martedì 14 gennaio 2025

Flavio Vacchetta legge "Saudade" di Maria Pia Quintavalla

 















Nota di lettura a Saudade (puntoacapo, 2024 - prefazione di Giancarlo Sammito) di Maria Pia Quintavalla. L'articolo è a cura di Flavio Vacchetta.


Quella di Quintavalla mi pare una poesia propensa allo slancio effusivo, nonostante gli schermi delle forme e delle parole. Prendiamo la poesia C'è bisogno degli altri, intanto ciò espresso in modo franco.

Si vede come le immagini trovino prontamente il loro significato e vi corrispondano. La sera è un momento (oltre che un topos) forse nostalgico ma sostanzialmente positivo. A taluni la sera, immagine del mutamento ineluttabile verso il precipizio, suscita angoscia, non come al Foscolo di Alla sera, dove essa prefigura la pace, il sonno, l'oblio... Si dà invece di gente che al calar del sole diventa frenetica, quasi a compenso della precedente inazione per scelta e della successiva inazione per obbligo, insomma solo una stretta finestra temporale in cui precipita e riesce a estrinsecarsi un'energia creatrice altrove compressa e sviata lungamente. Qui siamo più sul versante dell'accettazione, della contemplazione e della delibazione dell'attimo, stupendo ("amo il nostro presente", "concorde assolo", "i miracolati"), e subito viene suscitata l'analogia: la sera appresta d'un tratto, e con un gran balzo concettuale, la resurrezione di Lazzaro (o viceversa).


Le idee subito si concretano icasticamente (peculiarità dantesca): “l'onda nera di moscerini che tagliava l'aria” è l'ostacolo metaforico all'unione.


Un'idea inclusiva si coglie nel melting pot d'ispirazione parigina, che, del tutto arbitrariamente, per una serie di miei rimandi incrociati, mi fa tornare in mente la poesia I fiumi di Ungaretti.


Questo dantizzare, sui generis e in senso molto lato, e questa aspirazione o tendenza a uniformarsi al, o a cullarsi nel, grande corso dell'essere e della natura, si coglie anche nei versi come dire astrologici dedicati alla casa dei pesci.


D'altronde, la vita è un "dono", e anche essere felici "per volere di una figlia, è possibile", una figlia ripensata nel momento della nascita (a proposito, forse spinoso per un figlio immedesimarsi in quel mondo lontano eppure vicino, percepirsi neonati sul grembo materno ecc.), in immaginazione metamorfica: viticci intrecciati, creature acquatiche, nascita che è rinascita per la genitrice: "noi siamo nate".


Sogno di me, di quella forza  

per sollevarla al cielo  

con un accento, il mio, avvenuto nuovo

nel germogliare lei dalle mie mani, io  

dal suo tronco,  

come viticci aperti in una pianta sola.


D'altronde, come scrive Tabucchi citato nella prefazione di Giancarlo Sammito, per trovarsi bisogna perdersi di continuo.


A proposito di fiumi, e di immaginazioni acquatiche e vitali, di rinascenza, ci ritroviamo sul Po, di fronte alla cui maestosità (umanamente corrotta, in verità) ci si figura quale “sensata isola nel fango”, quel fango argilloso da cui la stessa umanità è sorta.


E dal grande fiume, dall'acqua possente e stillante, non può che nascere, ben prima dell'uomo, la pianta. “Vedo una pianticella da curare / il cui veleno proviene dal suo centro, della terra”. D'altronde, come si sa, la maggior parte degli esseri viventi sono vegetali, i quali potrebbero benissimo esistere senza di noi, anzi sono condizione dell'esistenza, mentre non vale il reciproco. E accanto a questa piantina umanizzata colta nelle sue varie vicissitudini, la passiflora, la quercia, il sambuco, il pioppo (“vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo...”: pioppo cipressino, se ben ricordo, quello di Rebora, citato pure da papa Francesco)... E sull'argomento vorrei suggerire il poetico cortometraggio Sapiens di Aleksandr Rogožkin, se mai si trovasse in rete, ispirato a un haiku di Bashō sul fiore.


Quest'attenzione fervida al vivente non può che estendersi anche alla meditazione sulle sorti dell'umanità e sui mali del mondo, come nelle accorate prose dedicate ai migranti morti nel naufragio presso Augusta del 2016. Così Saudade incontra un epilogo di tono mesto e cogitabondo, ma ancora non privo di una qualche speranza.




Maria Pia Quintavalla, nata a Parma, vive a Milano. I suoi libri: Cantare semplice (Tam Tam 1984); Lettere giovani (Campanotto 1990); Il Cantare (ivi 1991); Le Moradas (Empiria 1996); Estranea (canzone) (Manni 2000); Corpus solum (Archivi del ‘900 2002); Album feriale (Archinto 2005); Selected Poems (Gradiva, N.Y., 2008); China (Effigie 2010); I Compianti (Effigie 2013-2015); Vitae (La Vita felice 2017); Quinta vez (Stampa2009 2018), Estranea (canzone) (edizione riveduta, puntoacapo 2022). Tra i premi vinti: Cittadella, Alghero Donna, Nosside, Città S. Vito, Contini, Alda Merini, Pontedilegno, Città di Como, Euro pa in versi. È stata nella cinquina al premio Viareggio e ha vin to il Premio alla carriera al festival “Paesaggio interiore” di Cerreto D’Esi (2023). Ultime antologie in cui è inserita: Braci, a cura di Arnaldo Colasanti (Bompiani 2020), La Poesia italiana degli anni Ottanta, IV volume a cura di Sabrina Stroppa, UniTo (ed. Pensa). Compare nell’Atlante voci poesia, curato da Giovanna Iorio, e sue installazioni (Londra, Praga, Italia). È stata Redattri ce della rivista Menabò ed è nella Giuria del Premio Terre d’ulivi. Collabora a Metaphorica. Conduce laboratori di lingua italiana presso la facoltà di Lettere UniMi.



Nessun commento: