domenica 26 gennaio 2025

”… alla mia devozione / per un mare che mi naviga senza ancoraggi…”

Angela Caccia, Di lentissimo azzurro, Campanotto Editore 2024


recensione di AR

“… come Giacobbe e la sua anca rotta / poter lottare col proprio Angelo / per guadagnarsi un nome” (p. 11): con questa biblica terzina si chiude la prima poesia della raccolta. In quella successiva troviamo, in riferimento alla condizione umana: “la bandiera che ora si ammaina e / ora si innalza” (p. 12). A p. 13, nella terza poesia, occhieggia il verso eponimo: “Scritta a mano / di lentissimo azzurro / (…) / Tra scritto e ricordo / il nostro tempo scaduto / ci sono fiori che invecchiano in un giorno / e ricordi / che sfuggono le notti per farsi transiti / piccole vertigini di un lontano / da cui non si guarisce”.
Angela sa che “la verità / viaggia su auto di seconda mano” (p. 16); “che la parola è concava / sorride di sé – e di te - / e continua a galleggiare nei suoi silenzi.” (p. 17). Ha uno sguardo “sempre / in bilico / tra gli occhi in avanti e il cuore in ritardo” (p. 35) che inquadra i momenti, i fatti (anche tragici) e li ”sorprende” facendoci sussultare: “le statue a mezzogiorno che / vibrano sull’asfalto e pare / sudino anche loro.” (p. 19); “ma  solo al largo / nei cerchi d’acqua più cristallina / risuona ancora il grido annegato” (p. 23, ricordando il naufragio di Cutro); “La vita si è fatta fuga in un attimo / nessun verso viene più in pace” (p. 26).
Queste pagine sono un dialogo serrato con il vissuto, la realtà, il proprio fare poesia che “… è pane leggero / – rosa / sosta in due sillabe di bellezza” e ci fa essere “… grati / all’abitudine  del vento che sposta / al sole il canto degli uccelli” (p. 28), che l’ ”… estate è fiducia che le crepe fioriscano” (p. 32), che ”Siamo terra / suoi e tuoi tragici intagli – altrimenti / resta la forma dei nostri desideri – / insieme / solo nell’inconfessato  pensiero / di saperci / tutti / nello stesso Caravaggio / tutti in quel dito / che trema / e sposta la pelle di Te risorto” (p. 34); ”fossi di silenzio / mi poserei sulle cose ricche di tempo” (p. 36).


La voce di Angela ha un timbro intenso, un ritmo dalle cesure abissali, oscillazioni di pensiero inquietanti che ci pongono al limite di ogni scelta, di ogni benedetta pulsione, di ogni lasso di vita che connette il desiderio alla mancanza terribile e fascinosa che lo fomenta. La lingua è affilata e si distende su versi nitidi che però sballottano certezze e accomodamenti… Del resto nessuna canzone nasce dal quieto vivere, nessuna poesia dall’inerzia di chi allontana i ricordi penosi e non sa fare i conti con le proprie crepe, occulta le proprie ferite anche a sé stesso e si adagia in un sonno mortifero.
Il messaggio della poetessa di Cutro è apocalittico, rivelatore, svelante. Coglie i segni di cui la vita è ricolma (se apriamo gli occhi) e ce li offre vividi perché li ha attraversati. Si fa compagna al nostro cammino con l’umiltà di chi sa di essere come noi un’anima pellegrina, senza alcuna verità in tasca, ma capace di farle spazio e di scoprirla negli altri con la pazienza azzurrina delle sue dita che modellano l’argilla con la maestria di chi ama.
Ancora qualche lacerto: “Mi pesa la parte di me ferita che / carico ogni giorno sulle spalle / con la stessa cura di Enea per Anchise” (p. 39); “Siamo come questo papavero: / solo un sobbalzo nel giallo del grano” (p. 40); “si delineano distanze tra noi / e un plotone di vuoto – le accorcia” (p. 46); “il nostro imperfetto accade” (p. 66). Quest’ultimo verso, che chiude la raccolta, mi fa brillare il cuore.


PS Il titolo di questa recensione è tratto dalla dedica iniziale.

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