Giulio Mazzali, La pratica del buio, peQuod, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Scrive Claudio Damiani nella Prefazione (p. 6): “Il buio, ci dice Giulio, non esiste, dentro il buio c’è sempre, se guardate bene, un filo di luce, di vita.” E conclude (p. 7): “Prima l’immortalità era un sogno, era poesia, ora è diventata, complice lo sfrenato folle volo tecnologico che ci travolge, una pretesa d’infinire un’insensata voglia nella mente di tutti…”
Parole utilissime per navigare e praticare il buio di Mazzali. Il rischio è infatti quello di seguire il trend di una umanità atarassica, omologata, parcellizzata in individualità monadiche incapaci di relazionarsi e fondamentalmente narcisistiche (quindi perniciose e autodistruttive): “E l’attesa si è fatta tempo / vuoto, lenta pratica del buio.” (Dopo un’omelia, p. 11). Finché c’è una pratica, una filo di speranza e però presente e si può rintuzzare l’angoscia di “Vivere su un’isola / prigionieri delle onde.” (p. 21). E se le monadi di cui sopra sono “Ombre, creature senza abbracci.” (p. 22), Giulio confessa: “Ma l’Amore scalda, / rende l’ombra cosa salda.” (ivi, il corsivo è una citazione dell’ultimo verso del canto XXI del Purgatorio: Ed ei [Stazio] surgendo: Or puoi la quantitate / comprender de l’amor ch’a te [Virgilio] mi scalda, / quand’io dismento nostra vanitate, // trattando l’ombre come cosa salda.). Dunque c’è una energia che può dare consistenza ad anime asfittiche, aprirci a una relazione concreta, vera. Ci sono odori in grado di riportarci (come il prezioso nardo in Gv 12,1-11) al cuore di noi stessi e di quanto ci circonda (p. 32): “Guardo il mondo allora, / pensando a un corrimano / al profumo di ginestra, / perché l’aria non disperi / perché tutto sia salvezza.”
Se a volte (p. 35): “Le parole sono chiodi / tra le pieghe delle mani.”, altre volte si insinua (p. 62): “una speranza, / se il cielo è tutto qui, / nei ritagli che la luce disegna nella stanza. / Se le braccia sono braccia / oppure ali, in attesa di volare.”
Se a volte (p. 35): “Le parole sono chiodi / tra le pieghe delle mani.”, altre volte si insinua (p. 62): “una speranza, / se il cielo è tutto qui, / nei ritagli che la luce disegna nella stanza. / Se le braccia sono braccia / oppure ali, in attesa di volare.”
Ecco allora nell’«Epilogo» il poeta di Velletri donarci la poesia Eden (p. 89) che cito integralmente:
“Come fiori amare
il proprio stelo,
la terra che ci lega
in un groviglio
di storie e radici.
Come l’uomo
un tempo sé stesso,
quando fiorire
era l’unico avvenire,
il cuore nido caldo
d’ali e canto.”
il proprio stelo,
la terra che ci lega
in un groviglio
di storie e radici.
Come l’uomo
un tempo sé stesso,
quando fiorire
era l’unico avvenire,
il cuore nido caldo
d’ali e canto.”
Agli echi francescani di Eden, aggiungo, per concludere questa mia divagazione, i versi-invito che Giulio incide in Ritorno (p. 90): “Lasciare le tracce impresse / sulla sabbia, iniziare insieme / un nuovo viaggio. // Sia esso di ritorno: / al centro / il respiro del mondo.”
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