R. I sensi ci consentono di relazionarci con il mondo esterno. Noi siamo quel che i sensi portano dentro. E questo resta. Ma questi non bastano. Il vero senso è quello interiore, unico e irripetibile. Senza questo non avremmo avuto Mozart e Beethoven, Monet e Van Gogh. E tanti altri. Così, mi sono posto la domanda: Che cosa resta del giorno? Ed ecco: Quel che resta.
D. È stato ispirato da qualcuno, da un avvenimento o magari solo da sé stesso?
R. Non vado mai a caccia della ispirazione. Quando scrivo non lo faccio perché mi sento ispirato. Lascio ad altri questo strumento. Il viaggio, perché di un viaggio si tratta, Quel che resta ha avuto inizio quando ho pensato al mio vissuto passato e presente. Ed ho così scoperto che, in fondo, la nostra vita è così piccola, semplice, naturale, ordinaria e, perciò, bellissima. In me stesso cerco e trovo sempre il vero senso del tutto. Faccio molta attenzione ai suoni, ai colori.
D. Il valore che ha la scrittura in sé: è dunque terapeutico o un semplice svago?
R. La mia scrittura è sofferta. Vai a leggere la raccolta di racconti brevi: La porta socchiusa, il romanzo: Mio fratello. Ho iniziato a scrivere sin dalla adolescenza. Mi faceva bene, tanto bene. Non ho mai scritto per svago. Scrivendo non mi rilasso, non mi riposo, ma sento di star bene, di essere. Per me la scrittura non è solo terapeutica, ma molto di più: è catartica. Vengo da un mondo dove ancora si scrivevano le lettere, il diario. C’era un esercizio di scrittura che si sostituiva quasi totalmente alla famiglia, all’amico e ad altro ancora. Ovviamente il tutto era quotidianamente accompagnato da tanta lettura. Ma la scrittura non è un “farmaco”, una medicina. Il tormento della vita resta con tutto il suo ingente carico. Ed è bene che resti. Senza non avremmo avuto Leopardi. Ma, umanamente, abbiamo bisogno, come l’acqua e il pane, di scrivere: di noi, dentro questa vita per averne un'altra sopportabile e condivisibile.
a cura di Valeria Parma
a cura di Valeria Parma
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