giovedì 4 aprile 2019

Vincitori Narrapoetando 2019

FaraEditore e i giurati 
 del concorso Narrapoetando 2019 sez. Poesia
(v. anche la sezione Narrativa/Saggio)
sono lieti di proclamare i Vincitori 
che hanno ricevuto la pubblicazione premio

I. class.

Ho scritto questo salto di Marco Colonna (Forlì)


Marco Colonna (foto Renzo Zilio) è nato a Palermo il 4 aprile 1964, vive a Forlì. Dirige dal ’99 il portale web di cronaca e attualità politica sestopotere.com. Cura il canale You Tube Lotta alle mafie. Ha scritto articoli per: Il Messaggero – Forlì, Gazzetta di Romagna, Il Resto del Carlino, La Voce di Forlì, Il Momento, RomagnaSera, Il Giornale, Lo Stato, Il Borghese, L’Uomo Qualunque. Ha collaborato con i Tg e Rg di VideoRegione e radio locali. Ha pubblicato libri di cinematografia. Poesie selezionate e segnalate nei concorsi Faraexcelsior 2016 e 2017 e Zuppardo (inserite nelle sillogi del Premio La Gorgone d’oro 2017 e 2018). Ha pubblicato con Fara le raccolte poetiche Ani+ma (2016) e Siamo sono (2017, finalista al Premio Città di Arona 2018). Nel 2018 è stato inserito nelle antologie: L’orizzonte delle metafore (Edizioni Tracce) e La responsabilità delle parole (FaraEditore). Ha partecipato a numerosi reading e letto poesie nel corso della Settimana del buon vivere 2018. Web: paroledelcuore.com, poesianuova.com, scrivere.info, portfoliopoetico.com, poesieinversi.it, e video-poesie nel canale YouTube Marco Colonna Poesie.


«Ho scritto questo salto è un trittico che inizia con un primo salto nello “schianto-pianto” della realtà, un nonsense della disgrazia che, tutt’altro che umoristico, spacca il cuore per il suo eccesso di significati e non per la sua assenza. Primo salto che a caduta libera entra in una mise en abyme (messa in abisso), quale decostruzione del reale o, come vuole il poeta, quale ricostruzione di un “disessere” dove tutto, in questo grande stomaco del mondo, si fa cibo e riciclo. Salto che atterra in uno scenario contemplativo, dove quell’iniziale “terra a cui do le spalle” diviene unico elemento di “levità”. Il cuore del poeta, dunque, batte al ritmo di questi tre salti o passi di danza: riempirsi di forza di gravità; svuotarsi e sgravarsi del proprio essere; rimanere, infine, in lieve e aggraziato equilibrio sopra un filo contemplativo fra il reale e l’irreale. Questi tre movimenti sono il movente che mi fa prediligere detta silloge rispetto alle altre.» (Serse Cardellini)

«La raccolta prendendo spunto da occasioni e momenti della vita dell’autore, ma anche da episodi collettivi, si innalza ad una meditazione sul destino e il senso dell’esistenza, con un verso che pure nella sua varietà metrica mostra una sotterranea compattezza e riconoscibilità.» (Francesco Filia)

«Anche quando si fa carico di dispiegare un dramma, sezionandolo nelle sue particelle più dolorose, è poesia esistenziale. Si interroga con insistenza nonostante lo stesso cruccio si ripeta: la verità resta un abbozzo.» (Angela Caccia)

«Opera composita, formata da un corpus stilisticamente eterogeno, eppure capace di legare l'attualità, l'interiorità, la storia, dando voce a ciò che resta.» (Andrea Parato)

«In Ho scritto questo salto la morte è una presenza viva e familiare e nei suoi confronti c’è un’esplorazione creaturale, privata dell’inevitabile commozione, nutrita da contemplazione serena della finitudine umana. La Parte Prima ferma il tempo di tre precisi avvenimenti accaduti ed il verso si muove tra una “memoria viva” ed una “rabbia eternamente giovane”. In ognuno dei tre salti (“Prima della realtà”, “Mise en abyme”, “Contemplazione”) i versi sono tenaci, appassionati, un corpo a corpo con passaggi coraggiosi per esplorare, scavare, appuntare con maestria momenti intimi e profondi, “sottovoce dove brulicano i silenzi e il respiro si appiattisce”.» (Adalgisa Zanotto)


II. class.

Nel fiato umido dell’autunno di Mariangela De Togni (Piacenza)


Mariangela De Togni, nata a Savona, è suora delle Orsoline di Maria Immacolata (Piacenza). Insegnante, musicista, studiosa di musica antica. Membro dell’Accademia Universale “G. Marconi” di Roma, ha pubblicato le raccolte di versi: Non seppellite le mie lacrime (1989), Nostalgia (1991), Una Voce è il mio silenzio (1995), Chiostro dei nostri sospiri (1998), Profumo di cedri (1998), Un saio lungo di sospiri (2000), Flauto di canna (2004), Nel sussurro del vento(in Quaderni di Letteratura e Arte, 2005), Nel silenzio della memoria (ne Le visioni del verso, 2008), Cristalli di mare (2010), Fiori di magnolia (2011), Frammenti di sale (2013), Si può suonare un notturno su un flauto di grondaie? (2016, prima classificata al Faraexcelsior). È presente nel Dizionario della Biblioteca di Stato, in agende, antologie, blog e riviste di poesia contemporanea. Numerosi i premi e i riconoscimenti.


«Questa raccolta è una contemplazione della bellezza della Natura, percepita come una realtà viva e animata da una tensione infinita, in cui l’Io poetico si confronta con la solitudine e con il fluire del tempo.» (Nicoletta Mari)

«La silloge offre un “ventaglio di possibilità” ed anche una “gronda divina” dove riparare. Poesia mistica, di rimandi biblici, evocativa di fede per il “creato”, che stupisce e tutto azzera rendendolo alla sua origine divina. Oggi più che mai la poesia ha l’urgenza di occuparsi della natura che ogni giorno ci dona la luce e il buio. Il poeta parla a chi si veste di vento, di mare, di aurora, di notte, di natura primordiale. Il “tu” trascende e l’autunno è solo un pretesto. Non è una “chiesa vuota” questo fluire di versi.» (Colomba Di Pasquale)

«Opera dai versi brevi, composti e delicati, quasi rarefatti, talvolta. Non scevra di citazoni, mai ostentate, sa mantenere un proprio linguaggio intimo.» (Andrea Parato)


III. class.

Nuove anime di Vincenzo D’Alessio (Montoro, AV)


Vincenzo D’Alessio (Solofra 1950), laureato in Lettere all’Università di Salerno, ha ideato il Premio Città di Solofra, fondato il Gruppo Culturale “Francesco Guarini” e l’omonima casa editrice. Acuto e attento critico letterario, ha pubblicato saggi di archeologia e storia, recensioni e versi in numerosi periodici, antologie, siti e blog (in particolare Narrabilando e Farapoesia). Raccolte poetiche per i tipi di Fara: La valigia del meridionale e altri viaggi (2012, 20162); Il passo verde (in Opere scelte, 2014); La tristezza del tempo (in Emozioni in marcia, 2015) e Alfabeto per sordi in Rapida.mente, 2015) poi in appendice a Immagine convessa (2017), opera finalista al concorso Versi con-giurati. Nel 2017 è uscita la raccolta Dopo l’inverno, II class. al Faraexcelsior, III premio del Concorso Terra d’Agavi 2018 (Gela, AG), segnalata al Premio Civetta di Minerva (Summonte, AV), finalista al Premio Tra Secchia e Panaro 2018 (Modena). Del 2018 sono i Racconti di Provincia.


«L’anima sembra “naufragar” nella natura e la Natura diventa epifania delle emozioni, dei ricordi, del vissuto del Poeta. Siamo dinanzi ad una manifestazione di panismo, in cui l’Io lirico si mescola e si confonde con il Tutto. Il linguaggio è essenziale, nitido, ricercato, estremamente preciso.» (Nicoletta Mari)

«La canzone e le migrazioni. Il Poeta fa parlare luoghi e nostalgie “le stanze dell’aulica casa/riportano l’eco della voce” e poi gli abbandoni: “portami al confine della vita” “casa dei sogni” “nella polvere del ritorno”. La quieta polvere di Emily Dickinson e scorgo in lontananza un Vittorio Sereni che si sporge su questa silloge. Poesia che rimbocca le coperte nel freddo inverno, che tiene vivo il fuoco del focolare del Sud del mondo per chi è andato a Nord. Una poesia che insegna e ammonisce: “I giovani del Sud /non tornano rimangono / clandestini”, necessaria in questo tempo di silenzi disumani e di chiusure aberranti.» (Colomba Di Pasquale)


Altre opere votate

Theory of Infinity di Michele Caliano (Solofra, AV)


Michele Caliano è nato ad Avellino il 2 settembre 1963. Vive a Montoro (AV). Si è diplomato all’Isituto tecnico commericale di Solofra (AV). Astrofilo dall’inizio degli anni ’80, ha conseguito negli anni ’90 l’Attestato del corso in Astrofisica presso l’Osservatorio di Montecorvino Rovella (SA). Socio del Gruppo Culturale Francesco Guarini è appassionato di Cosmologia e divulgatore scientifico nelle scuole Medie statali e presso alcune radio del territorio.


«L'autore di Theory of Infinity diverte il lettore con una poesia didascalica che vorrebbe spiegare con ironia i più intricati enigmi della scienza e dell'universo, maggiore dei quali è il concetto di infinito. Il risultato di questo sforzo didattico è una silloge bizzarra ma piacevole. Dietro all'ironia si coglie un certo pessimismo nei confronti dell'agire umano. L'effetto umoristico è reso dall'alternarsi di termini scientifici e squarci autobiografici e dall'uso di rime volutamente infime o addirittura volgari.» (Andrea Biondi)


Suite visionaria di Gabriella Bianchi (Perugia)

«Poesia di stagioni, di affanni, di assenze, di “creato”, di ricordi e in tutto questo il Poeta “come volpe affamata” cerca un abbraccio che le salvi la vita. Poesia di ancestrale clausura, di sbigottimento alla vita e alla morte, poesia che guarda alla terra e all’infinità del cielo. Poesia tormentata che ricorda il dolore di vivere di Silvia Plath o di Amelia Rosselli.
“Il dolore fa uscire di senno, anima mia…” come non essere d’accordo? E poi arriva una luce in tanta visione nel Po di Volano con “gli occhi perduti/in quel dolce infinito”.» (Colomba Di Pasquale)

«È una potente silloge Suite visionaria, sicuramente la migliore della competizione. Una poesia mesta come una lenta sinfonia in minore, ma che rapisce l'ascoltatore, o il lettore, come accade al fedele ortodosso in contemplazione dell'iconostasi di una sperduta chiesa russa. L'autrice ordisce il grande racconto della propria vita con un linguaggio semplice e piano, il quale, proprio nella semplicità, attinge la potenza visionaria delle immagini. Racconto che si fa verso contro la "favola insanguinata" del mondo; salvezza "per non infoltire la schiera dei folli e dei suicidi". Abbiamo detto poesia mesta, ma dalla quale alla fine è possibile suggere "il vino profondo dell'amore".» (Andrea Biondi)


Quello che resta dopo le parole di Daniela Sandrolini (Marzabotto, BO)

«È una poesia che narra con leggerezza i drammi umani, che racconta la dura ed integerrima vita della gente di montagna, che induce a scoprire il legame con le proprie radici per ritrovare sé stessi.» (Nicoletta Mari)

«Un profluvio di parole, il succedersi di fotogrammi vecchi e nuovi, e un verso che su tutto s’innalza, ora timido ora audace, a raccontare il raggio che sta frugando l’anima.» (Angela Caccia)

«La vita dentro in Quello che resta dopo le parole. La sensazione e la soddisfazione di trovarsi a tu per tu con chi sa catturare la bellezza intorno, della casa dei gigli nella foresta dei faggi sul confine degli argini… e sa tradurre in versi la gioia di immergersi nelle tinte variegate che abbelliscono il mondo. È la gratitudine e la forza di chi ha occhi che sanno vedere, che sanno camminare accanto senza esserci. È un gioco di immagini effervescenti, dispiegato a catturare la pulsione anche di chi “adesso siede in una terra di nuvole”.» (Adalgisa Zanotto)


Rotta carovaniera di Stefano Sioli (Sesto San Giovanni, MI)

«All’autore va riconosciuto un giovanile buttarsi scomposto e di pancia tra i versi.» (Serse Cardellini)

Quello di Rotta carovaniera è un viaggio, o più viaggi, al tempo stesso geografico esistenziale e interiore. I testi, nella loro varietà formale, si presentano come vere e proprie tappe di una mappatura dell’anima che ritrova o perde se stessa nei luoghi che attraversa, nei momenti di rivelazione e smarrimento che anche un dettaglio può donare. (Francesco Filia)


Così in terra di Massimiliano Bardotti (Castelfiorentino, FI)

«Opera corale, delicata e intensa, seppur non originale nello spunto, capace però di dare freschezza alle voci – poetiche – di chi lascia una traccia di passaggio. L'autrice/autore sa rendere con perizia e varietà stilistica il proprio sentire interiore filtrandolo delicatamente attraverso l'empatia con le voci che si raccontano e raccontano qualcosa anche di noi.» (Andrea Parato)


Il segno di Salvatore Enrico Anselmi (Viterbo)

«Gratitudine per Il segno: lascia un segno del quotidiano e pesante carico che attraversa i giorni degli uomini e dei ciclopi e diventa canto libero e aperto del “cuore pensante” la cui corrente sospinge lontano. I versi pregnanti d’una puntuale attenzione alla parola donano un’educazione alla sensibilità e alla consolazione. E ancora di più, immagini e avvistamenti del “peso lineare dell’orizzonte che salta ogni giorno come un pesce”, fissano altezza e vuoto di quanto possa resistere al flusso inarrestabile del tiepido “corso del tempo che ci accompagna”.» (Adalgisa Zanotto)

Nessun commento: