Caro Ivan, ho letto i tuoi testi.
Ti confesso che ho dovuto leggerli più volte per sciogliere l'ironia e il sarcasmo che li pervade e per farmi assorbire completamente dal tuo percorso artistico. Le tue liriche mi piacciono, soprattutto perché sottendono una poetica sovversiva e del tutto inedita nel panorama autoreferenziale della poesia italiana contemporanea. Tra tanti versificatori coniati con lo stampino occorreva una voce fuori dal coro, la voce di un artista che mischia le carte e armeggia la parola come se fosse un revolver.
Ma più che a Lucini, leggendoti ho pensato a tanta poesia della tradizione letteraria, a certa lirica fuori dal canone e dissacratoria, una sorta di parodia del canone stesso. Mi sono venuti in mente Angiolieri, Bandello, Pulci, a tratti Folengo. Ecco, direi che questa è la cifra della tua poetica: con un linguaggio scintillante, che utilizza termini provenienti da diverse discipline, crei campi semantici che di primo acchito lasciano basiti, ti inoltri in sentieri finora mai battuti in questo nuovo millennio. Entri nel postmoderno e probabilmente lo varchi e vai oltre, disegnando attraverso l'utilizzo complice di analogie e sinestesie, che altri definirebbero audaci, un sentiero non facilmente individuabile, ma che reca il fascino dell'ignoto.
La tua poesia spiazza il lettore, poiché dà la sensazione di stare osservando la realtà attraverso un caleidoscopio, lo confonde senza offrirgli una chiave di lettura almeno apparente. Vi ho trovato l'acume dei riferimenti giuridici e dell'analisi filosofica accanto alla ostinata orecchiabilità di certi testi di canzoni; in alcuni versi ho incontrato l'underground musicale di fine Novecento, i CCCP e Lindo Ferretti, in altri sono risaliti gli echi di filastrocche imparate da bambino, in altri Lucrezio, Ovidio, Cicerone. Direi che forse questo è l'aspetto più interessante della tua silloge: lo strale, il biasimo, le aspre e sarcastiche invettive costituiscono la superficie, quello che torna a galla. Ed è ciò che subito colpisce il lettore.
Ma sommerso c'è altro. Sul fondale c'è la paccottiglia in cui si è arenata la poesia italiana contemporanea, c'è lo sguardo di chi intravede la triste sagoma di una nave affondata. E non vuole arrendersi all'azione delle correnti e del sale.
Con gratitudine e stima
Valentino Campo
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