di Adeoadato Piazza Nicolai
MY FLOWER-FILLED STAIRCASE TO HEAVEN
Our Sunday summer’s staircase-
to-heaven in Vigo. It’s not the song
Stairway to Heaven sung by The Stones.
It is the music
of nature’s sunrise as natural mother
rather than mother-in-law.
In the Cadore rain sprinkles the corners
almost each night while the moon
disappears beneath the mists
as if for a mystical visit. If god did
exist it should be like this: subtle,
and sudden and almost invisible.
Surely untouchable except by the heart.
I’d love to open your eyes to Sunday’s
surprise. I wish for no more. I pray
our family touches a similar flower
along their own staircase to somewhere…
© Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, Sunday August 13, at 6:45 a.m.7
VERSO IL CIELO LA MIA SCALINATA PIENA DI FIORI
A Vigo, la nostra scalinata verso il cielo piena di fiori.
Non è la canzone Stairway to Heaven degli Stones.
È la musica della mattinata del sole, come madre
naturale invece della madre matrigna.
In Cadore la pioggia flagella gli angoli quasi
tutte le sere mentre la luna
sparisce dentro le nebbie come per
una visita mistica. Se dio esiste
dovrebbe essere così: astuto
inatteso e quasi trasparente.
Di certo intoccabile ma per il cuore.
Vorrei aprire i tuoi occhi alla sorpresa
domenicale. Non voglio altro. Prego
che alla famiglia accada un simile fiore
lungo la loro ascesa verso qualcosa…
©2017 Adeodato Piazza Nicolai
Traduzione dall’inglese della poesia MY FLOWER-FILLED STAIRCASE TO HEAVEN, Vigo di Cadore, 13 agosto 2017, ore 10:20
AGAPE
non scorrere esclusivamente
nelle arterie dei Kristos
crucifissi ma pure
nella pancia dei poveri cristi
lasciati a marcire sull’orlo
della strada.
Agave sarà il tipico frutto
tropicale che delizia la lingua
del riccho vacanziere.
È anche il chicco d’uva
regalato dal vignaiolo
al barbone di turno
che scivola in silenzio
dalle falde del giorno
senza sfiorare la cruna
del divino.
Agape, vicina sorella
dell’agave, forse cresce
nei caveaux del cuore
fedele all’Amore…
Agape, tu dolce dolore,
vieni a ritrovarmi ogni
momento del viaggio
arduo e crudele
più del destino.
Sei il fardello
che non vorrei conoscere
ma desidero ogni istante
ascoltare, abbracciare; ti
seguirei come il sole, la luna.
Anche se forse sarebbe
come sfondare la culla
del lago di Tiberìade,
guidami tu a costruire
una minima capanna
che sopporterà ogni
bufera poi spunterà
il primo volto e la linfa
sfiorerà poi sfonderà
ancora di nuovo
di nuovo di nuovo…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo Cadore, 12 agosto, ore 4:27
IL GIOVANE POETA INVECCHIATO
Oh Michael, my son, where are you tonight?
Only twenty years between you and me:
Life from one life, lymph from my limbs.
Is it the end of our rainbow, tonight? A piece
of the one comet or the light-distance from
Andromeda to Milky Way? A fragile fragment
of Halley’s Comet traverses the skies in the night.
Shall we meet again or will be the distance too fathom
deep? Each night you knock at the doors of my dream,
where are you tonight: to London, Chicago or at rainbow’s
tail end? Will you continue to stay away and
will we continue to bleed the same dark blood?
Remember how those two roads diverged in the woods
and each one of us walked his own lonley road?
Shall we ever again share the same dream from sunlight
toward sunset? Remember, my son, that your own sun
Giovanni Paolo sooner or later will walk his own paths.
Will you ask the same questions that rattle my dreams?
Michael, where are you tonight? Will you remember
your father today? The sins of the fathers befall again
on the heads of the sons. The answer, my friend
keeps blowing in the wind, the answer is blowing
in the wind…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 11 August 2017, at 3:00 a.m. [Poem written with a full heart and one eye only, since yesterday I was operated for a cataract on the right eye]
IL VILLAGGIO FANTOZZI
Quest’oggi nel Villaggio Fantozzi,
è morto Paolo, l’ultimo clown.
Arrivederci, Pablito Fantozzi.
Per pura sfortuna non ti ho
mai conosciuto ma di sicuro
adesso rivedrò tutte le tue
pazzesche carognate, battute
e altre tue baggianate che nessuno
al giorno d’oggi saprà ricreare.
«Blow Up, uscito nel 1966,
diagnosticava già allora la dis-
fatta del desiderio di parlare
e di agire insieme». [1]
La morte della realtà/verità
diventata soltano il palinsesto
degradato e dissociato da ogni
grado d’umanità. Come ringraziarti
caro Paolo Villaggio per quel tuo
coraggio che t’ha segnato, unico
clown del dopoguerra? Lasciata
la terra vola tranquillo nell’aldilà.
Ricordati di quanto ci mancherà
quel pizzico di maccheronica follia…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 3-4 luglio 2017.Nota [1] © Luc Dardenne 2017, Traduzione di Sergio Arecco
© “Il Fatto quotidiano”, 4-7-2017. Tutti i Diritti Riservati
MY FLOWER-FILLED STAIRCASE TO HEAVEN
Our Sunday summer’s staircase-
to-heaven in Vigo. It’s not the song
Stairway to Heaven sung by The Stones.
It is the music
of nature’s sunrise as natural mother
rather than mother-in-law.
In the Cadore rain sprinkles the corners
almost each night while the moon
disappears beneath the mists
as if for a mystical visit. If god did
exist it should be like this: subtle,
and sudden and almost invisible.
Surely untouchable except by the heart.
I’d love to open your eyes to Sunday’s
surprise. I wish for no more. I pray
our family touches a similar flower
along their own staircase to somewhere…
© Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, Sunday August 13, at 6:45 a.m.7
VERSO IL CIELO LA MIA SCALINATA PIENA DI FIORI
A Vigo, la nostra scalinata verso il cielo piena di fiori.
Non è la canzone Stairway to Heaven degli Stones.
È la musica della mattinata del sole, come madre
naturale invece della madre matrigna.
In Cadore la pioggia flagella gli angoli quasi
tutte le sere mentre la luna
sparisce dentro le nebbie come per
una visita mistica. Se dio esiste
dovrebbe essere così: astuto
inatteso e quasi trasparente.
Di certo intoccabile ma per il cuore.
Vorrei aprire i tuoi occhi alla sorpresa
domenicale. Non voglio altro. Prego
che alla famiglia accada un simile fiore
lungo la loro ascesa verso qualcosa…
©2017 Adeodato Piazza Nicolai
Traduzione dall’inglese della poesia MY FLOWER-FILLED STAIRCASE TO HEAVEN, Vigo di Cadore, 13 agosto 2017, ore 10:20
AGAPE
non scorrere esclusivamente
nelle arterie dei Kristos
crucifissi ma pure
nella pancia dei poveri cristi
lasciati a marcire sull’orlo
della strada.
Agave sarà il tipico frutto
tropicale che delizia la lingua
del riccho vacanziere.
È anche il chicco d’uva
regalato dal vignaiolo
al barbone di turno
che scivola in silenzio
dalle falde del giorno
senza sfiorare la cruna
del divino.
Agape, vicina sorella
dell’agave, forse cresce
nei caveaux del cuore
fedele all’Amore…
Agape, tu dolce dolore,
vieni a ritrovarmi ogni
momento del viaggio
arduo e crudele
più del destino.
Sei il fardello
che non vorrei conoscere
ma desidero ogni istante
ascoltare, abbracciare; ti
seguirei come il sole, la luna.
Anche se forse sarebbe
come sfondare la culla
del lago di Tiberìade,
guidami tu a costruire
una minima capanna
che sopporterà ogni
bufera poi spunterà
il primo volto e la linfa
sfiorerà poi sfonderà
ancora di nuovo
di nuovo di nuovo…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo Cadore, 12 agosto, ore 4:27
UNA VITA RISCATTATA DALLA PROSA-POESIA
1.
Non so se la poizia ricavi un gran beneficio
dalle nuove tecnologie. Gli strumenti
che arrivano nelle nostre mani arrivano
anche nelle mani degli altri.
Non che si possa tornare
indietro.
O che venga voglia di farlo. Un tempo usavamo
Le vecchie ricetrasmittenti Motorola.
Adesso sono diversi anni che abbiamo
la banda larga. Certe cose non sono cambiate.
Il buon senso non è cambiato.
A volte dico ai miei vice di seguire le briciole
di pane come Pollicino. E mi piacciono ancora
le vecchie Colt. La 44-40. Se quella non basta
a fermare il tuo uomo, allora ti conviene
buttarla via e dartela a gambe. Mi piace
il vecchio Winchester modello 97. Mi piace
il fatto che abbia il cane esterno. Non mi piace
dover andare in cerca della sicura di un fucile.
Ovviamente certe cose sono peggiorate.
La mia auto di servizio ha sette anni. Monta
Il 454. Quel motore non lo fanno più. Ho provato
Una di quelle nuove. Corre più piano di un ciccione.
Ho detto che stavo bene con la mia e non volevo
Cambiare. Non è sempre l’ateggiamento migliore.
Ma non è neanche sempre il più sbagliato. ... [1, p. 55]
2.
Siamo venuti qui dalla Georgia. La mia famiglia, intendo.
Carro e cavallo. Questo lo so praticamente per certo.
So che nella storia di una famiglia ci sono sempre
un mucchio di cose inventate di sana pianta. Nella storia
di qualunque famiglia. Le
storie si tramandano e la verità
si tradisce. Come si suol dire. E probabilmente c’è chi
pensa che ciò vuol dire che la verità non è abbastanza forte.
Ma si sbaglia. Secondo me, doplo che tutte le bugie
Sono state dette e dimenticate, la verità sta ancora lì.
Non va da nessuna parte e non cambia da un momento
All’altro. Non si po’ corrompere così come non si può
corrompere il sale. Non si può cofrrompere perché
è quella che è. È la cosa di cui stò parlando. L’ho sentita
paragonare a una roccia – forse nella bibbia – e sarei
anche d’accordo con questa idea. Parecchia gente, anzi.
Ma quest gente non sono mai riuscito a capire
in cosa creda. … [Ibid, p. 107]
3.
Al giorno d’oggi mi sembra che i giovani fanno
una gran fatica a crescere. Non lo so perché.
Forse è solo che nessuno vuole crescere più
in fretta del necessario. Era sposato e aveva un figlio.
E un mio amico, un ragazzo con cui sono cresciuto,
alla stessa età era già stato ordinato sacerdote
della Chiesa battista. Pastore di una vecchia chiesetta
di campagna. Dopo circa tre anni si trasferì a Lubbock,
e quando lo disse ai suoi parrocchiani quelli rimasero
seduti in chiesa a piagnucolare. Tutti, uomini e donne.
Lui li aveva sposati, battezzati, e seppeliti. E avrà avuto
Ventun anni, forse ventidue. […]
Loretta mi ha raccontato di aver sentito alla radio
che una percentuale di bambini in questo paese
viene allevata dai nonni.
Non mi ricordo quant’era.
Ma mi è sembrata proprio alta. Figli che i genitori
non volevano tirare su. […] Credo che non si possa
fare questo lavoro senza una moglie. E una moglie
abbastanza insolita, a ben pensarci … [Ibid., pp. 137-8]
4.
[…] Ti svegli di notte e pensi a certe cose. Io non lo so
più cosa voglio sentire. Ti dici che magari la faccenda
è chiusa. Ma sai che non è così. Puoi sperarci quanto
ti pare. Mio padre mi ha sempre raccomandato di fare
del mio meglio e dire la verità. Diceva che non c’era niente
che ti faceva sentire in pace con te stesso come svegliarti
al mattino e non dover decidere chi sei. […] Penso
che la verità sia sempre semplice. Cioè deve essere semplice
per forza. Deve essere abbastanza semplice perché la capisca
pure un bambino. Altrimenti sarebbe troppo tardi … [Ibid., pp. 213-4]
5.
Mi disse che ero troppo severo con me stesso,
mi disse che era segno che stavo invecchiando.
Cercavo di far quadrare tutti i conti. Probabilmente
in parte è vero. Ma non del tutto. Gli diedi ragione
sul fatto che la vecchiaia era una brutta cosa
e allora lui disse che un vantaggio però ce l’aveva
e io chiesi quale. E lui disse non dura molto. Aspettai
che sorridesse ma non sorrise. Io dissi be’, è un po’
cattiva, e lui disse che sì era cattiva ma quanto
la realtà. E questo fu tutto.
[…]
E insomma. In quel posto ci tornai un’altra volta.
Camminai su quel terreno e non vidi nessuna traccia
di ciò che era successo. Raccolsi un paio di bossoli.
Tutto qui. Ci rimasi un sacco di tempo e pensai a tante
cose. Era uno di quei giorni tiepidi che vengono
certe volte in pieno inverno. C’era un po’ di vento.
Continuo a pensare che forse c’è qualcosa di strano
in questo paese. […] Mi è parso che questo paese
abbia proprio una strana storia, e una storia piena
di sangue, oltretutto. In pratica, ovunque ti volti
a guardare. Potrei fare un passo indietro e sorridere
di pensieri del genere, ma questo non li farebbe
andare via. Non mi creo scuse per il mio modo
di pensare. Non più. Ogni tanto parlo con mia figlia.
Oggi avrebbe trent’anni. Non fa niente. Non mi importa
se sembro matto a dire così. […] So che sembra strano,
ma devo dire che non me ne importa niente. … [Ibid., pp. 243-6]
6.
La moglie era morta qualche anno prima. Ci mettemmo seduti
sulla veranda a bere tè freddo e scommetto che se non dicevo
qualcosa io, a quest’ora eravamo ancora seduti lì. Era un po’
più vecchio di me. Di una decina di anni, forse. Gli dissi quello
che ero venuto a dirgli. Riguardo al figlio. Gli raccontai i fatti.
Lui rimase seduto lì ad annuire. Era seduto su un dondolo,
e andava avanti e indietro pian piano con il bicchiere di tè
in grembo. Non sapevo che altro dire, perciò chiusi il becco
e restammo lì ancora un po’. E poi lui disse, senza guardarmi,
guardando solo verso il giardino, disse: Era il miglior tiratore
che ho mai visto. Nessuno escluso. Io non sapevo cosa dire.
Dissi: Sì, capisco.
In
Vietnam ha fatto il cecchino, lo sa?
Risposi
che non lo sapevo.
Non
si è mai immischiato con i trafficanti di droga.
Nossignore.
Mai.
Lui
annuì. L’abbiamo tirato su in un certo modo, disse.
Sissignore.
Lei
ha fatto la guerra?
Sì,
sul fronte europeo.
Lui
annuì. Quando tornò a casa, Llewellyn andò a trovare
varie famiglie di suoi compagni che non ce l’avevano fatta.
Poi smise. Non sapeva cosa dire. Mi raccontò che se ne stavano
lì seduti a guardarlo e a rimpiangere che non era morto lui.
Glielo leggeva in faccia. Lui al posto del loro figliolo, capisce
Sissignore. Lo posso capire. […] Ci vuole una vita intera
Per arrivare a vedersi per quello che si è, e anche allora
Si rischia di sbagliare. […]
[Ibid., pp. 253-5]
7.
La notte Loretta si sveglia solo perché sono sveglio io.
Sto sdraiato nel letto e lei mi chiama per nome. Come
per vedere se ci sono. Certe volte vado in cucina, le prendo
un ginger ale e ce ne restiamo stesi al buio. Vorrei saper
prendere le cose con la sua stessa serenità. Il mondo
che ho visto non ha fatto di me una pesona spirituale.
Non quanto lei. E poi è preoccupata per me. Lo vedo.
Un tempo pensavo che dato che ero più vecchio ed ero
l’uomo di casa lei avrebbe imparato da me, e per molti
versi è stato così. Ma in fin dei conti so chi dei due è in debito.
[…] Qualche tempo fa l’ho detto a una giornalista – una
Ragazza giovane, sembrava abbastanza in gamba. Era
Soltanto in prova come giornalista. Mi ha chiesto: Sceriffo,
come mai ha permesso che in questa contea il crimine
le sfuggisse di mano fino a questo punto? A me sembrava
una domanda giusta, tutto sommato. Forse lo era.
Comunque le ho risposto dicendo: I guai cominciano quando
si inizia a passare sopra alla maleducazione Quando non si
sente più dire Grazie e Per favore, vuol dire che la fine è vicina.
[…] Stasera Loretta mi ha detto che sta leggendo san Giovanni.
L’apocalisse. Ogni volta che mi metto a parare di come vanno
le cose lei trova qualche passo della bibbia che fa
al caso mio, e allora le ho chiesto se l’Apocalisse aveva
qualcosa da dire sulla piega che sta prendendo il mondo,
e lei ha risposto che me l’avrebbe fatto sapere.
Le ho chiesto se da qualche parte si parlava di capelli
verdi e ossa nel naso e lei mi ha detto chiaro e tondo
di no. Non so se sia un buon segno. Poi è venuta a mettersi
dietro la mia sedia e mi ha abbracciato il collo e mi ha dato
un morso sull’orecchio. Per tanti versi è ancora una
ragazzina. Se non avessi lei non so che cosa mi resterebbe.
Anzi, sì che lo so. E non mi servirebbe neanche una cassa
per mettercelo dentro.
[Ibid., pp. 263-4]
[…]
8.
Quando uscivi dalla porta sul retro della casa, da un lato
Trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo alle erbacce.
… non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento.
Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpello. Era scavato
nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo suppergiù
mezzo e profondo altrettanto. Scavato nella pietra a colpi
di scalpello. E mi misi a pensare all’uomo che l’aveva
fabbricato. Quel paese non aveva mai avuto periodi di pace
paticolarmente lunghi, a quanto ne sapevo io. Dopo di allora
ho letto un po’ di libri di storia e mi sa che di periodi di pace
non ne ha avuto proprio nessuno. Ma quell’uomo si era messo
lì con una mazza e uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio
di pietra che sarebbe
potuto durare diecimila anni. E perché?
… E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quello
aveva una sorta di promessa dentro il cuore. … E nel sogno
sapevo che stava andando avanti per accendere un fuoco
da qualche parte in mezzo a tutto quel buio e a quel freddo,
e che quando ci sarei arrivato l’avrei trovato ad aspettarmi.
E poi mi sono svegliato. [Ibid., pp. 267-9]
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai per la “Ricostruzione in prosa-poesia”
Vigo di Cadore,18-28 luglio 2017. NOTA: Questa è una “ricostruzione” in prosa-poesia di una selezione di passaggi dal libro NON È UN PAESE PER VECCHI, di Cormac McCarthy. Traduzione italiana pubblicata con il permesso di Alfred A. Knopf, una Divisione di Random House, Inc. © 2017 Edizione Speciale per GEDI Gruppo Editoriale S.p.A. Pubblicato su licenza di Giulio Einaudi editore S.p.A. Torino. Da citazione [1] a citazione [8 ] le pagine indicate si riferiscono all’edizione speciale pubblicata
Vigo di Cadore,18-28 luglio 2017. NOTA: Questa è una “ricostruzione” in prosa-poesia di una selezione di passaggi dal libro NON È UN PAESE PER VECCHI, di Cormac McCarthy. Traduzione italiana pubblicata con il permesso di Alfred A. Knopf, una Divisione di Random House, Inc. © 2017 Edizione Speciale per GEDI Gruppo Editoriale S.p.A. Pubblicato su licenza di Giulio Einaudi editore S.p.A. Torino. Da citazione [1] a citazione [8 ] le pagine indicate si riferiscono all’edizione speciale pubblicata
per GEDI. Tutti i Diritti di Copyright sono Riservati a Norma di Legge.
IL GIOVANE POETA INVECCHIATO
Da
soli si può fare poco contro la storia.
[…] a
poco a poco la verità comincia a venire a galla
come
un cadavere.
Un
cadavere che sale dal fondo del mare
o
dal fondo di un burrone.
Vedo
la sua ombra che sale.
La
sua ombra vacillante. La sua ombra
che
sale come se salisse la collina
di
un pianeta fossilizzato.
E
allora, nella penombra della mia malattia,
vedo
il suo volto feroce, il suo dolce volto,
e
mi domando: sono io il giovane invecchiato?
È
questo il vero, il grande terrore,
essere
io il giovane invecchiato che grida
senza
che nessuno lo ascolti? [1]
[…]
Tempo/spazio
rimane la vera finzione. Affanna
poi
uccide la vita la verità. Nella penombra
dello
specchio universale l’umano ripiega
s’aggrappa,
scappa e ritorna all’illusione
di
qualche visione baluginante:
eros
in lingue di fuoco,
l’apocalisse
che ha divorato perfino Ulisse…
[…]
Sono
io un giovane poeta invecchiato che urla
piange,
frammenta la vita con il turbinare
irrequieto.
Fossi un geppetto capace
d’intaglio
su qualche frammento di betulla…
iI
tutto disperso come cenere o sabbia
nel
vento del deserto stellato. Ricorda Rimbaud…
©
2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo
di Cadore, 26 luglio ore 13:04
NOTA [1] – Roberto Bolaño, NOTTURNO CILENO, Edizione su licenza di
Adelphi Edizioni, © 2017 Edizione speciale per GEDI Gruppo Editoriale,
pagina 125.
AFRAGMENT OF THE SAME COMET
AFRAGMENT OF THE SAME COMET
Oh Michael, my son, where are you tonight?
Only twenty years between you and me:
Life from one life, lymph from my limbs.
Is it the end of our rainbow, tonight? A piece
of the one comet or the light-distance from
Andromeda to Milky Way? A fragile fragment
of Halley’s Comet traverses the skies in the night.
Shall we meet again or will be the distance too fathom
deep? Each night you knock at the doors of my dream,
where are you tonight: to London, Chicago or at rainbow’s
tail end? Will you continue to stay away and
will we continue to bleed the same dark blood?
Remember how those two roads diverged in the woods
and each one of us walked his own lonley road?
Shall we ever again share the same dream from sunlight
toward sunset? Remember, my son, that your own sun
Giovanni Paolo sooner or later will walk his own paths.
Will you ask the same questions that rattle my dreams?
Michael, where are you tonight? Will you remember
your father today? The sins of the fathers befall again
on the heads of the sons. The answer, my friend
keeps blowing in the wind, the answer is blowing
in the wind…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 11 August 2017, at 3:00 a.m. [Poem written with a full heart and one eye only, since yesterday I was operated for a cataract on the right eye]
IL VILLAGGIO FANTOZZI
Quest’oggi nel Villaggio Fantozzi,
è morto Paolo, l’ultimo clown.
Arrivederci, Pablito Fantozzi.
Per pura sfortuna non ti ho
mai conosciuto ma di sicuro
adesso rivedrò tutte le tue
pazzesche carognate, battute
e altre tue baggianate che nessuno
al giorno d’oggi saprà ricreare.
«Blow Up, uscito nel 1966,
diagnosticava già allora la dis-
fatta del desiderio di parlare
e di agire insieme». [1]
La morte della realtà/verità
diventata soltano il palinsesto
degradato e dissociato da ogni
grado d’umanità. Come ringraziarti
caro Paolo Villaggio per quel tuo
coraggio che t’ha segnato, unico
clown del dopoguerra? Lasciata
la terra vola tranquillo nell’aldilà.
Ricordati di quanto ci mancherà
quel pizzico di maccheronica follia…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 3-4 luglio 2017.Nota [1] © Luc Dardenne 2017, Traduzione di Sergio Arecco
© “Il Fatto quotidiano”, 4-7-2017. Tutti i Diritti Riservati
QOHÈLET e VERMEER
Oh, la nera bellezza del tuo cantare, Qohelet!
Piove e piove ininterrottamente da giorni
e questa è una notte ancora più cupa,
tutto inghiottito da compatta tenebra:
annuncio e figura dell’altra Notte che viene? [1]
Mostro della luce, Vermeer, sempre nella stessa stanza
dove invita le sue modelle, le posiziona, mette a fuoco
la luce che filtra dalle tre finestre, poi dipinge, dipinge.
Il pennello fotografa soggetti, i suoi occhi accarezzano
gli altri occhi, la pelle ruvida, rosata, incarnadina. Oggetti
e soggetti con sfondi creati dalla sua mente. Non mente
il pennello. Guarda, apprezza, riscopre se stesso nei suoi
pesonaggi riconosciuti da altre vite, da vecchie e cancellate
forse sublimate situazioni. Vermeer, jazzista di luci e colori
sfiorati nel ghetto e depositati con tenera-ruvida bellezza
sulle ragnatele del tempo/non tempo ora sbiadito. Ecco
la sua folle magia. Qualche critico moderno ha dichiarato
che i suoi dipinti peccano di staticità. Forse intendeva
di elettricità: ogni scatto fissato su tela, su carta su cera
pecca di staticità, mio caro signore! Nei suoi ritratti
le donne fanno le cose quotidiane e lui le dipinge, dipinge.
Oh, la nera bellezza del tuo cantare, Qohelet!
Piove e piove ininterrottamente da giorni
e questa è una notte ancora più cupa,
tutto inghiottito da compatta tenebra:
annuncio e figura dell’altra Notte che viene? [1]
Mostro della luce, Vermeer, sempre nella stessa stanza
dove invita le sue modelle, le posiziona, mette a fuoco
la luce che filtra dalle tre finestre, poi dipinge, dipinge.
Il pennello fotografa soggetti, i suoi occhi accarezzano
gli altri occhi, la pelle ruvida, rosata, incarnadina. Oggetti
e soggetti con sfondi creati dalla sua mente. Non mente
il pennello. Guarda, apprezza, riscopre se stesso nei suoi
pesonaggi riconosciuti da altre vite, da vecchie e cancellate
forse sublimate situazioni. Vermeer, jazzista di luci e colori
sfiorati nel ghetto e depositati con tenera-ruvida bellezza
sulle ragnatele del tempo/non tempo ora sbiadito. Ecco
la sua folle magia. Qualche critico moderno ha dichiarato
che i suoi dipinti peccano di staticità. Forse intendeva
di elettricità: ogni scatto fissato su tela, su carta su cera
pecca di staticità, mio caro signore! Nei suoi ritratti
le donne fanno le cose quotidiane e lui le dipinge, dipinge.
Passano gli anni, lui se ne va nell’oltranza forse mai prima
svelata o dipinta. Negli atelier, musei, pinacoteche, nelle
stanze private dei collezionisti vivono ancora le sue colorate
visioni.
Qual è il segreto,
il suo mistero? Indescrivibile, irriproducibile la qualità di
quella luce. Fotografi e pittori moderni hanno tentato, cercato
sognato di riprodurla ma senza fortuna. La luna resta sempre
la luna: lo scatto matto non la ricrea, la copia solamente.
“La ragazza con gli orecchini di perla” e quella con il cappellino
rosso forse con lui hanno affossato una relazione amorosa?
Nessuno lo saprà. Amore sbocciato con la prima penellata…
Lei guarda un po’ persa fuori dalla finestra, lui entra dentro
quegli occhi grigio-verdi e lì ci resta assopito per tanto tempo,
possibilmente per sempre.
Luce è vita raccolta su tela anche se fuori sfarfalla la neve…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 24-5 agosto. Tutti i Diritti Riservati
NOTA [1] – David Maria Turoldo, da IL GRANDE LIBRO, © Edizioni San Paolo s.r.l., 2000, p. 56.
PATHÉTIQUE
Pateticità: patos, paths
(patois?), patetica questa
dannata solitudine infinita
dimenticata, abbandonata
e riscoperta ma troppo tardi,
verso la fine oltre il confine.
Ho sconfinato nel nulla da quando
avevo lasciato la culla (la casa
di montagna) … un vagabondo
sull’altro emisfero. Adottato da
un parente impazzito ho presto
scoperto la notte al chiaro di luna –
mia dolce sorella troppo lontana.
Ricordo la vecchia fontana del mio
paese dove ho scoperto quant’è
solitario l’amore/dolore, signore
del cuore. Lei se ne fregava, io
la pregavo di starmi vicina. Era matura
ben oltre i suoi anni. Amava l’altro.
Sull’altra sponda del mare la spiaggia
sputava lordure contro natura: salmoni
stecchiti, barattoli arrugginiti, bottiglie
rotte e neanche un filo d’affetto
a rompere il cuore. Una pathétique
motzartiana, o statunitense, suonava
senza violini. Sulla sponda del lago
battevano i miei denti
ghiacciati dal vento d’inverno…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 24 agosto 2017, ore 14:03
TERZ’OCCHIO SULLA TERRA
AI WEIWEI – “Pensa a 1984, alla letteratura sul GRANDE FRATELLO che ora è diventata realtà.” [1]
In ogni angolo della terra profughi s’imbarcano per altri porti
scappano da guerre, miseria, pestaggi, prigioni e per altre ragioni
che ogni persona emigrata conosce sulla profondamente… Salvini
ha mai parlato coi suoi paesani del secolo scorso? Quanti emigrati
nelle Americhe, in Europa, in Africa, in Austrarlia e nella Nuova Zelanda…
E lui risponde: “Ma i nostri hanno vissuto altre realtà”. Lui che ne sa?
Da emigrante per più di 40 anni negli USA ne so qualcosa: chiamato
dago e wap mi dicevano “vattene a casa da dove sei venuto…”
“Ma loro lavoravano sodo!” gli africani del continente subsahariano
vengono in Italia e vogliono il telefonino, un’abitazione, senza troppo
sgobbare per mangiare…” Bravo Salvini! Vendi santini per la tua Lega
mentre gommoni sprofondano nei mari e l’Eurabia se ne frega. Sii
laudato, san salvini: i tuoi sermoni valgono nulla, solo una manciata
di voti comperati con il sangue degli esondati. Scrive Ai Wewei: “Abbiamo
viaggiato in più di venti nazioni, abbiamo visitato una quarantina di campi
profughi, realizzato circa 600 interviste e quasi mille ore di riprese, questo
mi ha aiutato a comprendere i problemi dell’umanità di oggi…” [2]
Ma quanti se ne fregano degli immigranti.
Sono solo alieni depositati sulle nostre coste. Ci dimentichiamo che vestono costole simili
alle nostre? Bisogna rimpatriarli. Perché hanno abbandonaoto i propri paesi? Per venire
in vacanza? Non c’è persona su questo pianeta che lascia casa e famiglia per sgobbare
nella terra dei padri-padroni, peggio di quei droni che sorvolano la terra. Quale frutto
si porteranno a casa? Rabbia, vergogna e tante menzogne, promesse vuote, le preghiere
inascoltate di Papa Francesco… NON VOGLIAMO MORIRE PRIMA D’ESSERE VISSUTI…
© 2017 Adeoedato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 25 agosto 2017, ore 11:09
NOTE:
[1] Parlano alcuni degli “artisti più controversI” nel mondo d’oggi: Ai Weiwei e Hans Ulrich Obrist.Vedi La lettura del Corriere della Sera, numero 299, pp. 2-3 e 47 (articoli “L’umanità in fuga” di Vincenzo Trione e “L’arte di Ai Weiwei” di Marco Del Corona). “Le emergenze planetarie, la libertà di parola e la democrazia, le urgenze della contemporaneità, la sorveglianza a cui siamo sottoposti e a cui dobbiamo sottoporre i governi, l’uso di materiali antichi contaminati da immagini digitali. Hans Ulrich Obrist sollecita Ai Weiwei sulla sua arte e sulla sua missione. «Quando parliamo dell’avidità degli umani nello sfruttare la natura e nel depredare le risorse, parliamo di uno dei maggiori problemi della vita odierna».” (p. 5) – DIRITTI RISERVATI.
[2] Ibidem, p. 3.
svelata o dipinta. Negli atelier, musei, pinacoteche, nelle
stanze private dei collezionisti vivono ancora le sue colorate
visioni.
Qual è il segreto,
il suo mistero? Indescrivibile, irriproducibile la qualità di
quella luce. Fotografi e pittori moderni hanno tentato, cercato
sognato di riprodurla ma senza fortuna. La luna resta sempre
la luna: lo scatto matto non la ricrea, la copia solamente.
“La ragazza con gli orecchini di perla” e quella con il cappellino
rosso forse con lui hanno affossato una relazione amorosa?
Nessuno lo saprà. Amore sbocciato con la prima penellata…
Lei guarda un po’ persa fuori dalla finestra, lui entra dentro
quegli occhi grigio-verdi e lì ci resta assopito per tanto tempo,
possibilmente per sempre.
Luce è vita raccolta su tela anche se fuori sfarfalla la neve…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 24-5 agosto. Tutti i Diritti Riservati
NOTA [1] – David Maria Turoldo, da IL GRANDE LIBRO, © Edizioni San Paolo s.r.l., 2000, p. 56.
PATHÉTIQUE
Pateticità: patos, paths
(patois?), patetica questa
dannata solitudine infinita
dimenticata, abbandonata
e riscoperta ma troppo tardi,
verso la fine oltre il confine.
Ho sconfinato nel nulla da quando
avevo lasciato la culla (la casa
di montagna) … un vagabondo
sull’altro emisfero. Adottato da
un parente impazzito ho presto
scoperto la notte al chiaro di luna –
mia dolce sorella troppo lontana.
Ricordo la vecchia fontana del mio
paese dove ho scoperto quant’è
solitario l’amore/dolore, signore
del cuore. Lei se ne fregava, io
la pregavo di starmi vicina. Era matura
ben oltre i suoi anni. Amava l’altro.
Sull’altra sponda del mare la spiaggia
sputava lordure contro natura: salmoni
stecchiti, barattoli arrugginiti, bottiglie
rotte e neanche un filo d’affetto
a rompere il cuore. Una pathétique
motzartiana, o statunitense, suonava
senza violini. Sulla sponda del lago
battevano i miei denti
ghiacciati dal vento d’inverno…
© 2017 Adeodato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 24 agosto 2017, ore 14:03
TERZ’OCCHIO SULLA TERRA
AI WEIWEI – “Pensa a 1984, alla letteratura sul GRANDE FRATELLO che ora è diventata realtà.” [1]
In ogni angolo della terra profughi s’imbarcano per altri porti
scappano da guerre, miseria, pestaggi, prigioni e per altre ragioni
che ogni persona emigrata conosce sulla profondamente… Salvini
ha mai parlato coi suoi paesani del secolo scorso? Quanti emigrati
nelle Americhe, in Europa, in Africa, in Austrarlia e nella Nuova Zelanda…
E lui risponde: “Ma i nostri hanno vissuto altre realtà”. Lui che ne sa?
Da emigrante per più di 40 anni negli USA ne so qualcosa: chiamato
dago e wap mi dicevano “vattene a casa da dove sei venuto…”
“Ma loro lavoravano sodo!” gli africani del continente subsahariano
vengono in Italia e vogliono il telefonino, un’abitazione, senza troppo
sgobbare per mangiare…” Bravo Salvini! Vendi santini per la tua Lega
mentre gommoni sprofondano nei mari e l’Eurabia se ne frega. Sii
laudato, san salvini: i tuoi sermoni valgono nulla, solo una manciata
di voti comperati con il sangue degli esondati. Scrive Ai Wewei: “Abbiamo
viaggiato in più di venti nazioni, abbiamo visitato una quarantina di campi
profughi, realizzato circa 600 interviste e quasi mille ore di riprese, questo
mi ha aiutato a comprendere i problemi dell’umanità di oggi…” [2]
Ma quanti se ne fregano degli immigranti.
Sono solo alieni depositati sulle nostre coste. Ci dimentichiamo che vestono costole simili
alle nostre? Bisogna rimpatriarli. Perché hanno abbandonaoto i propri paesi? Per venire
in vacanza? Non c’è persona su questo pianeta che lascia casa e famiglia per sgobbare
nella terra dei padri-padroni, peggio di quei droni che sorvolano la terra. Quale frutto
si porteranno a casa? Rabbia, vergogna e tante menzogne, promesse vuote, le preghiere
inascoltate di Papa Francesco… NON VOGLIAMO MORIRE PRIMA D’ESSERE VISSUTI…
© 2017 Adeoedato Piazza Nicolai
Vigo di Cadore, 25 agosto 2017, ore 11:09
NOTE:
[1] Parlano alcuni degli “artisti più controversI” nel mondo d’oggi: Ai Weiwei e Hans Ulrich Obrist.Vedi La lettura del Corriere della Sera, numero 299, pp. 2-3 e 47 (articoli “L’umanità in fuga” di Vincenzo Trione e “L’arte di Ai Weiwei” di Marco Del Corona). “Le emergenze planetarie, la libertà di parola e la democrazia, le urgenze della contemporaneità, la sorveglianza a cui siamo sottoposti e a cui dobbiamo sottoporre i governi, l’uso di materiali antichi contaminati da immagini digitali. Hans Ulrich Obrist sollecita Ai Weiwei sulla sua arte e sulla sua missione. «Quando parliamo dell’avidità degli umani nello sfruttare la natura e nel depredare le risorse, parliamo di uno dei maggiori problemi della vita odierna».” (p. 5) – DIRITTI RISERVATI.
[2] Ibidem, p. 3.
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