Luca Lanfredi, Il coraggio necessario, Introduzione di Mauro Germani, Lamantica Edizioni 2019
recensione di AR
La voce di Luca Lanfredi è una molla racchiusa in una scatola a sorpresa: la apri e ne escono “parole che la sola pneumatica / sospinge. / (…) / l’essere racchiusi tra le pagine, / nel clamore dei bordi che si accendono.” (con questo radioso endecasillabo termina la poesia, Discorso indiretto, che apre la raccolta a p. 17).
Essendo oggi capodanno, mi piace citare dalla poesia Fine d’anno (p. 23): “Sono le mani che tracciano la storia: / un vicolo di cenni, un / cerchio, e tutto / il resto.”
Vediamo già da queste tre citazioni (il verso del titolo di questa recensione è tratto dal IV movimento della terza sezione “La città vecchia”, p. 46) notiamo una vena lombarda, sobria, icastica, attenta al particolare, in tensione fra spirito e materia, fra aspirazioni e impegno, fra la concretezza fattiva e una bellezza discreta, nascosta, di per sé non misurabile ma sorprendente, emozionante e a volte tellurica e stringente: “I petali che restano / incollati allo pneumatico / e marcano l’asfalto.” (L’angolo, p. 24); “Ecco di questo sole / è l’azzurro che ci manca” (Ora legale, p. 25); “La bandiera era quella: il pensiero / di un bene che accade. / Il sangue che tocca, un nome che chiama.” (Una 'jacquerie', p. 26).
Le parole di Luca sembrano sempre desideranti un oltre, una permanenza, sanno irrigare l’assenza con il suono di una memoria che diventa eucaristicamente memoriale e fa sussultare il cuore: “No ho la pelle qui, ma solo il suo / ricordo, / non ho che l’ammantarsi del mistero / riservato – che il sorvegliare lento / dei mattoni.” (D’aprile, p. 31); “Ma ho avuto anch’io i tuoi volti, le tue notti / un tempo, i tuoi pensieri, l’inverno / mescolato alla pazienza. / Le spalle rivolte alle pareti.” (Passaggio in Via Pace, p. 34); “È un intero tracciare di canali / tra questi campi gravi e impauriti / dall’ipotesi che il tempo possa non / fermarsi, come facemmo, e urlare / nell’istantaneo svolgersi dell’acqua.” (La polvere, p. 36).
Le immagini, le cose, i dettagli sono sempre fortemente evocativi, c’è una corrispondenza d’amorosi sensi che pervade la poetica del Nostro e “arriva” ancora di più perché non esibita, accucciata, per così dire, in attesa della nostra empatica e affascinata attenzione: “L’ombra del giorno è un ventre che si allunga. // Bianca la casa, stravolta dalla quiete.” (A luce incidente, p. 38); “… e la luce / che ancora si frappone tra la distanza / e il guado che l’annienta.” (Cinque minuti e alcuni dèi, p. 39).
Gli ossimori rifulgono in queste pagine: “Un non-gesto di delicatezza” (p. 51); “la pace, / che divora” (p. 57); “Il principio è stato il termine: / quel riposo inquieto” (p. 61); “bisbigli ad alta voce” (p. 64); “Il niente è fragoroso” (p. 69).
Il libro si chiude con un invito provocante (nel senso etimologico del chiamarci a) e desiderante perché ciò che ci manca ci stimola a metterci in gioco, ad aprici (anche metafisicamente), ad avere attenzione per quanto ci circonda: “… Che si abbia / il coraggio necessario per vivere o morire / in quest’assenza.” (Troveremo la giusta sequenza, p. 70).
Come dice Mauro Germani nella sua avvincente Introduzione, “chi parla, chi appare e scompare è nel tempo, è caduto nel tempo, tra un passato in parte ignoto ed un presente assediato dal nulla. (…) Ciò che resta, ora, è “l’essere ultimo di un durevole vuoto”, la volontà di capire ciò che manca o che svanisce (…)” (pp. 9-10).
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