Pietro Russo, Tutte le cose cantano la canzone d’amore, peQuod 2024, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Il poeta catanese irrompe con il suo canto in medias res con un taglio incisivo che balugina di divino, ferisce le pieghe dell’anima assopite in cui ci accomodiamo (assuefancendoci a guerre, tragedie, ingiustizie), le scompiglia, le cauterizza, facendo reagire le nostre viscere inerti con immagini potenti e memorabili: “C’è ancora tempo per passare da un sogno silenzioso / a un altro meno silenzioso come un’esplosione / finché qualcuno vede il sole contrarsi come per infarto / e allora con un sentore di alghe e vetro fuso / sapremo che quello è il segnale, il risveglio” (p. 74); “e benedico questo essere carne / altissima febbre che sempre / ti va cercando” (p. 68); “sono davanti alla mia solitudine / Dio è il teschio che ogni giorno divengo” (p. 67); “il Signore è grande / ma il mare di più / il mare è terribile / ma il Signore di più” (p. 58); “Dimitrij guarda così in alto / che il filo spinato nel becco delle colombe / sembra un ramo d’ulivo.” (p. 49); “qua i corpi diventano concime / per una primavera che non ci mette la faccia. / (…) / il mare apre una parentesi a sud / e subito richiude le acque: / sei giorni / adagiati su un fondale i corpi” (p. 48).
In una realtà dove tutto è interconnesso e il solipsismo, la solitudine, l’isolamento… non fanno altro che rivelare con forza la necessità dell’altro, il senso di vuoto che nessun algoritmo può riempire, la voce di Pietro Russo compone un arazzo che diventa lo specchio di quello che siamo, di ciò che desideriamo, di quanto ci manca davvero: “Stanotte tu eri tu / io l’estraneo // Adesso si volta, ho pensato / e le parole bruciavano / come una chiesa sconsacrata” (p. 30); “continuiamo a cadere come una preghiera dalle labbra del vento” 8p. 20); “Fingiamo di non essere chi siamo / e che niente ci spaventa” (p. 19); “forse la gioia / è una sostanza sintetica di parole – /(…) / e restare dietro una porta / per vedere dove arrivano, sì / tutte le preghiere” (p. 12).
Condividiamo con Pietro “un bisogno di consolazione / per questo stelo di creatura / (…) / Chi ha creduto in noi fin dall’inizio / non si sbaglia / siamo la sua puntata / contro il buio” (p. 11). Sì, la scommessa di Pascal non possiamo eluderla ed è emozionante ascoltare Pietro quando, nella poesia Lo chiamo padre (p. 10), ci dice: “ma quello che chiamiamo cadere / è il modo in cui na stella declina la propria luce”. E siamo infine arrivati all’inizio di questa raccolta con la Canzone di Adàm (p. 7) da cui traggo questo passaggio intensissimo, pronto per essere musicato: “Non dissolvermi nei giorni informi del vento / al suolo tornerò non prima / di sapere cosa si annida nelle ossa / quali parole a cui non so dare fiato / chiamano all’altro capo del canto”.
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