lunedì 10 dicembre 2007

Su L'azzurro del mare


Joker, Novi Ligure 2007, pp. 88, € 12,00

recensione di Mauro Ferrari

È una poesia di leggerezza, quella di Roberto Morpurgo; giustamente, nella densa e centratissima nota di prefazione, Sandro Montalto rende l'andamento di queste poesie – al contempo rapsodico e coeso, frammentato e unificato – tramite l'immagine del caleidoscopio. Sono testi composti di versi brevi e liberi, separati da ampie faglie di silenzio, rese più percepibili dalla non esatta corrispondenza tra verso e sintassi; l'Io di Morpurgo procede per annotazioni che si concentrano sui dettagli minuti che danno però il respiro dell'infinitamente grande. Il poeta, tentato dalla luminosità del mondo, è anche consapevole delle ombre e dei limiti, della percezione ma anche della razionalità del mondo; così nel paesaggio, cantato spesso come energia universale e afflato cosmico, si insinua e a volte prende il sopravvento la nota malinconica, l'emergere del sentimento del tempo. Ne è spia, del resto, il titolo ungarettiano di una sezione, Il dolore e paesaggi; e comunque lo attestano i rapidi ma non rari accenti personali, che piegano una poesia che potrebbe apparire, a una lettura di superficie, come tutta oggettiva e descrittiva: «Come un dio amaro / bevo le gocce / ultime / sospiro» (p. 68).

La tentazione del canto naturale, che se non contaminata si dispiegherebbe, semmai, in una musicalità più orchestrata anche sintatticamente, è quindi temprata dall'esperienza e, diremmo, dalla cultura, a ricostituire un dissidio Natura/Cultura che non ci sembra per nulla alieno dal pensiero del poeta milanese. Quella di Morpurgo è una poesia sia di vista che di visione, poggianti entrambe sulla capacità di concentrarsi su un dettaglio visuale sempre significativo: («Piano / stillava / acqua // da un suo / palmo / la mano», p. 5; oppure: «Alte // non / più / della terra // vecchia già / delle gialle // Le foglie verdi…», p. 13), e in quella percezione, che potrebbe apparire oggettiva e quindi esterna all’Io che sente, la sua poesia instilla un tremore e un dubbio grazie a una fibrillazione del significante che non di rado si allarga alla dimensione cosmica, e giunge al di là dell'esperienza sensibile: «Blu / erano i campi / / schiusi fra due / strade // impolverati e / bianche», p. 18.

Ci sembra infine che il merito più evidente di una poesia che affianca coraggiosamente, in piena autonomia espressiva il versante più filosofico di Morpurgo, autore anche di un recente e pregevole libro di aforismi (Pregiudizi sulla libertà, Joker 2007), sia quello di far percepire la dimensione più ampia in cui si agita e vide l’individuo; un atteggiamento che trapela a tratti, in affermazioni (anche qui latamente ungarettiane) come «Io sto su una gru / di ferraglie a guardare / campagne», p. 77.

Nessun commento: