di Marzia Biondi
Un “sì” è talmente importante da cambiare il corso
della storia del mondo e quella personale.
Quello di Maria all’annuncio dell’Angelo l’ha resa
madre del mondo e simbolo di abbandono puro al Padre ed obbedienza
all’amore giunto nella propria anima.
Quando a pronunciarlo sono i cuori di due persone,
si battezza l’inizio del lungo e non facile cammino di amarsi per tutta la vita
e oltre.
L’intensità del senso di quanto sopra è solo una
riflessione sul significato della parola e del suo uso. O abuso.
Non a caso è un dono riservato al genere umano
tramite grafemi di vario stile e struttura oltre alla relativa articolazione
fonica e di congiunzione col significato; la modalità comunicativa donata agli
animali è diversa.
Tuttavia sottolineo un aspetto di comunanza fra le
due modalità: pur senza grafemi, gli animali della stessa specie possono
comprendersi con atteggiamenti e suoni e giungono ad intese con le regole
dettate dal capobranco.
Nel rapporto fra l’uomo e gli animali “da
compagnia” quali il cane, il gatto è possibile interpretare reciprocamente
l’intenzione e la necessità del momento; il bisogno di attenzione e di effusioni
dall’uomo definite “affettive”: l’animale non conosce cognitivamente il
significato di tale categorizzazione, ma ne associa il senso nella relazione
con l’uomo.
Tale modalità comunicativa e di parole non
verbalizzate si nota nella ippoterapia: nella relazione instaurata fra il
cavallo e alcune persone con condizioni psicologiche particolari nasce uno
scambio affettivo e di miglioramento comportamentale e di aiuto alla resilienza
nella persona proprio partendo da un’intesa interiore e di atteggiamento col
cavallo.
Le parole dette dalla persona paiono essere intese
dall’animale, ed ad essa risponde con il proprio linguaggio in suoni e
fisicità.
È un modo un po’ particolare di parlare della
parola e dell’anima, spero di dare spunto di riflessione di quanto il flusso
interattivo fra il significato dei due lemmi sia presente nella quotidianità
del proprio agire.
Negli esempi suesposti è presente un comune
denominatore: la poesia.
La “pòiesis” del “sì” di Maria, trasformata poi nel
proprio agito e nel “fare” i Suoi silenzi custodia e meditazione della
Parola.
La “pòiesis” degli sposi, testimoni del “fare”
della vita fra inciampi, rovi e rose e progettualità nata dall’unione di tre
anime, la terza è quella spirituale.
La “pòiesis” del dono, di uno scambio reciproco
partendo dalle debolezze, divenute la forza da cui partire per comunicare
la propria anima senza le parole, con un contatto fra crine, pelo e la mano.
A proposito di “pòiesis” desidero dare voce a
modalità diverse di parlare della vita.
La poesia è una delle arti con la quale si cerca,
si scava a fondo – come diceva il poeta Caproni “La poesia è il minatore della
parola” – per dare corpo a ciò che scorre, come l’acqua nel fiume insieme ai
sassi, ai pesci e ad ogni altro organismo visibile ed invisibile in essa
contenuti.
Insieme costituiscono il fiume per divenire poi
l’acqua del mare, simbolo della vita piena e dell’oltre da raggiungere, oltre
l’orizzonte indefinito.
La vita.
A riflesso del titolo dato da Ramberti alla
kermesse Il suono delle parole, si possono
udire molte voci di tono diverso per parlare di vita, una sorta di “arcobaleno”
simbolo della bellezza del dono della vita e dei colori in essa contenuti,
tutti nella purezza del bianco.
Prima voce da me messa in evidenza, è quella dell’amica e poetessa Paola Lucarini,
grande scrittrice e critico letterario, membro della giuria del “Premio
Camaiore” e di altri, nonché presidente dell’Associazione “Sguardo e Sogno” di
Firenze.
Nella sua raccolta Per visione dell’anima (Giuliano Ladolfi editore 2013), esprime il connubio tra
anima e parola, sintesi di vita. Ne trascrivo solo alcune:
L’acqua
lucente dal cielo / sulla polvere della terra / accende l’anima del creato /
rondini, sotto il manto del lutto / rifulge il candido petto / che tenta fra
nuvole / la vibrazione dell’alta gioia / tu ritorni nel sole, colomba
innocente, / a ravvisare ciò che sognammo / insieme: poesia della speranza, /
ora poesia della presenza.
Vorrei non
finisse più il giorno / che separa da te, dall’attimo / in cui quietamente
dirò: questo / è l’ultimo incontro. / E s’infrangerà a terra / il vaso di vetro
della mia vita.
Terza ed ultima poesia che cito è questa dedicata alla madre:
La pioggia
intride la terra / e il grido di te dentro / apre solchi nel rifiuto /
dell’ignoto mare del male / così mi ritorni, madre solitaria, / murata nel
silenzio / di chi vide la sua vita / fiottare nel primo sangue – / la vulva
materna arresa / oscenamente dilatata / alla rosa rossa del cancro. /
Ereditasti lo strazio / più lancinante nell’attenta menzogna / quotidiana della
consolazione / “non è niente, sai, guarirai”. / Ragazza d’un subito
apprendesti / l’eterna storia della
putredine / a divorare viscere. / Sempre ti seguirono t’inseguirono / tempi
indimenticati / un lutto perenne corrodeva i gesti / all’apparenza pazienti e
protettivi / mentre additavano la morte. / E la nostra futura, inconsolata. /
Mio primo alfabeto / fui il tuo ininterrotto pianto – / la follia venne dopo /
a dilaniarti a dilaniarmi / mater dolorosa figlia dolorosa / dolorosa verità,
infinita catena / fino ad oggi / quando liberata mi liberi / nel segno di
un’antica alienazione / ora lucente benedizione di me / che non ho voluto
assistere / alla violenza del trapasso / esploso viola al tuo petto / come
avrei potuto abbracciarti / nel distacco, se non cullarti / nel dopo, una
camicia da notte / fiorita per donare il lenzuolo / del sonno e del risveglio a
te / quieta finalmente come la bambina /che fosti mai lo fu. / Parla, mistero
della vita, / che io comprenda.
Stupendi versi: il richiamo all’acqua come fonte
di vita alla quale attingere rivolgendosi al cielo, consapevoli di essere
parte del creato. Il bianco della colomba, libertà di spirito grazie alla
speranza di vita sorta dall’essere polvere, e grazie al dono della poesia,
strumento per assaporare quello che lo sguardo può carpire e che l’anima può
effondere nelle e dalle cose.
Metafora del
nostro essere nella vita, colomba, solo se la vita entra in noi dall’alto.
Tutto questo fino alla fine dell’ultimo giorno, o
meglio il primo di ricongiunzione col Padre.
La “pòiesis” la ritroviamo nella poesia dedicata alla madre. Il dolore
della certa perdita di una presenza, forse prima affettivamente assente, ora
divenuta fonte di legame di vita.
Intense emozioni, intensi attimi di morte e di vita
di due anime in una.
Una voce altrettanto significativa è quella del
poeta turco Ataol Behramoglu: nato ad Instanbul nel 1942, capo del dipartimento
di lingua russa dell’università di Beykent; oltre ad essere poeta e scrittore è stato il
maggior traduttore dei letteratura russa nel suo paese. Ha ottenuto diversi
riconoscimenti fra i quali il Great Prize for Poetry del Turkish PEN Center.
Dalla sua raccolta Non scordarti di amare (Raffaelli 2014):
Ho imparato
alcune cose dall’aver vissuto tanto / Se sei vivo, sperimenta, la fusione con
fiumi, cieli, cosmo / Perché per ciò che ne sappiamo noi siamo un dono dato
alla vita / E la vita è un dono che viene dato a noi.
TEMPO DI
PRIMAVERA
Ho alzato lo
sguardo alle nubi / Mormorando come fossi in preghiera, / Bagnandomi con gli
uccelli e con l’erba / Con i venti e la primavera / Il sole sulle palpebre è
caldo / Ah! Che volubile il sole di primavera / Ma è realtà o sto sognando… /
Sono qui o non è come sembra… / Città di mare, un caffè sulla spiaggia, / Tra i
flutti di spighe di grano ondeggianti / Qui, con me stesso da solo / Per come
poter vivere interamente la vita / Non ho mai baciato un uccello, sto pensando
/ E un giorno potrò forse baciarlo / Un giorno sarò forse un colpo di vento / E
soffierò tra le spighe di grano / Voglio fondere il cuore in un giorno d’estate
/ Al canto degli uccelli per rinascere in altro modo.
Lo stupore per le piccole cose di tutti i giorni,
il godimento degli attimi sfuggenti e del sapore di un semplice caffè. L’animo
bambino ha il desiderio di scoprire, di sperimentare per scoprirsi nella
fusione col cosmo, con la realtà di un sogno.
La curiosità
di baciare un uccello, metafora dell’anima che può prendere il volo per
ricongiungersi con altro da se stessa e dare vita alla vita. Tanto da avere la
certezza-speranza di poter far divenire il sogno una realtà a nuova vita.
Il dono della bellezza per far entrare lo sguardo
nella vita e nella scoperta di un dono, quindi sempre un mistero. Il
dubbio-certezza che nulla è solo come sembra.
Una voce più giovane, fra i poeti da me conosciuti,
con i quali condividere momenti di pensiero, riflessione, musica e poesia
durante le kermesse organizzate da Alessandro Ramberti a Fonte Avellana:
Massimiliano Bardotti. Nato nel 1976 a Castelfiorentino è curatore per la
regione Toscana della “Collana Poetica Itinerante” di Thauma edizioni. È
vicepresidene dell’Associazione Culturale Assenzio. Insieme alla poesia incontra la musica e crea il gruppo “La Minima Parte”, donando momenti di spettacolo e concerto. La poesia è il
filo conduttore
Dalla sua ultima raccolta Il Dio che ho incontrato (Nerbini 2016):
Il Dio che
ho incontrato è aria sottile / che non so vedere. / La oltrepassiamo, senza mai
essere oltre. / Nell’immobile suo manto, tutto si muove. / La foglia, la vedo
vibrare.
Il Dio che
ho incontrato è lo spazio / vuoto che attende un mio gesto / o l’assoluto
riposo dei sensi. / Il Dio che ho incontrato è riposo di ogni gesto. / Nulla è
(mio) / tutto gli appartiene.
Il Dio che
ho incontrato è quell’attimo eterno / chiamato imbrunire, né notte né
giorno.
C’è un tempo
per ogni cosa / lo diceva sempre mio nonno / e mi tediava l’idea dell’attesa./
Eppure soltanto nell’attendere / ho trovato coraggio di trovarti. (aspettavo
il sorgere del giorno)
Ci riporta all’essenza della vita, al suo creatore,
nostro Padre. Il sapore dell’invisibile, vera essenza della presenza.
La grandezza
del non gesto e dell’ascolto di quando all’anima giunge risposta e voce della
Parola, finalmente il giorno.
L’attesa grande saggia amica, accogliente l’essenza
per svelarla a tempo debito.
Il tempo, non tempo, altro grande mistero della
vita. Una delle condizioni solo umane da attraversare per non averne più
bisogno e spogliarsi di una veste vecchia.
Insieme ad essa anche dell’idea che qualche cosa ci
appartenga. L’attimo è ciò che possiamo afferrare per poi andare, fino al
coraggio di ritrovare-scoprire l’origine.
Una voce profonda, a tratti rauca, sempre piena di
stupore e speranza è quella del poeta Gianfranco Lauretano, nato nel 1962, vive
e lavora a Cesena.
Ha
pubblicato diversi volumi di poesia. Svolge attività di critica letteraria su
periodici e quotidiani. Dirige la collana “Poesia contemporanea” ed il
trimestrale letterario “clanDestino”; è fondatore e direttore letterario della
rivista di arte e letteratura “Graphie”.
È un grande onore quello dell’amicizia di G.
Lauretano da alcuni anni e di avere avuto momenti di condivisione poetica, di
confronto letterario.
Dalla sua ultima raccolta Rinascere da vecchi (Puntoacapo 2017)
TRAMONTO
Fu
incredibile. Un evento / una rivoluzione, un’era nuova / arrivava sotto i miei
occhi. / Dapprima il sole si abbassò / come una bolla di sapone / sull’ombra
delle colline brune / a occidente e diventò enorme / e arancione, diventò
un’apparizione / in ignorabile che chiamava / e costringeva ad attestare / sì,
ci sei, esisti, esiste qualcosa / che dal cielo guarda e ci rallegra! / Poi se
ne andò, Così veloce / da generare una brusca nostalgia / lasciando però un
rosso / che prese tutto l’orizzonte / un rosso a filamenti, a falde / che
giocava con le nuvole / imbarazzandole, invadendo l’empireo / che copre metà
mondo / mentre a est l’azzurro rabbuiava./ Infine tutto precipitò e fui solo /
col miracolo da scrivere. / Il cielo ebbe però un’ultima / rappresentazione, un
bis / di stupefacenza, divenne / prima che nero, azzurro / proprio così una
tenebra azzurra / Giovanni Pascoli ha ragione. / Tutto il mondo vide quella
sera / uno spettacolo, anzi due / il sole che tramontava e me / che sorgevo,
fisso nell’apparizione.
Il mattino
si fa strada / tra le mura del condominio. / La luce del sole accorcia / i suoi
triangoli sull’asfalto / coperta che scivola lenta / sulle auto parcheggiate /
e i poveri cespugli di questi / improbabili orti conclusi. / Tu ti affacci in
pigiama / alla finestra e la vecchia / con l’innaffiatoio e la faccia / buona
ti saluta e sospetti / che sia lì da mille anni / solo per poterti salutare.
Due momenti di un giorno qualsiasi, due
fermo-immagine di quanto si dà per scontato, eppure anche essi sono un dono.
Lo stupore per l’apparizione del tramonto, creando
festa col creato, il quale a propria volta è attore di quanto sta accadendo, i
colori che cambiano, in un continuo movimento, fino ad essere soli di fronte a
tanta magnificenza, e divenire a propria volta parte di essa.
Il momento del silenzio e della solitudine come
pietre fondanti per rinascere dopo essersi nutriti del tempo, del non tempo,
delle semplici cose; dopo che l’anima ha accolto e “salutato” l’accaduto. Dono
al mondo
Così pure nel palcoscenico scoperto in un mattino,
con l’annaffiatoio come collante col presente col passato, forse solo immaginato,
in un semplice gesto di amore per il creato.
Il volto del mondo che cambia “coprendosi” con
l’ombra di un raggio e scoprirsi sempre “corti” rispetto all’immensità della
vita.
Voci molto diverse fra di loro, intense e profonde.
Chiudo l’arcobaleno di voci con alcune delle mie
poesie. La prima (senza titolo) è una di quelle inserite nell’Enciclopedia di
Poesia contemporanea della Fondazione Mario Luzi di Roma ed ora in parte
rivista:
nel caldo
vento / o nei gelidi soffi / sii ramo / radice di piccole foglie / di saggezza.
L’instabilità di quanto ci è dato, in ogni giorno,
la vita stessa. La ricchezza del divenire segno di essa.
La seguente
Alzati e cammina è tratta
dall’ultima raccolta poetica Soffi divita (Risguardi
di Carta Canta 2016)
madre
divenuta, / abbagliata da braccia menzognere / di colpo trasformate in lamiere
/ sconcerto, stordimento / hanno ovattato l’udire / in un cuore in tal attimo
caduto / di colpo senza fiato / tradimento della vita / tra le mani / alzati e
cammina!
Gli scalini della vita: le delusioni, i dolori, il cuore lacerato, le parole
spente: abbi fede e essi si trasformeranno in linfa per nuova vita. Non
arrendersi mai.
Dalla prima raccolta poetica Ogni istante (Gruppo Albatros 2011) vi
propongo Acqua e Voci silenziose
ACQUA
Specchio
luminoso… / Morbida e avvolgente / Scorri come il tempo / che accompagna. /
Ondeggi e sussulti / come l’anima in continuo / Movimento. / Rallegri / Animi /
Rigeneri donando una nuova “vita” / anche dove sembra tutto sia sommerso / dal
buio / Acqua….è stupendo lasciarsi baciare / nel cuore per tornare alla purezza
azzurra / come il Cielo che in te si specchia!
VOCI SILENZIOSE
Aria
frizzante ed amica / Respiro profondo dell’Anima assetata / del nutrimento
vitale / Sensazione meravigliosa di Intesa embrionale / Cellule sorelle si
ritrovano nel loro vibrare / Momento di profonda Intimità con l’essere / il fluire interiore riscalda il cuore e la
linfa / che abbraccia ogni voce del silenzioso sguardo / Sazi ci si lascia con
gli occhi che già sanno del desiderato ritorno. / Ciao Madre Natura.
La natura, parte di noi stessi in una forma
diversa, per questo da scoprire ed abbracciare per ritrovare la parte umana, ed
in armonia, essere i rami dell’Albero della vita.
Ultime due poesie, senza titolo, tratte dalla terza
raccolta L’amàca dell’abbraccio dissetante di prossima pubblicazione:
la pienezza
della tua impronta / nell’acceso ricordo / di parole intimamente sentite / in
silenzi eloquenti
dammi le tue
mani / eccole si avvicinano / sono calde / il tuo indice cerca / il mio volto
timidamente si accosta / lo sfiora, si abbandona / cerca sale ancora un po’ /
sento il giallo / dei raggi di sole su spighe di grano / ancora più in su ecco il
bianco / delle ali di un gabbiano in volo / nel blu del cielo / che meraviglia
/ l’aria entra fra i miei seni / si espande e con essa / la mia gioia / dalle
tue mani arcobaleno / il verde spunta come fili d’erba / un’onda spumeggiante
mi abbraccia al mare / il cuore guida i polpastrelli fino a palpebre serrate /
pesanti tende su di un palcoscenico infeltrito / buio / un dito un volto due
cuori in uno / il calore dell’amore lo accende / con esso la luce.
Ho iniziato questo mio scritto dicendo come parlare
di anima con le parole possa essere toccante, ma al contempo come ciò ne limiti
la pienezza.
Se di pienezza di qualcosa d’intangibile si può
parlare.
Eppure, l’anima ha parlato con pienezza, se lascio
che ora sia il mio cuore ad esprimere il “riempimento” e la gioia infusi alla
lettura della profondità sorta da parole semplici, perciò difficili, dagli
amici autori succitati, per esprimere una straordinaria bellezza implicita nel
dono della vita.
In ogni voce c’è un filo conduttore che dona con forza il timbro e l’armonia, come
ritroviamo nella prima quartina della poesia di P. Lucarini: L’acqua lucente dal cielo / sulla polvere
della terra / accende l’anima del creato / e la festa dei nostri voli…
L’intensità e lo stupore di un’accensione dell’anima la ritroviamo anche nella poesia di G. Lauretano Tramonto: basta leggere solo la prima
terzina ed è inevitabile porsi davanti a tale testo con cuore aperto, lo
sguardo allargato, le sopracciglia inarcate, pronte a ricevere lo splendore di
una nuova scoperta, quindi una nuova vita nella via: Fu incredibile. Un evento / una rivoluzione, un’era nuova /arrivava
sotto i miei occhi…
In entrambe gli esempi è grande poesia l’uso delle
parole per creare immagini, meglio dei fermo-immagini. Nell’ultimo esempio
frasi brevi, il flusso poetico reso sospeso con un “.” , seguito dalla
dichiarazione dello stupore prima ancora della descrizione di ciò che è
realmente accaduto; l’importante è la scoperta stessa.
Direi che lo Spirito e la Fede che in entrambi i
casi hanno guidato la mano dei poeti ci porta a fare festa dei nostri voli, rinascendo a nuova vita per volare in alto
verso “casa”.
Lo stesso punto in comune lo si ritrova anche nella
prima poesia di Ataol Behramoglu: l’unione con la natura, osservarla e
soprattutto ascoltarla, per viverla pienamente e fare sì che il tutto diventi
esperienza di vita, “… sperimenta intensamente, la fusione coi fiumi, col
cielo…” nella reciprocità di un dono, nella triade con chi ce l’ha donato.
L’Autore del dono è dichiarato a chiare lettere
nell’espressione poetica di Massimo Bardotti; Egli lo si incontra nell’attimo
eterno in un momento di passaggio, di movimento fra il giorno e la notte;
metafora del nostro camminare nella vita.
Ogni passo compiuto appartiene alla “notte” per
giungere finalmente al “giorno” e arricchirsi di quanto in esso contenuto,
compreso i ciottoli e gli scalini, per proseguire nel viaggio fra notti e
giorni. L’ultimo giorno sarà la pienezza nello splendore di ciò che ci accoglie
e che, come testimoni, abbiamo lasciato nel sentiero percorso in vita.
Nelle parole per le quali sono stata strumento, ho
ritrovato la medesima essenza: le metafore dell’acqua come fonte di vita e di
movimento dell’anima inquieta perché continuamente alla ricerca di ciò che è al
di là delle cose.
Ricerca comunque nata e stimolata dalla relazione
con la natura, Madre, alla quale ci si deve rivolgere con tenerezza e umiltà di
cuore.
Solo così, come citato nella mia poesia Acqua si torna all’origine, nel silenzio
di momenti unici, fra i fili d’erba, nell’apparente staticità di uno specchio
d’acqua a riflesso di quello celeste, sua e dell’umanità.
Una relazione che attraversa anche il proprio
animo, anzi spesso “fa a pugni” con esso cercando di comprendere i rumori e le
parole taciute, soprattutto il perché di ciò che ci circonda o che accade.
Anche dei momenti bui.
La poesia
della speranza / ora poesia della presenza come espresso da P. Lucarini
e lo spettacolo, anzi due il sole che
tramontava e me / che sorgevo, fisso nell’apparizione espressione d’anima
di G. Lauretano sono due attimi di testimonianza dell’essere umano come
strumento della “pòiesis” della poesia e al contempo “corpo” di essa, per
rappresentare la vita “tale e quale”.
Ciascuno, col dono della vita e dei frutti in esso
contenuti, è chiamato ad essere ramo /
radice di piccole foglie / di saggezza.
La relazione non è solo con l’umano, ma anche con
quello che è indispensabile per egli affinché possa avere un senso il momento
in cui accadono le cose: il tempo.
In ogni voce esso è al presente o al passato, o
all’indefinito perché non ha limite il ripetersi della storia dell’uomo nelle
diversità racchiusa e trasformata in ogni tempo.
L’attesa, il tempo della natura affinché ciò che
deve essere, sia.
Così si è chiamati ad osservare ed emulare nel
nostro tempo, accettando anche quello “invernale” quando il buio pare sia la
sola visione possibile.
Momenti di morte o di perdita di affetti, di
progetti di vita sfumati che lacerano il corpo, lo tagliuzzano e il sangue
continua a scorrere, goccia dopo goccia, pur divenuto nel tempo incolore e coperto da cicatrici per
l’amore non donato o per quello tradito.
Ma, esiste un ma.
Come ho cercato di “mettere nero su bianco” con la
poesia dammi le tue mani anche se
il corpo non può perché imperfetto, apparentemente cieco, tutto può l’amore e
l’apertura del cuore a riceverlo.
Anche le cicatrici scompaiono.
La vera cecità sta nel credere che il senso della
vita sia nell’esterno delle cose, della bellezza di una corpo perfetto o nelle belle parole.
Si esiste nella pienezza della impronta di un acceso ricordo di parole intimamente sentite / in
silenzi eloquenti.
Non esiste né tempo, né spazio nei quali possa
esserci la morte per tale impronta.
A ben riflettere, anche la voce di Dio non la si
ode nel frastuono, ma nell’aria sottile
/ che non so vedere come scritto da M. Bardotti, e a mio sentire, nei silenzi eloquenti, anche in quelli fra
due persone che si amano.
In momento di morte di una persona cara, non ci
sono parole, i silenzi dicono anche quanto è rimasto da sempre chiuso nel cuore
e la sua anima lo porterà con sé, specie se madre.
Il filo sottile di tale amore oltrepassa ogni umana
comprensione, bisogna solo viverlo, così come deve essere per la Sua Parola.
Non è mia intenzione scrivere un poema o pseudo
critica letteraria; più esprimo pensieri e parole, più ho consapevolezza di
quanto altro si potrebbe aggiungere.
Concludo con una mia poesia tratta da Soffi di vita intitolata Chi sei tu?
Il silenzio dopo il punto completerà le parole.
CHI SEI TU?
chi sei tu
voce / giunta all’improvviso / eppure a me appartenente / sei altra da me, ma i
miei occhi / da te traggono forza per / rappresentare l’essenza delle cose /
tensione e curiosità del vero / intonano una canzone / se tale si sente /
insieme fanno a gara per giungere prima / alla risposta / più prossima / poi la
voce assetata ed a “pancia semi piena” / urla con forza intensa vitale / “cerca
ancora, ancora” / ecco, un po’ indefinita nel suo divenire, la vita appare /
dicendo / “Chi sei tu?”
Nessun commento:
Posta un commento