo è ciò che possiamo afferrare per poi andare, fino al coraggio di ritrovare-scoprire l’origine.
Una voce profonda, a tratti rauca, sempre piena di stupore e speranza è quella del poeta Gianfranco Lauretano, nato nel 1962, vive e lavora a Cesena.
Ha pubblicato diversi volumi di poesia. Svolge attività di critica letteraria su periodici e quotidiani. Dirige la collana “Poesia contemporanea” ed il trimestrale letterario “clanDestino”; è fondatore e direttore letterario della rivista di arte e letteratura “Graphie”.
È un grande onore quello dell’amicizia di G. Lauretano da alcuni anni e di avere avuto momenti di condivisione poetica, di confronto letterario.
Dalla sua ultima raccolta Rinascere da vecchi (Puntoacapo 2017)


TRAMONTO

Fu incredibile. Un evento / una rivoluzione, un’era nuova / arrivava sotto i miei occhi. / Dapprima il sole si abbassò / come una bolla di sapone / sull’ombra delle colline brune / a occidente e diventò enorme / e arancione, diventò un’apparizione / in ignorabile che chiamava / e costringeva ad attestare / sì, ci sei, esisti, esiste qualcosa / che dal cielo guarda e ci rallegra! / Poi se ne andò, Così veloce / da generare una brusca nostalgia / lasciando però un rosso / che prese tutto l’orizzonte / un rosso a filamenti, a falde / che giocava con le nuvole / imbarazzandole, invadendo l’empireo / che copre metà mondo / mentre a est l’azzurro rabbuiava./ Infine tutto precipitò e fui solo / col miracolo da scrivere. / Il cielo ebbe però un’ultima / rappresentazione, un bis / di stupefacenza, divenne / prima che nero, azzurro / proprio così una tenebra azzurra / Giovanni Pascoli ha ragione. / Tutto il mondo vide quella sera / uno spettacolo, anzi due / il sole che tramontava e me / che sorgevo, fisso nell’apparizione.

Il mattino si fa strada / tra le mura del condominio. / La luce del sole accorcia / i suoi triangoli sull’asfalto / coperta che scivola lenta / sulle auto parcheggiate / e i poveri cespugli di questi / improbabili orti conclusi. / Tu ti affacci in pigiama / alla finestra e la vecchia / con l’innaffiatoio e la faccia / buona ti saluta e sospetti / che sia lì da mille anni / solo per poterti salutare.

Due momenti di un giorno qualsiasi, due fermo-immagine di quanto si dà per scontato, eppure anche essi sono un dono.
Lo stupore per l’apparizione del tramonto, creando festa col creato, il quale a propria volta è attore di quanto sta accadendo, i colori che cambiano, in un continuo movimento, fino ad essere soli di fronte a tanta magnificenza, e divenire a propria volta parte di essa.
Il momento del silenzio e della solitudine come pietre fondanti per rinascere dopo essersi nutriti del tempo, del non tempo, delle semplici cose; dopo che l’anima ha accolto e “salutato” l’accaduto. Dono al mondo
Così pure nel palcoscenico scoperto in un mattino, con l’annaffiatoio come collante col presente col passato, forse solo immaginato, in un semplice gesto di amore per il creato.
Il volto del mondo che cambia “coprendosi” con l’ombra di un raggio e scoprirsi sempre “corti” rispetto all’immensità della vita.
Voci molto diverse fra di loro, intense e profonde.
Chiudo l’arcobaleno di voci con alcune delle mie poesie. La prima (senza titolo) è una di quelle inserite nell’Enciclopedia di Poesia contemporanea della Fondazione Mario Luzi di Roma ed ora in parte rivista:

nel caldo vento / o nei gelidi soffi / sii ramo / radice di piccole foglie / di saggezza.

L’instabilità di quanto ci è dato, in ogni giorno, la vita stessa. La ricchezza del divenire segno di essa.

La seguente  Alzati e cammina è tratta dall’ultima raccolta poetica Soffi divita (Risguardi di Carta Canta 2016)

madre divenuta, / abbagliata da braccia menzognere / di colpo trasformate in lamiere / sconcerto, stordimento / hanno ovattato l’udire / in un cuore in tal attimo caduto / di colpo senza fiato / tradimento della vita / tra le mani / alzati e cammina!

Gli scalini della vita: le delusioni,  i dolori, il cuore lacerato, le parole spente: abbi fede e essi si trasformeranno in linfa per nuova vita. Non arrendersi mai.

Dalla prima raccolta poetica Ogni istante (Gruppo Albatros 2011) vi propongo Acqua e Voci silenziose

ACQUA

Specchio luminoso… / Morbida e avvolgente / Scorri come il tempo / che accompagna. / Ondeggi e sussulti / come l’anima in continuo / Movimento. / Rallegri / Animi / Rigeneri donando una nuova “vita” / anche dove sembra tutto sia sommerso / dal buio / Acqua….è stupendo lasciarsi baciare / nel cuore per tornare alla purezza azzurra / come il Cielo che in te si specchia!

VOCI SILENZIOSE

Aria frizzante ed amica / Respiro profondo dell’Anima assetata / del nutrimento vitale / Sensazione meravigliosa di Intesa embrionale / Cellule sorelle si ritrovano nel loro vibrare / Momento di profonda Intimità con l’essere  / il fluire interiore riscalda il cuore e la linfa / che abbraccia ogni voce del silenzioso sguardo / Sazi ci si lascia con gli occhi che già sanno del desiderato ritorno. / Ciao Madre Natura.

La natura, parte di noi stessi in una forma diversa, per questo da scoprire ed abbracciare per ritrovare la parte umana, ed in armonia, essere i rami dell’Albero della vita.
Ultime due poesie, senza titolo, tratte dalla terza raccolta  L’amàca dell’abbraccio dissetante di prossima pubblicazione:

la pienezza della tua impronta / nell’acceso ricordo / di parole intimamente sentite / in silenzi eloquenti

dammi le tue mani / eccole si avvicinano / sono calde / il tuo indice cerca / il mio volto timidamente si accosta / lo sfiora, si abbandona / cerca sale ancora un po’ / sento il giallo / dei raggi di sole su spighe di grano / ancora più in su ecco il bianco / delle ali di un gabbiano in volo / nel blu del cielo / che meraviglia / l’aria entra fra i miei seni / si espande e con essa / la mia gioia / dalle tue mani arcobaleno / il verde spunta come fili d’erba / un’onda spumeggiante mi abbraccia al mare / il cuore guida i polpastrelli fino a palpebre serrate / pesanti tende su di un palcoscenico infeltrito / buio / un dito un volto due cuori in uno / il calore dell’amore lo accende / con esso la luce.


Ho iniziato questo mio scritto dicendo come parlare di anima con le parole possa essere toccante, ma al contempo come ciò ne limiti la pienezza.
Se di pienezza di qualcosa d’intangibile si può parlare.
Eppure, l’anima ha parlato con pienezza, se lascio che ora sia il mio cuore ad esprimere il “riempimento” e la gioia infusi alla lettura della profondità sorta da parole semplici, perciò difficili, dagli amici autori succitati, per esprimere una straordinaria bellezza implicita nel dono della vita.
In ogni voce c’è un filo conduttore che dona  con forza il timbro e l’armonia, come ritroviamo nella prima quartina della poesia di P. Lucarini: L’acqua lucente dal cielo / sulla polvere della terra / accende l’anima del creato / e la festa dei nostri voli…
L’intensità e lo stupore di un’accensione dell’anima la ritroviamo anche nella poesia di G. Lauretano Tramonto: basta leggere solo la prima terzina ed è inevitabile porsi davanti a tale testo con cuore aperto, lo sguardo allargato, le sopracciglia inarcate, pronte a ricevere lo splendore di una nuova scoperta, quindi una nuova vita nella via: Fu incredibile. Un evento / una rivoluzione, un’era nuova /arrivava sotto i miei occhi…
In entrambe gli esempi è grande poesia l’uso delle parole per creare immagini, meglio dei fermo-immagini. Nell’ultimo esempio frasi brevi, il flusso poetico reso sospeso con un “.” , seguito dalla dichiarazione dello stupore prima ancora della descrizione di ciò che è realmente accaduto; l’importante è la scoperta stessa.
Direi che lo Spirito e la Fede che in entrambi i casi hanno guidato la mano dei poeti ci porta a fare festa dei nostri voli, rinascendo a nuova vita per volare in alto verso “casa”.
Lo stesso punto in comune lo si ritrova anche nella prima poesia di Ataol Behramoglu: l’unione con la natura, osservarla e soprattutto ascoltarla, per viverla pienamente e fare sì che il tutto diventi esperienza di vita, “… sperimenta intensamente, la fusione coi fiumi, col cielo…” nella reciprocità di un dono, nella triade con chi ce l’ha donato.
L’Autore del dono è dichiarato a chiare lettere nell’espressione poetica di Massimo Bardotti; Egli lo si incontra nell’attimo eterno in un momento di passaggio, di movimento fra il giorno e la notte; metafora del nostro camminare nella vita.
Ogni passo compiuto appartiene alla “notte” per giungere finalmente al “giorno” e arricchirsi di quanto in esso contenuto, compreso i ciottoli e gli scalini, per proseguire nel viaggio fra notti e giorni. L’ultimo giorno sarà la pienezza nello splendore di ciò che ci accoglie e che, come testimoni, abbiamo lasciato nel sentiero percorso in vita.
Nelle parole per le quali sono stata strumento, ho ritrovato la medesima essenza: le metafore dell’acqua come fonte di vita e di movimento dell’anima inquieta perché continuamente alla ricerca di ciò che è al di là delle cose.
Ricerca comunque nata e stimolata dalla relazione con la natura, Madre, alla quale ci si deve rivolgere con tenerezza e umiltà di cuore.
Solo così, come citato nella mia poesia Acqua si torna all’origine, nel silenzio di momenti unici, fra i fili d’erba, nell’apparente staticità di uno specchio d’acqua a riflesso di quello celeste, sua e dell’umanità.
Una relazione che attraversa anche il proprio animo, anzi spesso “fa a pugni” con esso cercando di comprendere i rumori e le parole taciute, soprattutto il perché di ciò che ci circonda o che accade. Anche dei momenti bui.
La poesia della speranza / ora poesia della presenza come espresso da P. Lucarini e lo spettacolo, anzi due il sole che tramontava e me / che sorgevo, fisso nell’apparizione espressione d’anima di G. Lauretano sono due attimi di testimonianza dell’essere umano come strumento della “pòiesis” della poesia e al contempo “corpo” di essa, per rappresentare la vita “tale e quale”.
Ciascuno, col dono della vita e dei frutti in esso contenuti, è chiamato ad essere ramo / radice di piccole foglie / di saggezza.
La relazione non è solo con l’umano, ma anche con quello che è indispensabile per egli affinché possa avere un senso il momento in cui accadono le cose: il tempo.
In ogni voce esso è al presente o al passato, o all’indefinito perché non ha limite il ripetersi della storia dell’uomo nelle diversità racchiusa e trasformata in ogni tempo.
L’attesa, il tempo della natura affinché ciò che deve essere, sia.
Così si è chiamati ad osservare ed emulare nel nostro tempo, accettando anche quello “invernale” quando il buio pare sia la sola visione possibile.
Momenti di morte o di perdita di affetti, di progetti di vita sfumati che lacerano il corpo, lo tagliuzzano e il sangue continua a scorrere, goccia dopo goccia, pur divenuto  nel tempo incolore e coperto da cicatrici per l’amore non donato o per quello tradito.
Ma, esiste un ma.
Come ho cercato di “mettere nero su bianco” con la poesia dammi le tue mani anche se il corpo non può perché imperfetto, apparentemente cieco, tutto può l’amore e l’apertura del cuore a riceverlo.
Anche le cicatrici scompaiono.
La vera cecità sta nel credere che il senso della vita sia nell’esterno delle cose, della bellezza di una corpo perfetto  o nelle belle parole.
Si esiste nella pienezza della impronta di un acceso ricordo di parole intimamente sentite / in silenzi eloquenti.
Non esiste né tempo, né spazio nei quali possa esserci la morte per tale impronta.
A ben riflettere, anche la voce di Dio non la si ode nel frastuono, ma nell’aria sottile / che non so vedere come scritto da M. Bardotti, e a mio sentire, nei silenzi eloquenti, anche in quelli fra due persone che si amano.
In momento di morte di una persona cara, non ci sono parole, i silenzi dicono anche quanto è rimasto da sempre chiuso nel cuore e la sua anima lo porterà con sé, specie se madre.
Il filo sottile di tale amore oltrepassa ogni umana comprensione, bisogna solo viverlo, così come deve essere per la Sua Parola.
Non è mia intenzione scrivere un poema o pseudo critica letteraria; più esprimo pensieri e parole, più ho consapevolezza di quanto altro si potrebbe aggiungere.
Concludo con una mia poesia tratta da Soffi di vita intitolata Chi sei tu?

Il silenzio dopo il punto completerà le parole.

CHI SEI TU?

chi sei tu voce / giunta all’improvviso / eppure a me appartenente / sei altra da me, ma i miei occhi / da te traggono forza per / rappresentare l’essenza delle cose / tensione e curiosità del vero / intonano una canzone / se tale si sente / insieme fanno a gara per giungere prima / alla risposta / più prossima / poi la voce assetata ed a “pancia semi piena” / urla con forza intensa vitale / “cerca ancora, ancora” / ecco, un po’ indefinita nel suo divenire, la vita appare / dicendo / “Chi sei tu?”