Carlo Giacobbi, Erbe d’esilio, peQuod 2024, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Il verso posto a titolo di questa recensione è il primo della seconda terzina che troviamo a p. 47. Ecco i bellissimi versi che lo seguono: “e t’avvedesti il tempo fosse null’altro / se non qualità del sentire, menzogna della misura.”La raccolta è disseminata di questi tocchi distesi (rari sono infatti i versi brevi, se non nei corsivi a inizio di ogni poesia-sezione) in bilico fra paradosso e aforisma che si insinuano come struggenti fotogrammi di un film à la Rohmer nelle pieghe sensibili delle nostre viscere con una leggerezza persistente. Certo ogni lettore reagisce a modo suo a un testo, specie se poetico; a me sono risultati particolarmente impressionanti (per restare ancora alla metafora fotografica) i seguenti passaggi: “Ti fu chiaro non ammettesse più rinvio l’abbraccio / della fioritura vasta delle ombre.” (p, 48); “La luna lucidava foglie di magnolie.” (p. 49); “I colli dei lampioni erano docce di luce sulla strada.” (p. 50); “La pagina arde mentre la si volta.” (p. 53); “Tu non sai delle cascate di luce che immagino / nei cieli, della gloria di polle luminose” (p. 62); “Ma cova in noi sepolto un urlo: devi esistere devi” (p. 73); “eccezione l’esistere / o la sua estinzione?” (p. 76); “Ma l’esistere in parentesi – come tu dici – / tra nulla e nulla non mi basta.” (p. 79).
I lacerti qui sopra credo possano dare un’idea dello stile pregnante e senz’altro socratico (per le stimolanti questioni che pone) di Carlo Giacobbi: in queste poesie-sezioni che vanno dalla XIII alla XXIV “in ideale continuazione con Abitare il transito” (p. 7) davvero constatiamo che “più a pensarla più s’affina / la radice dell’ignoto” (p. 10), “che il solco pensa il seme / (…) / ché accogliere / è svelamento di lacuna” (p. 16).
Desidero infine lasciare a chi legge questa immaginifica ed emozionante pittura-domanda (p. 29):
“Che dire della transumanza delle nuvole
spumose di sole nell’azzurro; del loro pascolo lieto
degli shanghai di luce filtranti tra le chiome
quasi liberati dal pugno appena schiuso di Dio?”
Forse la natura (e noi in essa) è la pulsante nostalgia dell’eternità?
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