Tamara Vitan, La salvezza compie passi piccoli, peQuod 2025, collana Portosepolto, prefazione di Anna Maria Tamburini, volume a cura di Massimiliano Bardotti
recensione di AR
Il distico nel titolo di questa recensione chiude un’ampia poesia (pp. 79-81) che si apre così: “Tacete / oh, voi pensieri che la mente intorpidite. / Che arrivi alle lettere il silenzio, anestesia di parole, / che taccia il cuore fattosi campana / il suono vibrante di ferro a morte risuona.
Qualche pagina prima (72) la poetessa italo-rumena ci invita a “deporre i fardelli / ai piedi della croce. // La salvezza compie passi piccoli.”
Quest’ultimo verso, eponimo della raccolta, è carico di umanità: in fondo la misericordia di Dio si manifesta nella quotidianità, rispetta i nostri tempi, non ci obbliga e sempre ci perdona.
Tamara non teme di stare sulla soglia, accanto a chi sta per varcarla: anzi pare quasi mettere un piede nell’oltre, sporgere una mano di saluto a chi ormai ci ha lasciato: “Ti aspetterà qualcuno di là, ne sono certa. Diciamo che ad un certo punto io ti lascerò la mano e qualcos’altro la prenderà.” (p. 32); “Quelle lacrime sacre che stai versando dentro al corpo ti aiuteranno ad attraversare i confini.” (p. 37); “Chiudo gli occhi per sempre. / Si fa certezza il volo.” (p. 59). C’è tanta vita in queste pagine che ci aiutano a fare i conti con sorella morte con uno sguardo pieno stupore e gratitudine per quanto di bello ci circonda: “Ce lo dovevano dire gli dei: / fluttuare invece che vivere è meno doloroso. // Ma i fiori sul davanzale / valgono la luce di uno sguardo / e se chiudo gli occhi e li riapro / i petali spuntano nel cuore.” (p. 95); “Come vanno stanotte le nuvole / veloci nel cielo che non vedo. / Potessero cadermi dentro agli occhi / il mio povero cuore / diventare mare.” (p. 67); “Non indugiare sul bordo del precipizio / la vista si abitua agli abissi. // L’aquila si avvicina alla terra / per contemplare la sua ombra. // Fai anche tu nido nel cielo.” (p. 64); “Anche se la nostalgia / invade ancora la mente / allontana ciò che non serve” (p. 62).
Nella prima parte del libro, quasi un diario poetico senza accapo intitolato “Lettere a un’amica”, Tamara si rivolge a un tu con parole che si fanno strada in noi con una dolcezza imperativa: “Insegnami tu come si fa a lasciare andare il corpo, il respiro, i sentimenti.” (p. 16); “E forse, dico forse, quando si spezza il fiato magari qualcos’altro prenderà il suo posto.” (p. 17); “Secondo me la luce sente quando qualcuno ha bisogno.” (p. 21); “C’è una voce dentro ognuno di noi, anzi ce ne sono due! Devi trovare quella giusta! Sono come i fili di un detonatore.” (p. 23); “Quando penso ai tuoi pensieri, cerco a volte di diventare parte di essi, per alleggerire la tua mente.” (p. 30).
Schermi, sipari, paraventi perdono di consistenza, sono fiato smascherato e così ci troviamo nudi davanti a questo flusso di immagini che ci preparano al salto che più ci fa paura, tanto che a volte ci inquieta persino abbandonarci al sonno perché non abbiamo la certezza matematica di risvegliarci o, se anche ci risvegliassimo in un’altra dimensione, non abbiamo garanzie di avere memoria di noi stessi, dei nostri incontri, di quanto questo nostro corpo ha attraversato: la paura più grande è forse quella di svanire, di esalare un fiato che non sa chi è, di lasciare un corpo pronto a una disgregazione inconsapevole. Ci vuole fede, e la fede richiede umiltà, perseveranza, accoglienza di un mistero: “Adesso so che non tornerò tra i mortali / che rimarrò a cercare ancora stelle. / Questo desiderio immutabile / di afferrare quei lembi illuminati e misteriosi, / tiene viva in me l’eternità.” (p. 90)
Siamo tutti sballottati da situazioni mobili che ci trasportano dove non vorremmo andare, né tantomeno restare, ma l’evangelico rinnegamento di sé stessi ci invita a non temere di seguire con fiducia il Maestro e con lui diminuirà anche la paura di perderci, di venire schiacciati dagli eventi, di non ritrovarci più. Con questo atteggiamento “affidato”, Tamara scrive: “Generiamo pensieri che fioriscono da un’altra parte del pianeta.” (p. 42); “A volte penso che il nostro dolore faccia commuovere le nuvole fino alle lacrime. Forse piove con amore.” (p. 44).
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